Erano gli anni Novanta quando l'attore Robert Redford divenne il volto dell'uomo che sussurrava ai cavalli nell'omonimo film: il cowboy era l'unico capace di comprendere il linguaggio degli equini e comunicare con loro. A trent'anni di distanza dall'uscita della pellicola campione d'incassi, è il ministro italiano Francesco Lollobrigida a raccoglierne l'eredità: sui social ha infatti dichiarato che «un modo per verificare il benessere animale in una azienda agricola è “chiederlo” direttamente a loro».
Secondo Lollobrigida, immediatamente ribattezzato sui social come "il ministro che sussurrava alle mucche", se queste «si avvicinano all’uomo senza timore significa che lo considerano un loro amico». Dichiarazioni che non dovrebbero sorprendere dopo quelle secondo cui «l'essere umano è l'unico essere senziente», ma che hanno innescato la risposta della Lav, tra le maggiori associazioni di tutela animale in Italia.
«Basta guardare l'immagine che ha pubblicato per rendersi conto che queste affermazioni non hanno alcun tipo di fondamento – commenta a Kodami Bianca Boldrini, responsabile settore Animali degli allevamenti Lav – Si tratta infatti di bovini in allevamento a posta fissa, una modalità che li costringe a stare fermi nella stalla».
Gli allevamenti a posta fissa sono tra i più utilizzati perché permettono di stipare un gran numero di animali in uno spazio ridotto: i bovini possono così compiere solo i movimenti necessari per mangiare, bere e sdraiarsi.
«Non sorprende che la mucca abbia fatto i pochi metri verso l'essere umano che aveva di fronte – continua Boldrini – Lollobrigida si trovava proprio sopra la mangiatoia e in quel contesto l'uomo è associato al cibo: è del tutto comprensibile quindi che si avvicinano. Questo però non ha nulla a che vedere con il benessere».
Il tema del benessere animale è estremamente complesso, soprattutto se si guarda a ciò che accade negli allevamenti dove i bovini hanno come unico orizzonte il macello, come ricorda l'attivista: «La mucca non si è avvicinata per avere carezze, sostenere questo significa non conoscere nulla dell'etologia del bovino. Proviamo a vedere quanto si avvicinerebbe un bovino da latte al sistema di mungitura o al camion che lo porta al macello». Dalle immagini raccolte dai volontari non è difficile immaginare la risposta: gli animali pur avendo conosciuto unicamente la vita di stalla quando si trovano davanti a queste situazioni si lamentano e cercano di allontanarsi il più possibile.
«Sono stati progettati dalla selezione genetica per gli scopi alimentari dell'essere umano – ricorda Boldrini – Non conoscono nulla se non questa vita. Anche questi individui però hanno bisogni etologici e fisiologici molto diversi da quelli del sistema zootecnico, basti pensare che la normativa italiana relativa ai requisiti minimi di benessere negli allevamenti prevede il taglio del becco per gli avicoli o della coda dei suini. Come si può parlare di benessere all'interno di un comparto che prevede mutilazioni?».
Negli anni Sessanta si parlò per la prima volta in maniera programmatica di questo concetto grazie al Rapporto Brambell, pubblicato in Inghilterra nel 1965 che descrisse le 5 libertà di un animale come:
- Libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione;
- Libertà dai disagi ambientali;
- Libertà dal dolore, dalle malattie e dalle ferite;
- Libertà di poter manifestare liberamente le caratteristiche comportamentali specie-specifiche;
- Libertà dalla paura e dallo stress.
Punti fermi che però negli allevamenti vengono continuamente disattesi. Secondo gli ultimi dati diffusi dalla Fao, in Italia, annualmente si macellano circa 600 milioni animali, di cui 2 milioni e 770 mila bovini, 11 milioni di suini, 562 milioni tra polli e tacchini, 16 milioni di conigli.
«Dove c'è sfruttamento non ci può essere benessere, e le parole del ministro dell'Agricoltura ci portano indietro di decenni», conclude l'attivista Lav.