I cambiamenti climatici stanno stanno già alterando profondamente la vita e gli ecosistemi del nostro Pianeta. Ma l'aumento costante di CO2 e la conseguente acidificazione degli oceani potrebbe persino modificare l'odore del mare, interferendo con la produzione e la percezione delle sostanze chimiche negli organismi marini. Un team di ricercatori guidato dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, ha scoperto infatti che l'acidificazione oceanica ostacola le comunicazioni chimiche tra le componenti vegetali e quelle animali marine, con conseguenze disastrose per gli ecosistemi.
«Il riscaldamento globale e l'acidificazione dei mari stanno influenzando profondamente il metabolismo degli organismi e sembrerebbero essere alla base delle alterazioni del sistema di comunicazione "odorosa" in mare», spiega a Kodami Mirko Mutalipassi, ricercatore dell'Anton Dohrn e primo autore dello studio pubblicato su Frontiers in Marine Science.
Il mare è pieno di odori
Noi esseri umani siamo abituati a un tipo di comunicazione basata prevalentemente sulla vista e sull'udito, due sensi certamente importanti anche per la vita marina che però molto spesso fa maggiormente affidamento sulla chimica e sugli odori: «Il mare è un ambiente permeato di odori – racconta Mutalipassi – e questi odori vengono trasformati in informazioni, gli infochimici, che gli animali marini utilizzano per esplorare il mondo, individuare il cibo o i predatori oppure per scegliere il partner. Fanno quasi tutto attraverso gli odori».
Piante e animali marini instaurano una intricata e intima relazione odorosa, ma questi odori e le relative informazioni che trasportano, possono però essere profondamente modificate dai livelli di acidificazione del mare. Una conseguenza indiretta del riscaldamento globale che stiamo esplorando solo ora, ma che potrebbe avere conseguenze nefaste non solo per la vita marina, ma anche per quella dell'uomo.
L'acidificazione interferisce con le comunicazioni odorose
«Ci siamo quindi chiesti – spiega Mutalipassi – quali e di che portata potessero essere gli effetti indiretti dell'acidificazione sulle comunità marine, specialmente quelle ad alta biodiversità, come le praterie di Posidonia oceanica. Abbiamo quindi osservato il comportamento e le interazioni chimiche tra alcune specie marine, riproducendo due tipi di ambienti, uno con i livelli attuali di pH e un altro con livelli molto più alti, quelli che stando ai modelli e ai tassi di inquinamento attuali potremmo raggiungere nel 2100».
Le specie oggetto di studio sono state due minuscole alghe, le diatomee Cocconeis scutellum e Diploneis sp., una macroalga (Ulva prolifera), e alcuni piccoli invertebrati tipici delle praterie di posidonia. Due piccole lumache marine (Alvania lineata e Rissoa italiensis), un specie di gamberetto (Hippolyte inermis) e un crostaceo ispodode (Idotea balthica). I ricercatori sono riusciti a dimostrare che l'acidificazione degli oceani altera gli odori rilasciati dalle alghe che di conseguenza modificando il comportamento dei piccoli invertebrati marini.
Come cambia il comportamento degli animali
«Le alterazioni causate da alti di pH rendono i molluschi meno reattivi, più statici – spiega Mirko Mutalipassi – come se li confondesse. Sui crostacei, invece, abbiamo osservato reazioni differenti. L'isopode, che è più generalista e adattabile, regge meglio il colpo, mentre gli effetti più importante si hanno sul gamberetto Hippolyte che ha instaurato una relazione molto stretta con la diatomea Cocconeis. Nella fase larvale e post larvale questo gamberetto ha bisogno di mangiare la diatomea per poter cambiare sesso, ma nel momento in cui c'è acidificazione, l'alga non produce più la molecola necessaria e il crostaceo non ne è più attratto».
Questa interruzione potrebbe quindi alterare il rapporto tra i sessi nella popolazione, che quindi non è più in grado di riprodursi e potrebbe estinguersi in tempi brevi. Le conseguenze di tutto non danneggiano solamente la vita invertebrata, ma potrebbero ripercuotersi a cascata su tutta la catena trofica fino ad arrivare all'uomo. Se vengono alterati i livelli base della catena alimentare, dove ci sono microorganismi, molluschi e altri invertebrati anche le popolazioni di pesci, tartarughe o cetacei che direttamente o indirettamente se ne nutrono potrebbero pagarne le conseguenze.
Anche noi umani potremmo pagare un prezzo molto alto
«L'acidificazione causata al riscaldamento climatico interferirà fortemente con la capacità delle specie marine di comunicare – conclude Mutalipassi – e questa cosa avrà pesanti conseguenze sugli ecosistemi, sulla vita degli animali e, indirettamente, anche sull'economia e la vita di molte popolazioni umane, soprattutto quelle nei Paesi in via di sviluppo che dipendono fortemente dalla pesca». Le conseguenze dirette e indirette della crisi climatica in corso potrebbero perciò essere molto più pesanti di quanto ritenuto finora.
Potremmo dover assistere ad animali che invece di scappare correranno in contro ai proprio predatori, altri che non riusciranno a riprodursi e altri ancora che non troveranno più da mangiare. Se a questo aggiungiamo anche l'impatto che tutto ciò avrà sulla pesca e sull'economia di alcune comunità umane, lo scenario è tutt'altro che rosea.