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26 Gennaio 2022
13:31

Gli animali nell’antica Roma: l’amore degli antichi romani per gli animali esotici

La prima immagine che ci viene in mente pensando ad animali esotici nell'antica Roma è probabilmente legata al loro massiccio utilizzo negli spettacoli gladiatori. In effetti gli animali esotici erano un simbolo di potere ampiamente utilizzato per affermare il predominio romano sul Mondo.

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Tutti gli appassionati di storia antica conosceranno  l'insolita passione della società romana per le specie esotiche provenienti da ogni angolo dell'Impero, e addirittura oltre i suoi confini. Questo interesse si riflette non solo in numerose raffigurazioni, citazioni letterarie e sculture, ma in certi casi anche nella distribuzione attuale di alcune specie. Ma la prima immagine che ci viene in mente pensando ad animali esotici e società romana riguarda probabilmente gli spettacoli nelle arene.

La strettissima relazione tra uomo e animale nel mondo antico risulta evidente varcando la soglia delle domus pompeiane, osservando le miriadi di reperti iconografici raffiguranti ogni sorta di animale, primo fra tutti il cane, nostro fedele compagno domestico da migliaia di anni. Noi di Kodami ve lo abbiamo raccontato grazie all'aiuto dell'archeologa Luana Toniolo, proprio passeggiando per le vie dell'antica metropoli campana.

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Spettacoli gladiatori

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Le venationes (plurale di venatio, che vuol dire caccia) erano una forma di divertimento negli anfiteatri romani che implicava la caccia e l'uccisione di animali selvatici. Le bestie selvatiche ed esotiche venivano portate a Roma dai lontani confini dell'Impero romano per mostrare alla folla le meraviglie delle lontane terre conquistate, oppure i regali di re e nobili di terre ancora non conquistate, come l'India, terra estremamente affascinante per i romani grazie ai racconti delle vicende alessandrine.

Le venationes si svolgevano durante la mattina, prima del principale evento pomeridiano offerto dai duelli gladiatori. Gli animali coinvolti nella venatio erano prevalentemente predatori selvatici, ma non solo. Popolari erano leoni, tigri, elefanti, orsi, cervi, capre selvatiche, cani, cammelli e addirittura conigli, mentre i lupi non erano solitamente usati per combattere nell'arena, principalmente per motivi religiosi.

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Gli animali non sono stati sempre usati esclusivamente come vittime e assassini nei vari tipi di massacri nell'arena. Alcune delle esibizioni prevedevano la mostra di animali addestrati e addomesticati: Plinio il Vecchio e Marziale citano le pantere che tirano un carro, gli elefanti inginocchiati davanti al palco imperiale o i leoni addomesticati che afferravano e lasciavano andare la lepre intatta.

Rispettato per la sua ferocia, il leone era estremamente popolare durante le venationes e gli spettacoli gladiatori. Gli esemplari erano importati soprattutto dalla Siria ed il Nordafrica a centinaia ed infatti i romani hanno contribuito alla rarefazione del leone berbero (Panthera leo leo), una sottospecie ormai estinta di leone africano. Durante la sua dittatura, Cesare sbalordì tutti utilizzando circa quattrocento leoni nel Colosseo; Pompeo ne fece uccidere ben seicento, battendo Cesare almeno in questa triste competizione.

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L'utilizzo del leone era anche una questione di immagine: Cesare confiscò a Cassio i leoni che intendeva usare per uno spettacolo in Grecia, evento che spinse Cassio ad allearsi con Bruto nella rivolta finale contro il dittatore. Ma questi leoni, tuttavia, non restarono a lungo nelle sue mani: quando la città di Megara fu occupata dagli uomini di Cesare, i cittadini liberarono i leoni sperando che attaccassero gli invasori. Invece i leoni sbranarono i cittadini per poi sparire nella foresta.

Introduzioni antiche

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L'impiego di alcuni animali esotici  si ritiene possa essere stata la causa di antiche introduzioni, oltre che della scomparsa di molte specie. È il caso ad esempio dell'istrice (Hystrix cristata) grosso roditore africano dotato di lunghi aculei, dalla particolare distribuzione geografica. Alcuni studi suggeriscono che l'animale sia stato introdotto (volontariamente o accidentalmente) sul territorio italiano dai romani, senza però riuscire a superare l'arco alpino e l' "affinità" tra Roma e le istrici sembra perdurare nei secoli.

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Areale odierno dell’istrice. Si noti la sua distribuzione in tutta la penisola italiana

Anche la presenza della mangusta egiziana (Herpestes ichneumon) nella penisola iberica potrebbe essere spiegata da introduzioni ad opera degli antichi romani: in un recente studio scientifico reperti antichi della specie sono stati analizzati e datati al primo secolo d.C. Si ritiene che gli animali fossero utilizzati per controllare le popolazioni di roditori.

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Areale di distribuzione della mangusta egiziana. In viola la distribuzione della popolazione iberica, probabilmente introdotta dai romani.

Damnatio ad bestias

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Un altro inquietante utilizzo degli animali esotici consisteva nelle damnatio ad bestias, delle vere e proprie esecuzioni pubbliche in cui i condannati erano divorati vivi dalle belve nell'arena. Uno spettacolo talmente cruento da essere considerato adatto solo alla plebe: gli antichi scrittori lasciano intendere che, durante queste esecuzioni, la maggior parte degli uomini e donne rispettabili andavano a pranzo invece di stare a guardare. Durante i festeggiamenti inaugurali del Colosseo svoltisi sotto l'imperatore Tito nell'anno 80 d.C. si racconta che vennero massacrati più di diecimila prigionieri e novemila animali.

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Ma non sempre gli spettatori apprezzavano tali manifestazioni: nel 55 avanti Cristo si racconta che durante una manifestazione organizzata da Pompeo in cui venivano torturati elefanti, la folla si commosse a tal punto da porre fine alla caccia. Lo stesso Cicerone protestò: «Che piacere può trarre un uomo di cultura quando una splendida creatura è trafitta da una lancia agonizzante?» e proibiva infatti la cattura di animali per i giochi nelle terre da lui governate. I discepoli di Pitagora si opponevano alla caccia seguendo gli insegnamenti del filosofo. Anche il filosofo Seneca, tra l'altro vegetariano, disprezzava le venationes. Varro era a sua volta contro la caccia: «Eccoti mentre insegui cinghiali per la montagna infilzando a morte povere bestie che non ti hanno mai fatto alcun male. Che splendida arte!».

La curiositas romana per la zoologia

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Copertina di un’edizione rinascimentale della Naturalis Historia

D'altronde la società romana annovera alcuni dei primi naturalisti della storia tra cui risalta Plinio il Vecchio (su cui a sua volta è chiara l'influenza aristotelica), che dedica ben quattro libri alla zoologia nella sua enciclopedica Naturalis Historia: un limpido esempio della vastità della curiositas romana. Nelle sue pagine ritroviamo descrizioni di animali reali e fantastici (ma che all'epoca non si ritenevano tali), con una predilezione per le specie esotiche rispetto a quelli nostrani come iene, pantere, leoni, tigri, cammelli, giraffe e rinoceronti insieme a dragoni e licantropi.

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Raffigurazione rinascimentale dei licantropi citati da Plinio

Rileggere da esperti il testo, antico di duemila anni, e ritrovarvi piccole verità scientifiche fa venire la pelle d'oca per la qualità dell'osservazione. Parlando di insetti ad esempio afferma: «animali dalle dimensioni straordinariamente ridotte, tanto che secondo alcuni autori, non respirano e sono addirittura privi di sangue». Oggi sappiamo infatti che gli insetti respirano, ma non dalla bocca come noi vertebrati, bensì tramite un sistema di piccoli pori disseminato sul corpo e al posto di un vero e proprio fluido sanguigno sono dotati di emolinfa.

Ma risulta evidente anche la pragmaticità dei latini: per Plinio l'animale è un soggetto che interagisce con la vita dell’uomo, e spesso sembra provare secondo l'autore – e in effetti oggi è assodato che è così – gli stessi sentimenti, come amore, tristezza, gelosia, timore e allegria. Vengono riportate informazioni e notizie di ogni genere, anche bizzarre: dal luogo dove l’animale vive al modo più adatto per assaporare la sua carne, da episodi storici a leggende mitologiche, da delicati racconti nei quali l’animale si mostra migliore dell’uomo a episodi di maltrattamenti, fino a leggendarie metamorfosi uomo-animale e viceversa. Una ferma convinzione di Plinio è che nella natura stessa possiamo trovare gli strumenti per migliorare la nostra vita e alleviare il dolore causato dalle malattie.

Per darvi un assaggio dell'opera, ecco cosa dice a proposito di elefanti. Oltre alle proverbiali qualità tra cui memoria, intelligenza e pudore, Plinio mostra interesse per numerose storie nelle quali il pachiderma manifesta amore per l'umano di riferimento, senso di giustizia, rifiuto di infierire contro i suoi simili, clemenza nei confronti di animali meno forti di lui e protezione dei più piccoli o deboli del proprio branco, in contrapposizione alla crudele bramosia degli uomini.

«Una volta le immagini degli dei erano in legno – ricorda con rammarico Plinio – ora sono in avorio al pari spesso con numerosi, lussuosi, e superflui oggetti di uso comune. Così la cupidigia induce gli uomini a una vera strage di questi animali, pacifici – a meno che non vengano assaliti, arrecando danni irreversibili all’equilibrio vitale ed ecologico di questa specie». Insomma, anche il pensiero ecologico sembra avere radici romane e Plinio non è l'unico a portarle avanti: idee riguardanti la necessità di preservare le specie per evitare la loro scomparsa, anche quelle feroci ed esotiche, è al centro di un importante discorso di Temistio, famoso oratore del IV secolo d.C.

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