Sempre più spesso capita che un cane o un gatto venga paragonato a un figlio, attraverso tutta una serie di discorsi che generalmente finiscono con l'essere piuttosto colpevolizzanti nei confronti di chi non desidera avere bambini. Questa tendenza spesso conduce ad una confusione di ruoli, poiché per quanto possiamo amare il nostro animale domestico ed instaurare con lui una relazione molto intima, affettuosa e di profondo rispetto, un cane non è un figlio, proprio come un figlio non è un cane.
Adottare un cane e scegliere di avere un figlio non sono delle opzioni che si escludono a vicenda e forse semplicemente dovremmo vederle come possibili scelte che in alcuni casi potrebbero anche sovrapporsi. Si può scegliere di avere figli, di vivere con animali domestici o di condividere la propria esistenza con entrambi ma si tratta, in ogni caso, di percorsi che, per forza di cose, rimangono profondamente diversi.
È vero che accogliere un cane o un gatto in casa vuol dire assumersi una grande responsabilità e, per certi versi, tale impegno può essere paragonato a quello di cui si fa carico un genitore, nella misura in cui abbiamo qualcuno di cui dobbiamo prenderci cura e che dipende quasi totalmente da noi. Tuttavia, far coincidere il ruolo di animale e quello di figlio è svilente per entrambe le parti, annulla le caratteristiche dell’uno e dell’altro.
Se pensiamo alle tappe dei due percorsi, invece, ci rendiamo immediatamente conto delle differenze sostanziali che sussistono tra l’esperienza di essere genitore e quella di pet mate. Paragonare la relazione con il cane o con il gatto a quella che instauriamo con un individuo della nostra specie non ha molto senso se non quello di indurci a pensare, erroneamente, che il nostro pet possa avere gli stessi bisogni di un neonato.
Una nuova concezione di famiglia
Attualmente il concetto di famiglia si è notevolmente ampliato, includendo una serie di scenari non tutti riconducibili allo stereotipo di “famiglia tradizionale”. I figli sono diventati una scelta possibile ma non necessaria alla realizzazione dell’individuo e si è molto più liberi da quelle costrizioni sociali e culturali che vedevano nella famiglia l’obiettivo principe della vita delle persone e, in particolare, delle donne.
Tuttavia, nella pratica spesso capita ancora di sentirsi giudicati se non si ha un partner, se si sceglie di non avere figli o, ancora, se non se ne possono avere. Tale comportamento, purtroppo fin troppo comune, interessa in misura maggiore il genere femminile ed è riconducibile a quella tendenza culturale che attribuisce valore alla donna soltanto nella misura in cui ha un figlio e sa prendersi cura della propria famiglia. In questo senso, forse adottare un animale domestico è anche diventato un modo per non "sentirsi più in difetto" da parte di chi subisce il giudizio altrui, una sorta di risposta da dare a chi è così indiscreto da porre domande piuttosto personali sulle scelte di vita. Può darsi che sia anche un modo per sentirsi pieni, completi, interi poiché chi non ha figli si è stancato di rispecchiarsi in una società che rimanda costantemente l’immagine di un individuo frammentato, non integro, manchevole. In alcuni casi si potrebbe decidere di adottare un animale domestico anche per sopperire a quella che purtroppo viene ancora definita come "una mancanza".
È vero che molti di noi considerano gli animali domestici veri e propri familiari ed è anche giusto che sia così poiché numerosi studi sottolineano proprio l’impatto positivo sulla salute mentale che deriva dal considerarli membri effettivi della famiglia. Dobbiamo ricordarci, però, che ognuno ha il proprio ruolo all’interno di essa. Non diremmo mai che non vogliamo figli perché abbiamo già, ad esempio, una madre: affermare di non desiderare bambini perché si vive già in compagnia di un animale domestico è più o meno la stessa cosa.
E allora cosa sono per noi gli animali domestici?
Se pensiamo che il nostro animale sia equiparabile ad una sorta di figlio o se semplicemente non abbiamo mai trovato una parola per definirlo potremmo iniziare a chiamarlo semplicemente “compagno di vita”, come del resto sottolineiamo spesso su Kodami. In tal modo potremmo evitare di dare adito ad ulteriori equivoci e spiegare agli altri, e soprattutto a noi stessi, che esiste una distinzione dei ruoli.
Spesso, infatti, è proprio grazie alle parole che riusciamo a fare ordine nel nostro mondo interno. Chiamare il proprio cane compagno di vita, e magari evitare di rivolgerci a lui in qualità di figlio, potrebbe rivelarsi molto importante per la nostra salute psichica e anche per quella dei nostri pet. Non dimentichiamo, infatti, che non stiamo interagendo con un individuo della nostra specie e che un animale ha dei bisogni molto diversi da quelli di un essere umano, oltre al fatto che, a differenza dei figli, un cane o un gatto generalmente trascorrono con il proprio umano gran parte della propria vita, se non tutta.
Quando si decide di adottare un compagno di vita è assolutamente necessario che ci sia la disponibilità ad assumersi una responsabilità equiparabile a quella che deriva dall'avere un figlio, ma anche la capacità di riconoscere che si tratta di animali, pertanto con bisogni specifici e non assimilabili a quelli degli esseri umani. Soltanto in tal modo sarà possibile instaurare una relazione che sia soddisfacente per entrambi.