Giotto, l’artista della pet therapy: la storia del cane che suona il piano e ama alla follia gli umani

Giotto dal 2015 lavora nell'ambito degli Interventi Assistiti con gli Animali, distinguendosi per il suo puro talento musicale e per la sua attitudine nell'interagire con bambini affetti da disabilità e anziani. La sua umana ha deciso di raccontarci la loro storia.

10 Ottobre 2023
19:14
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Giotto è un Jack Russell a pelo ruvido che dal 2015 lavora nell'ambito degli Interventi Assistiti con gli Animali, distinguendosi per la sua spiccata socialità, per il suo puro talento musicale (sì, Giotto ama suonare il pianoforte) e per la sua attitudine nell'interagire con bambini affetti da disabilità e anziani.

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Sono innumerevoli e indiscutibili i benefici che gli animali apportano alla nostra società, tanto da essere sempre più utilizzati in contesti terapeutici. L’espressione che più ci suona familiare in questo caso è “pet therapy”. Non trattandosi di una vera e propria terapia, ma piuttosto di attività di supporto a una terapia, il termine pet therapy è stato sostituito appunto dall’espressione “Interventi Assistiti con gli Animali” (IAA).

Adesso Giotto ha 12 anni, ma lui e Margherita Brunello, la sua umana, si conoscono da quando aveva appena tre mesi di vita. A raccontare a Kodami come la coppia, diventata inseparabile, si è affacciata a questo meraviglioso mondo fatto di empatia, ma anche di tanto lavoro, è la stessa Margherita, nostra affezionata lettrice: «Giotto era il cucciolo più “appiccicoso” tra cinque fratelli, tre femmine e due maschi, e i suoi genitori sono entrambi Jack Russell, mamma a pelo ruvido e papà a pelo liscio − racconta Margherita − Lui e una delle sorelline presero tutto dalla mamma e la proprietaria del rifugio ci spiegò quanto Vivaldi (così l’aveva chiamato, da grande appassionata di musica classica) fosse coccolone, affettuoso e amasse la vicinanza e il contatto fisico con gli umani».

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Per Margherita fu amore a prima vista, ma non poteva neppure immaginare quanto proprio quelle caratteristiche che tanto l'avevano colpita del cucciolo che aveva appena adottato, avrebbero cambiato per sempre la sua vita.

«E fu così che arrivò a casa Vivaldi, un nome che mi parlava dato che in quel periodo stavo per laurearmi al DAMS musica e per iniziare il Conservatorio in sassofono jazz − continua la ragazza − Mi sembrava che ci fosse già un legame tra noi. Venne con me a Bologna, ma alla fine, dopo averlo conosciuto meglio, decisi di cambiare il suo nome e scelsi il meno altisonante e più simpatico Giotto!».

Basta davvero poco per insinuare in Margherita il sospetto che quell'amore smisurato nei confronti degli umani non fosse solo dovuto alla giovanissima età del cane.

«Era ed è ancora bellissimo (sono di parte)! Tutti lo fermavano per strada, come spesso accade con i cuccioli e lui impazziva di gioia e si sedeva comodo per prendersi tutte le coccole del mondo. A volte, quando incrociavamo qualcuno sotto i portici bolognesi, mi sembrava che rallentasse di proposito, aspettandosi sempre un saluto e una carezza − spiega la ragazza − un po’ egocentrico e vanitoso come tutti i Jack Russell, ma in modo buffo. I suoi primi anni di vita li ha passati tra passeggiate al parco, concerti jazz, jam session, cinema (in uno in particolare sono stati sempre molto gentili, lasciandolo entrare senza problemi in sala). Scoprii che era un talento nato al pianoforte: con le sue zampine fraseggiava con un certo ritmo e stile e ci sono vari video che testimoniano la sua grande musicalità».

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«Questi aspetti del carattere di Giotto smentiscono i pregiudizi di tutti quelli che mi fermano chiedendomi: “Ma come è il Jack Russell? Fa tanti danni in casa? Sono tremendi mi dicono, il mio morde tutti, uno che conosco è fissato con la pallina, non vanno d’accordo con nessun cane, sono testardi, sono troppo vivaci ” − continua la giovane − Questi sono solo alcuni lati, spesso stereotipati, delle motivazioni di questa razza, e sono assolutamente convinta che ci si debba affidare a un educatore cinofilo fin da quando sono cuccioli per imparare a conoscerli davvero e, ancora prima di scegliere una razza, bisogna informarsi seriamente sulle sue caratteristiche e non decidere in base alla taglia, alle mode o perché ci è piaciuta in un film o in una serie TV».

Il Jack Russell, infatti, è un piccolo terrier pieno di vitalità e carattere. Nato come cane da caccia nelle campagne inglesi, ha trovato sempre più spazio come "cane da compagnia". Reso noto dal famoso film “The Mask”,  ha avuto grande diffusione proprio in seguito al grande successo del piccolo Jack Russell che impersonava il simpatico Milo, il cane del protagonista Jim Carrey. Questo purtroppo ha fatto esplodere una moda vera e propria: tantissime case piene di questi terrier, carini e della taglia giusta, ma con un carattere esplosivo e tenace. Per questo non bisogna mai dimenticare la sua origine: questo piccolo diavoletto pieno di vita è un compagno fedele ma bisogna imparare a conoscerne caratteristiche e peculiarità ed essere disposti a dedicargli tempo ed energie.

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Quando Giotto compie 4 anni, Margherita comincia a pensare che il suo amore per le persone, la socialità e la voglia di contatto fisico potevano essere coltivate e che, inoltre, potevano portare gioia e benefici anche ad altre persone.

«Giotto è un Jack Russell energico e un po' polemico con i cani maschi, per questo decisi di iniziare a coinvolgerlo nelle passeggiate socializzanti sui colli bolognesi organizzate da alcune educatrici cinofile SIUA: furono fondamentali per la sua crescita. Mi innamorai quindi del pensiero e del metodo di Roberto Marchesini, fondatore della SIUA – Scuola interazione uomo animale, e decisi di iscriverci al corso come operatori di pet therapy – Interventi Assistititi con gli Animali e, successivamente, al corso di zooantropologia didattica (disciplina che studia la relazione tra l’essere umano e gli animali da una prospettiva non antropocentrica). All’epoca non avevo la macchina, quindi arrivavamo al corso sempre un po’ trafelati tra treno, bus e passaggi e in classe non eravamo proprio degli studenti modello. Stare in classe per diverse ore di teoria e accettare di stare sulla sua copertina tranquillo, senza poter interagire con tutti gli altri cani presenti, mise a dura prova Giotto. Gli insegnamenti durante la parte pratica furono fondamentali per migliorare la nostra relazione, conoscere il significato del linguaggio del suo corpo ed entrare profondamente in sintonia. Un rapporto già bellissimo si consolidò ulteriormente e nel giugno del 2015 passammo l’esame di abilitazione! Durante l’autunno iniziammo a collaborare con l’associazione "C’era una volta il cane" con cui tuttora condividiamo tantissimi preziosi progetti».

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«Cominciammo il nostro percorso operando nei centri diurni per anziani e da subito Giotto si trovò perfettamente a suo agio, anzi la timida ero io. Ma vedendolo così sereno riuscivo a superare la paura di dire qualcosa di sbagliato o di pormi in modo scorretto. Ho un ricordo speciale di un progetto in una casa residenza per anziani in cui all’interno del gruppo selezionato c’era un signore dolcissimo di 90 anni grande appassionato di musica − ricorda con gioia Margherita − Amava cantare e dedicava alcune canzoni a Giotto durante le attività. Gli chiesi quindi di elencarmi i titoli delle canzoni che più gli piacevano per poterle studiare col mio strumento e come conclusione del progetto organizzammo un bellissimo momento musicale con Giotto al piano, io al sax e il signore che cantava, mentre tutti gli altri partecipanti ed educatori presenti ci seguivano in coro».

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Un'esperienza in particolare però, tra le tante, ha colpito Margherita.

«Da settembre del 2016, fino a giugno del 2017, ho svolto servizio civile presso il Centro Documentazione Handicap di Bologna. Chiesi se fosse possibile presentarmi con Giotto in alcuni giorni della settimana, descrivendo la sua indole e i progetti che da un anno stavamo svolgendo. Inizialmente erano titubanti, ma accolsero comunque l’idea. Bastò davvero poco ai dipendenti per capire quali erano i benefici che portava la sua presenza al Centro e Giotto divenne ben presto la mascotte ufficiale. In questo caso non si trattò di un progetto di pet therapy ufficiale e strutturato come gli altri, ma era come se fossimo in due a svolgere servizio civile ed era bellissimo vedere Giotto che spontaneamente girava per il centro accompagnando i ragazzi disabili in carrozzina, salendogli anche in braccio e interagendo con l’empatia che gli è propria».

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«Dopo poco iniziammo anche a lavorare nelle scuole, in particolare con casi di ragazzi affetti da sindrome dello spettro autistico. Ricordo ancora uno dei progetti più belli: Giotto interagiva con un bambino con la paura dei cani. I genitori erano convinti che non si trattasse di una fobia, ma che con la dovuta gradualità avrebbe potuto migliorare e non spaventarsi ogni volta alla vista dei cani − continua Margherita − Ci avvalemmo di alcune strategie di esplorazione dello spazio del bambino in aula e di quello dedicato a Giotto, anche tramite riproduzioni grafiche, e dopo qualche incontro il bimbo riuscì sedersi sulla riga di confine e successivamente anche ad entrare all’interno dell’area della classe predisposta per Giotto e per le sue necessità in seduta quali copertina, ciotola con l’acqua, kong o snack per i momenti di attesa».

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«Giotto, infatti, ha il suo borsone personale con vari oggetti e giochi utili per la seduta e non vi dico quanto inizia a scodinzolare felice ogni volta che mi vede prepararlo. Con l’aiuto di mia mamma ho anche realizzato un libro tattile dedicato alla giornata di Giotto. Alcuni elementi delle pagine si possono staccare e poi ricomporre e nell’ultima ci sono dei post-it dove i bambini e le persone anziane con cui lavoriamo possono lasciare un biglietto a Giotto (è la sezione “C’è posta per me”)».

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Sono passati 8 anni dal giorno in cui Giotto e Margherita hanno intrapreso il loro viaggio nel mondo degli Interventi Assistiti con gli Animali e non sembra che il piccolo, ma tenace Jack Russell si voglia allontanare dalle sue giornate circondato da umani: «I progetti sono stati davvero tantissimi. Giotto ora ha 12 anni, è in buona salute e non si è per nulla stancato della pet therapy. Anzi, quando ci siamo dovuti fermare forzatamente a causa del Covid, sembrava che risentisse un po’ dell’inattività, socievole com’è!».

Ma non è tutto. Giotto, da vera star, è stato anche invitato insieme alla sua umana a raccontare la loro storia presso la sede di Bologna dell’Università John Hopkins, istituto americano specializzato in ambito medico: «Nel 2020 siamo stati invitati a fare una presentazione , spiegando cosa significa lavorare nella pet therapy e quali sono i suoi benefici, chiarendo che non si tratta solo di accarezzare il cane o di appoggiarlo, se si tratta di taglia piccola, in braccio all’utente; lavoriamo in modo strutturato (analisi delle dimensioni di relazione e degli obiettivi specifici), secondo le linee guida nazionali, in un’equipe con veterinario esperto in IAA, responsabile di progetto, referente di intervento, figure di riferimento degli individui coinvolti e, ovviamente, coadiutore dell’animale. È fondamentale che il cane sia a suo agio nel contesto, per questo è giusto affrontare un percorso insieme e capire se davvero potrebbe piacergli vivere quelle situazioni, a volte non semplici».

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«Gli ultimi due anni ci hanno visti coinvolti in due progetti molto delicati, uno nel reparto psichiatrico femminile del carcere Dozza di Bologna, dove ci alternavamo con Cookie, storico collega di Giotto e la sua pet mate Silvia Oberoi, presidente dell’associazione "C’era una volta il cane", e l’altro presso il reparto disturbi del comportamento alimentare dell’ospedale Sant’Orsola».

«Giotto, Cookie, Sofia, Molly, sono tutti cani con i quali operiamo e tutti di razze diverse, alcune volte provenienti anche da canili, che hanno seguito un percorso strutturato e attentissimo alla loro indole e alle loro reazioni anche in contesti stressanti come si possono incontrare nei reparti psichiatrici o con bambini particolarmente vivaci. Negli anni si sono sempre dimostrati straordinariamente dotati di empatia e disponibili alla relazione con l’essere umano e grazie a loro speriamo di aver diffuso anche in altre persone la convinzione che il rapporto con l’animale sia basato sulla reciprocità e che una relazione più consapevole e sana con i nostri amici a quattro zampe ci aiuti ad abbandonare una visione ottusamente antropocentrica del mondo naturale in favore di una più olistica e interdipendente».

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