Alcuni elementi, in natura, contribuiscono a rendere magiche le notti d’estate, e tra questi troviamo sicuramente quei piccoli coleotteri luminosi che comunemente chiamiamo lucciole. Queste non sono le uniche forme terrestri capaci di autoilluminarsi: sanno farlo anche alcuni vermi, ad esempio, molte creature marine e persino il legno in decomposizione.
Questo fenomeno naturale, noto sin dall’antichità, si chiama “bioluminescenza” e indica la capacità che hanno alcune specie attive durante la notte, o che vivono in luoghi scarsamente illuminati, di generare luce producendo poco, o nessun, calore. Alla base vi è una reazione chimica che richiede ossigeno: attraverso l’ossidazione di una proteina, detta luciferina, l’energia chimica viene convertita in energia luminosa visibile.
Non sono tante le specie che includono animali bioluminescenti, tuttavia questa capacità è presente in oltre 700 generi appartenenti a 13 phyla, che coprono tutti i regni, eccetto quello delle piante e degli archea, antichi organismi unicellulari che vivono in condizioni ambientali estreme, come le paludi e le sorgenti sulfuree.
L'80% degli organismi bioluminescenti comunque abita nel mare, e si tratta principalmente di batteri, cnidari come le meduse, anellidi, molluschi, invertebrati planctonici, crostacei e pesci. Gli animali luminosi terrestri e d'acqua dolce sono rappresentati da lombrichi, lumache e patelle, lucciole, scarafaggi e alcune larve di insetti.
Chi ha scoperto la bioluminescenza?
Il primo a riconoscere la bioluminescenza degli organismi è stato Aristotele (384-322 a.C.), che nel De Anima scrisse della luce che genera l’acqua di mare quando è agitata, e del bagliore emesso dai pesci morti o dalla carne, riferendosi a quella condizione che oggi sappiamo essere provocata dall’azione di batteri bioluminescenti.
Secoli dopo, è Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nella sua Naturalis Historia a descrivere abbastanza dettagliatamente altri animali bioluminescenti, tra cui alcuni funghi. E famosi sono pure gli avvistamenti di Cristoforo Colombo che, nel 1492, riferiva di misteriose luci nel mare vicino a San Salvador, probabilmente generate dai vermi marini Odontosyllis, comuni abitanti di quelle acque caraibiche.
Nel 1667, lo scienziato Robert Boyle pubblicò i primi studi con la dimostrazione di alcuni meccanismi alla base della bioluminescenza e circa un paio di secoli dopo fu la volta di Charles Darwin, che, a bordo del Beagle, nel suo diario di bordo descrisse nuovamente la luce nell'acqua, parlando di un "mare lattiginoso".
Infine, l’individuazione di una proteina responsabile della bioluminescenza marina, la proteina green-fluorescent, nel 2008 portò all'assegnazione del Premio Nobel al chimico giapponese Osamu Shimomura, insieme a Martin Chalfie e Roger Tsien.
Come funziona la bioluminescenza?
Il requisito essenziale perché avvengano le reazioni di bioluminescenza è la presenza dell'ossigeno. La luce della maggior parte dei sistemi bioluminescenti può solo attenuarsi, e non spegnersi, perché anche quantità estremamente piccole di ossigeno riescono comunque a mantenere queste reazioni a un livello minimo. E non appena le concentrazioni di ossigeno nell’aria aumentano, ecco che la luce riesplode prontamente.
Nei gamberetti bioluminescenti, la reazione avviene all'esterno dell'organismo. In alcuni animali, invece, la reazione avviene nelle cellule e in altri ancora, come la rana pescatrice, essa è prodotta da batteri simbiotici che vivono nell'organismo.
A cosa serve la bioluminescenza?
Le funzioni biologiche della bioluminescenza possono essere varie. Nella maggior parte degli animali bioluminescenti, questa abilità si è evoluta nell’ambito del comportamento predatorio, per attrarre le prede o per disturbare i predatori. In alcune specie, come le lucciole, ha invece una funzione comunicativa tra maschio e femmina, nel contesto sessuale.
Il verme di fuoco delle Bermuda
Periodicamente in un ciclo lunare, i vermi di fuoco delle Bermuda (Odontosyllis enopla) lasciano il benthos mostrando una stupefacente bioluminescenza. Durante i mesi estivi e all'inizio dell'autunno, nelle prime notti dopo la luna piena, sciamano trasportando uova o sperma. Le femmine che depongono le uova nuotano lentamente in cerchio, secernendo un muco luminoso verde-bluastro brillante.
I maschi nuotano rapidamente verso le femmine luminose, emettendo brevi lampi di luce prima di rilasciare i propri gameti. Questi eventi sono altamente prevedibili, in quanto iniziano sempre all'incirca un'ora dopo il tramonto e continuano per 10–30 minuti.
Il calamaro vampiro
Il calamaro vampiro (Vumpyroteuthis infernalis) è l'unico membro della sottoclasse dei cefalopodi Vampyromorpha. L'arcaico cefalopode si nasconde nell’oscurità delle acque profonde e povere di ossigeno al largo di Monterey Bay, in California. È ricoperto da organelli che producono luce, grazie ai quali crea spettacoli abbaglianti con cui disorienta i possibili aggressori.
La lucciola
La lucciola appartiene alla famiglia Lampyridae del genere Coleoptera. Nelle lucciole, il maschio alato produce i noti bagliori in volo, mentre le femmine recettive rispondono con lo stesso segnale ma da terra, perché sono attere dall’aspetto larviforme.
Le diverse specie di lucciole emettono una bioluminescenza di colori vari: in alcune è verde, in altre più giallo-arancio. Altre due famiglie nel genere Coleoptera, oltre alle lucciole, sono bioluminescenti.
I coleotteri delle famiglie Elateroidae e Phengodidae emettono bioluminescenza che va dal verde al rosso. Alcune specie all'interno di queste due famiglie, poi, hanno organi luminosi che emettono ciascuno un diverso colore di bioluminescenza: lo scarabeo giamaicano Pyrophorus plagiophthalamus, che si illumina di luce verde e arancione, e il verme ferroviario sudamericano Phrixothrix hirtus, che produce luce gialla sui fianchi e luce rossa in corrispondenza della testa.
La medusa
Pelagia noctiluca
Nel Mar Mediterraneo vivono le meduse bioluminescenti, come quelle del genere Equorea e del genere Pelagia. Sono meduse liberamente natanti, passive alla corrente che si muovono solitarie o in gruppi. Vivendo in superficie, l'emissione di luce non avrebbe gran valore di giorno, perché sarebbe poco visibile. Questi organismi, quindi, mostrano un ritmo giornaliero di bioluminescenza, con emissione di flash luminosi verdi solo durante le ore notturne.
Lo squalo
Tra i pesci cartilaginei, solo gli squali hanno sviluppato la capacità di emettere luce. La bioluminescenza negli squali sembra peraltro limitata a tre famiglie di Squaliformi: Dalatiidae, Somniosidae ed Etmopteridae.
Si contanto in tutto 15 specie, per un totale di 62 squali luminosi, tra cui troviamo lo Etmopterus bigelowi; lo squalo lanterna meridionale, Etmopterus granulosus; lo squalo lanterna dal ventre nero, Etmopterus lucifer; e lo spinarolo, Trigonognathus kabeyai.
Gli organi luminosi degli squali si trovano prevalentemente sulla superficie ventrale e producono una luce il cui colore è simile a quello di fondo dell’ambiente costiero (blu-verde) e oceanico (blu). La funzione di questa bioluminescenza non è ancora del tutto chiara, anche perché gli squali sono animali rari ed elusivi, pertanto difficili da osservare.
Condurre su di loro studi etologici è molto complicato. Sembra che la funzione principale sia la controilluminazione, una tecnica di mimetizzazione utilizzata dagli organismi a mezz'acqua sia per scopi difensivi che per predazione: creando un bagliore ventrale che imita la luce solare a valle, essi mascherano la propria silhouette agli animali che arrivano dall’alto, siano essi potenziali prede o predatori. Altre funzioni plausibili sono la comunicazione intraspecifica, l’identificazione a distanza delle femmine da parte dei maschi, e l'aposematismo.
Bibliografia
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