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31 Maggio 2023
17:25

Gli animali che si drogano e ubriacano

Anche altri animali, oltre a noi, assumono volontariamente droghe. Molte testimonianze sono poco attendibili, ma su un paio di specie, il ptilocerco dalla coda a piuma e l’elefante africano, la letteratura scientifica riporta qualche dato in più.

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Membro del comitato scientifico di Kodami

Se lo fanno perché il mondo gli fa schifo, come sosteneva Jim Morrison, non è dato saperlo, ma che altri animali, oltre a noi, assumano volontariamente droghe è possibile. Le assumono attraverso diverse vie di somministrazione, da quella orale a quella endovenosa, avendone la possibilità. Se viene fornito un accesso endovenoso volontario illimitato all'eroina o alla cocaina, ad esempio, i topi e i ratti possono facilmente morire per overdose, ma possono anche bere volontariamente quantità tali di alcol da intossicarsi pesantemente.

Esistono numerose segnalazioni di animali selvatici che mostrerebbero segni di “fattanza”, inclusi vari mammiferi. A prima vista può sembrare bizzarro, se si pensa che l'uso di droghe psicoattive negli esseri umani è generalmente ritenuto un’abitudine relativamente nuova nel nostro sviluppo culturale: può dunque esistere davvero una somiglianza tra il consumo di droghe negli altri animali e il nostro?

elefante
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Ebbene, se partiamo dal presupposto che l'evoluzione dei nostri antenati umani e degli animali è avvenuta in un mondo ricco di droghe, secondo una teoria alternativa l'assunzione di droghe e alcol avrebbe sempre fatto parte della routine quotidiana dei mammiferi e di altre specie. Quindi, l'assunzione occasionale e persino a lungo termine di droghe psicoattive prodotte da una varietà di piante, o l'ingestione di alcol attraverso prodotti vegetali ricchi di zucchero fermentabile, potrebbe essere un comportamento trasversale nel regno animale, modellatosi nel corso di milioni di anni. Va detto che, contrariamente a quanto osservato in laboratorio, le segnalazioni riguardanti gli animali a vita libera sono quasi tutte aneddotiche, ai limiti della leggenda.

Su un paio di specie, il ptilocerco dalla coda a piuma e l’elefante africano, la letteratura scientifica riporta qualche dato in più.

Il ptilocerco dalla coda a piuma

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I ptilocerchi dalla coda a piuma (Ptilocercus lowii) della Malesia occidentale sono noti "sbevazzatori notturni". Assumono cronicamente alcol attraverso il nettare alcolico dei boccioli della palma Eugeissona tristis, raggiungendo livelli pericolosi per altri mammiferi, tra cui l’uomo, senza tuttavia mostrare incoordinazione motoria o altri segni indicativi di uno stato di ebrezza. I ricercatori hanno dimostrato una relazione mutualistica tra questi piccoletti del genere delle topaie, che fungono da impollinatori, e la palma produttrice del nettare di bacco, che fermenta in alcol al 3,8% per azione di lieviti simbiotici.

Il fatto che il ptilocerco dalla coda a piuma sia, dal punto di vista ecologico e comportamentale, molto simile all'ultimo antenato comune di tutti i primati, che viveva 55 milioni di anni fa, porta a ritenere che l'esposizione a simili livelli di alcol sia stata significativa all'inizio dell'evoluzione di diversi lignaggi dei mammiferi, inclusi i primati.

L’elefante africano

elefante africano

Nel 1839 è il naturalista francese Louis-Adulphe Delegorgue a riferire i racconti che egli stesso aveva ricevuto dalle sue guide Zulu riguardo al comportamento stranamente aggressivo mostrato dagli elefanti africani maschi (Loxodonta africana) dopo essersi cibati dei frutti della marula, un albero delle savane decidue dell'Africa meridionale parente del mango (famiglia delle Anacardiaceae). Nel tempo sono poi seguiti numerosi resoconti di elefanti usciti pericolosamente brilli da negozi di vino o birra in India, parzialmente supportati dai riscontri di Siegel e Brodie, nel 1984, secondo i quali gli elefanti chiaramente gradiscono l'alcol, che tuttavia può avere effetti deleteri sul loro comportamento. Si ritiene che la marula abbia proprietà curative e i suoi frutti, ricchi di proteine e di vitamine, sono tradizionalmente fermentati dalla popolazione locale per produrre vini.

Diversi mammiferi erbivori brucano questa pianta, e tra questi troviamo la giraffa, il rinoceronte e, appunto, l'elefante africano. Per quanto non sia dimostrato che arrivino addirittura a sbronzarsi, quando la frutta è disponibile, gli elefanti possono nutrirsene selettivamente, sino ad esagerare. Tuttavia, non sembra che il frutto raggiunga una gradazione alcolica tale da poter causare intossicazione in un elefante. Pertanto, il comportamento fuori controllo degli elefanti descritto dagli Zulu potrebbe essere dovuto a un’altra sostanza inebriante diversa dall'alcol. Ad esempio, la corteccia ospita pupe di coleottero tradizionalmente utilizzate dal popolo San per avvelenare le punte delle frecce; o ancora, i frutti di marula sono straordinariamente ricchi di alcune vitamine, tra cui la niacina/vitamina B3, che a dosi elevate possono causare effetti collaterali evidenti. Inoltre, il fatto che il comportamento inaspettatamente aggressivo venga più spesso segnalato nei maschi di elefante, potrebbe far pensare che, semplicemente, sia espressione della loro forte motivazione a difendere una preziosa fonte di cibo.

Bibliografia

Nesse RM., Berridge KG. Psychoactive drug use in evolutionary perspective. Science. 1997;278(5335):63–66.

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Wiens F., Zitzmann A., Lachance MA., et al Chronic intake of fermented floral nectar by wild treeshrews. Proc Natl Acad Sci U SA. 2008;105(30):10426–10431.

Morris S., Humphreys D., Reynolds D. Myth, marula, and elephant: an assessment of voluntary ethanol intoxication of the African elephant (Loxodonta africana) following feeding on the fruit of the marula tree (Sclerocarya birrea). Physiol Biochem Zool. 2006 Mar-Apr;79(2):363-9.

Nel 2003 mi laureo in Medicina Veterinaria. Dal 2008 sono ricercatrice presso l’Università degli Studi di Milano, dove insegno Etologia Veterinaria e Benessere Animale. Studio il comportamento degli animali e la relazione uomo-animale.
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