«Volevamo uscire dalle dinamiche di mercato che ci imponevano standard di vita immorali per gli animali». Con queste parole Massimo Viel commenta a Kodami la strada intrapresa con la sua compagna Lucia Muneretto: smettere di produrre formaggi di capra e convertire la loro fattoria nel Santuario "Il Fauno Fattoria Ribelle".
Il Santuario è incastonato in una corona verde nella pedemontana del Friuli-Venezia-Giulia, dove l'odore della resina d'abete si mischia all'aria fresca di montagna. In questa regione imbattersi in un allevamento mentre si sale in quota è la normalità: capre e mucche al pascolo che attraversano la strada colorano le passeggiate di molti esploratori di montagna che, però, negli ultimi anni vedono meno animali in natura e sempre più grandi fabbricati in cui sono stipati migliaia di capi di bestiame.
«Siamo nati come piccoli allevatori e produttori di formaggio di capra 4 anni fa – spiega Massimo – Dopo aver vissuto in questo ambiente, però, nella primavera del 2022 abbiamo deciso di smettere con questo lavoro poiché nell'allevamento ci sono delle dinamiche non etiche. Ecco perché abbiamo preso la decisione di uscire da qualsiasi logica di sfruttamento e il gregge di capre da latte che avevamo è stato tolto dalla catena produttiva».
Una decisione così drastica, però, non viene dal nulla e proprio come racconta l'ex-allevatore prima di rivoluzionare completamente il proprio stile di vita bisogna scontrarsi con la realtà: «Siamo partiti da un'idea romantica di piccolo allevamento, pensavamo di trovar un equilibrio fra l'aspetto produttivo e di benessere degli animali. La realtà che abbiamo riscontrato è che la logica di mercato la fa da padrone anche in queste piccole realtà ed è tutto improntato alla massimizzazione della produzione. L'aspetto di benessere diventa sempre più secondario perché per essere competitivi bisogna sfruttare gli animali il più possibile».
Quella che descrive Massimo è la fotografia di ciò che secondo lui deve affrontare un piccolo allevatore per poter iniziare un'attività che tenga al benessere degli animali. Per poter minimamente essere competitivi in questo campo «è richiesto guardare a questi animali semplicemente come mezzi di produzione, alla stregua di macchine». In poche parole, secondo l'ex allevatore anche "i piccoli" si scontrano con i giganti del settore: gli allevamenti intensivi.
Questo metodo d’allevamento si sviluppa intorno agli anni 60 del secolo scorso, di pari passo all’aumento della richiesta di consumo di carne e della produzione di antibiotici che hanno permesso di sottrarre gli animali al pascolo e ammassarli in gran numero in spazi ristretti preservandoli però dalle malattie contagiose. Su Kodami abbiamo approfondito l'argomento in un articolo di Laura Arena, veterinaria esperta di benessere animale e membro del comitato scientifico di Kodami, in cui spiega come In Italia praticamente il 90% delle produzioni animali proviene da questo tipo di allevamenti.
«Siccome ci siamo scontrati con queste logiche di massimizzazione del profitto abbiamo deciso che non era nelle nostre corde arrivare a considerare gli animali come macchine da produzione – spiega ancora Massimo – Ecco perché in primavera abbiamo iniziato questo progetto di riqualificazione dell'allevamento, trasformandolo in un luogo in cui più nessun animale deve essere sfruttato».
La loro fattoria si trasforma così in un luogo in cui si incontrano animali con storie diverse con un filo conduttore comune: «Nel nostro rifugio oltre alle capre ci sono molti altri animali – racconta Massimo – Tra cui una vitellina sottratta alla macellazione. In una fattoria qui vicino, infatti, qualche tempo fa era nata una coppia di vitelli con un parto gemellare. Solitamente in questi casi, soprattutto negli allevamenti di grandi dimensioni, questi vitelli non vengono fatti crescere perché più piccoli e meno produttivi e vengono spesso destinati alla produzione di carne. Pe questo motivo abbiamo fatto un accordo con questo allevatore, dando la possibilità a quella che avrebbe sicuramente incontrato questo destino di poter vivere a pieno la sua vita nel nostro rifugio».
Una scelta come quella di Massimo e Lucia non si limita solo alla decisione di voler iniziare un nuovo percorso, ma consiste ogni giorno nell'affrontare le difficoltà derivanti dal mantenere gli animali che si è deciso di salvare. «Riuscire a dar da mangiare a tutti non è facile – conclude Massimo – Per adesso raccogliamo donazioni da chiunque voglia darci una mano e ultimamente abbiamo anche scritto un libro per raccontare la nostra storia. Poi sul sito del santuario è possibile adottare a distanza gli animali che ospitiamo, un aiuto concreto e diretto per poter provvedere alle spese necessarie per farli vivere a lungo liberi e felici. In futuro vogliamo anche costituire un'associazione e magari inserirci anche nella rete dei santuari liberi, ma è ancora troppo presto e abbiamo bisogno di altre persone per poter lavorare insieme a questo progetto».
Il loro rifugio, dunque, avrà bisogno ancora di tempo per potersi stabilizzare, ma progetti simili già esistono, sono diverse le realtà sparse in tutta Italia. Basti pensare a La Sfattoria degli Ultimi, le cui vicende nell'estate del 2022 sono state seguite da Kodami con estrema attenzione, documentando in un video reportage la delicata situazione. A seguito dell'epidemia di peste suina che in quei mesi interessava diverse regioni d'Italia, infatti, l'Asl di Roma aveva deciso di abbattere i suini del rifugio per evitare la diffusione dell'infezione. I gestori della Sfattoria fecero però ricorso al TAR e lo vinsero, permettendo così agli animali di vivere la loro vita in serenità.
L'operato de La Sfattoria degli Ultimi, del Santuario il Fauno Fattoria Ribelle e di altre realtà simili consiste nel dare riparo ad animali che, nella maggior parte dei casi, sono destinati a condurre una vita di reclusione lontani dal compimento delle loro necessità etologiche. Stiamo parlando a volte anche di centinaia di animali sfuggiti dal destino di morte che era previsto per loro come capre, maiali, galline, conigli e vitelli.