Tra le teche di vetro e gli scheletri esposti, c'è una nuova voce che si fa strada tra le sale dei musei e che dà nuova vita agli animali impagliati e non. È l'Intelligenza Artificiale (AI) che, grazie alla tecnologia, riesce a far "parlare" gli animali che abitano da secoli questi spazi. Dai corpi imbalsamati ai fossili antichi, creature da tempo scomparse possono finalmente raccontare la loro storia, e persino riflettere sul proprio "aldilà".
Questo affascinante esperimento è nato all'interno del Museo di Zoologia dell'Università di Cambridge, dove più di una dozzina di reperti – tra cui uno scarafaggio americano, i resti di un dodo e uno scheletro di balenottera – sono stati "rianimati" con personalità, accenti e la capacità di conversare.
Il progetto, ideato da Nature Perspectives, ha l'ambizioso obiettivo di avvicinare i visitatori alla crisi della biodiversità attraverso interazioni dirette con questi animali, un'opportunità unica per ascoltare storie che raramente trovano spazio sulle targhette dei musei.
Dare voce ai reperti: un nuovo modo di vivere i musei
Jack Ashby, vicedirettore del museo, ha spiegato al Guardian come questa applicazione dell'intelligenza artificiale sia una prima assoluta: «Molti musei stanno utilizzando l'AI in modi diversi, ma questa è la prima volta che parliamo dal punto di vista dell'oggetto esposto».
Ogni reperto, che sia un mammifero, un rettile o un insetto, è stato dotato di dettagli specifici sulla propria vita, l'ambiente naturale in cui viveva e come è finito nel museo. E così, una balenottera può narrare le sue esperienze nei vasti oceani, un dodo riflettere sulla propria estinzione e uno scarafaggio parlare delle difficoltà della sopravvivenza quotidiana.
L'AI è anche in grado di adattare il tono e il linguaggio in base all'età del visitatore, parlando in oltre 20 lingue differenti, dallo spagnolo al giapponese. Ogni animale ha un accento che richiama persino la propria provenienza: il panda rosso ha un'inflessione himalayana, l'ornitorinco conversa come un vero australiano, e il comune germano reale parla con un accento tipicamente britannico. Questo approccio innovativo non solo rende più vivaci le esposizioni e le passeggiate tra le sale del museo, ma permette anche di esplorare argomenti complessi in modo coinvolgente e accessibile.
Conversazioni oltre le polverose targhette
La vera particolarità di questa iniziativa risiede naturalmente nell'interazione diretta. Utilizzando il proprio smartphone, i visitatori possono porre domande agli animali che rispondono in modo sorprendentemente personalizzato. Per esempio, un visitatore potrebbe chiedere alla balenottera "raccontami della vita nell'oceano aperto" e ricevere una risposta dettagliata sulla vastità del suo habitat e le sfide quotidiane che affrontava. Ma non finisce qui: la conversazione può diventare persino profonda, toccando temi più complessi come la conservazione e il ruolo degli esseri umani nella crisi ecologica che stiamo vivendo.
Una delle interazioni più intriganti è naturalmente quella con l'ormai estinto dodo, uno degli esemplari più completi al mondo. Quando gli è stato chiesto cosa mangiasse, ha descritto la sua passione per i frutti delle Mauritius, e come il suo becco ricurvo fosse perfetto per rompere i semi duri dell'albero tambalacoque, non a caso chiamato anche "albero del dodo". Ma ciò che colpisce di più è la riflessione che l'AI ha condiviso sul potenziale ritorno della specie attraverso la clonazione: "Anche con tecniche avanzate, il nostro ritorno richiederebbe non solo il nostro DNA, ma l’ecosistema delicato della Mauritania che sosteneva la nostra specie". Un promemoria commovente di come ogni essere viventi sia strettamente legato al suo ambiente naturale.
AI e coscienza ecologica: verso una nuova prospettiva?
Questo progetto non solo offre un nuovo modo di esplorare il mondo naturale e i reperti museali che talvolta da secoli raccolgono polvere, ma punta anche a raccogliere dati preziosi su cosa catturi l'interesse dei visitatori. Le conversazioni con gli animali vengono analizzate per capire meglio le domande che le persone pongono, fornendo spunti su come migliorare l'esperienza educativa e, allo stesso tempo, sensibilizzare sulla crisi della biodiversità. «L'esperienza è stranamente umana», ha sottolineato Ashby, ricordando le sue prime interazioni con gli esemplari. «Ho iniziato chiedendo "dove vivevi?" e "come sei morto?", ma sono poi finito a fare domande molto più profonde».
Domande che, in fondo, riflettono le nostre paure, le nostre speranze e la nostra curiosità, e che ci fanno forse sentire più vicini a questi animali ormai perduti per sempre, sperando cresca il desiderio in chi riceve le risposte di non vedere ripetere certe storie. In un mondo in cui siamo sempre più distanti dalla natura, queste conversazioni con gli animali dei musei potrebbero rappresentare un nuovo modo per risvegliare la nostra coscienza ecologica e stimolare una riflessione sul nostro impatto per il pianeta. Grazie all'AI, gli animali non sono più solo oggetti silenziosi dietro a una teca, ma interlocutori che ci ricordano la bellezza e la fragilità della biodiversità.