Stamattina tornano finalmente in mare. Dopo un lungo periodo di cure nel Centro di Recupero WWF di Molfetta, due Caretta caretta, le tartarughe marine più familiari per noi che abitiamo il Mediterraneo, prenderanno il largo dal Porto di Bari, scortate come vere superstar dai mezzi navali della Guardia di Finanza Puglia. Sarà il modo migliore di celebrare questa Giornata Mondiale delle tartarughe marine, che ogni anno il 16 giugno ricorda l’importanza di questi straordinari esseri viventi, classificati come rettili che respirano attraverso i polmoni anche se vivono soprattutto in acqua, che per le loro fattezze ci riportano indietro nei secoli, quasi arrivassero direttamente dalla Preistoria.
Domenica poi sarà la volta di un’altra tartaruga marina, curata fino ad oggi presso il Centro di Recupero WWF di Policoro (Potenza) che tornerà in mare grazie ai volontari del WWF e sempre domenica 19 a Marsala (Trapani) si potranno conoscere tutti i segreti di questi splendidi rettili marini nell’incontro organizzato, dalle 10:00 alle 12:30 presso il South Beach, dal WWF Sicilia. Il WWF infatti tiene molto a questa giornata, nata per ricordare il lavoro del professore di Zoologia all'Università della Florida Archie Carr, che dedicò gran parte della sua vita alla conoscenza e alla conservazione delle tartarughe marine, fondando la "Sea Turtle Conservarcy” che si occupa di ricerca, divulgazione e conservazione di queste specie.
Le minacce: la pesca non etica e l’inquinamento
«Nel Mediterraneo oltre 150.000 tartarughe ogni anno vengono catturate accidentalmente da ami da pesca, lenze e reti e oltre 40.000 muoiono. Solo in Italia, ogni anno 25.000 tartarughe marine vengono catturate da reti a strascico » spiega il WWF nell’ultimo report, pubblicato proprio in occasione della Giornata Mondiale che si celebra oggi. Le minacce che arrivano da una pesca non rispettosa dell’ambiente si aggiungono ad una situazione al limite anche sul versante inquinamento.
«Il Mediterraneo – continua infatti il report – è zona chiave per le tartarughe e hotspot di biodiversità, ma anche di minacce antropiche. È il mare che si sta scaldando più velocemente ed è “invaso” dai rifiuti: ogni anno, 570 mila tonnellate di plastica finiscono in mare. Questi due fattori, insieme alle attività da pesca intensiva e all’impatto con i natanti, agiscono su tutte le fasi del ciclo vitale delle specie di tartarughe marine, che nella lista Rossa della IUCN, compaiono come a rischio di estinzione.
A rischio ancora prima di diventare adulte e prendere il largo
Ogni anno migliaia di tartarughine riescono a rompere il guscio delle uova che le proteggono fino alla nascita e a prendere il largo. Molte di loro, però, non ce la fanno. «Tra le cause naturali di mortalità per le piccole tartarughe si contano la predazione, ad esempio da parte di volpi, e l’allagamento dei nidi a seguito di mareggiate a cui i nidi in prossimità della battigia sono soprattutto sensibili».
Fondamentali quindi le attività di monitoraggio che negli ultimi anni sono cresciute negli ultimi anni su tutta la costa italiana coinvolgendo centinaia di volontari che hanno prestato tempo ed energie per salvaguardare le prime fasi di vita di questi esseri grazie al lavoro di sensibilizzazione svolto dalle associazioni ambientaliste. «Grazie anche al progetto Life Euroturtles – spiega WWF – che ogni estate, coinvolgono centinaia di volontari che, affiancati da operatori esperti, hanno non solo collaborato nella ricerca delle tracce lasciate sulle spiagge dalle tartarughe marine, ma anche nella successiva tutela dei nidi. Queste operazioni hanno coinvolto più di 100 volontari che ogni anno percorrono a piedi circa 5.000 km di spiagge».
Attività di ricerca, monitoraggio, tutela dei nidi, recupero e riabilitazione di tartarughe sono le attività che quotidianamente coinvolgono associazioni e volontari. Soltanto grazie al monitoraggio in tutt’Italia, solo nel 2020, gli operatori e volontari del WWF Italia sono intervenuti su 108 nidi da cui sono emersi più di 5.000 piccoli che hanno raggiunto il mare.
La maggior parte dei nidi sono stati identificati in Sicilia, ben 81, seguita dalla Calabria con 26 e dalla Basilicata con 1 nido. Il risultato è da considerarsi particolarmente significativo se si pensa che nel 2019 i nidi ritrovati erano stati 46 e 26 nel 2018.
Anche le tecnologie più avanzate al servizio della ricerca: droni e GPS
La costante osservazione dei luoghi di riproduzione ha avuto un ulteriore impulso dall’uso di nuove tecnologie, come ad esempio i droni che permettono perlustrazioni dall’alto fondamentali per le valutazioni degli interventi successivi, soprattutto per quelle aree di difficile accesso a causa della conformazione del terreno.
«L’uso dei droni si è infatti rivelato particolarmente efficace nell’individuare le tracce lasciate dalle tartarughe marine sulla sabbia, per esempio dalle femmine in cerca di un terreno adatto perla deposizione – spiega il report. – La versatilità dei droni ha permesso l’individuazione tempestiva di questi tentativi di nidificazione, così come dei nidi a rischio di predazione o inondazione. Ciò ha consentito, dove possibile, l’intervento del team da terra per la messa in sicurezza delle uova».
Ma cosa succede quando finalmente dopo lunghi periodi di cure e riabilitazioni, che a volte possono durare mesi, presso i centri di recupero e gli ospedali attrezzati, le tartarughe marine tornano in mare? Come fare a monitorare il loro ritorno alle grandi profondità, le direzioni che prendono, il senso dell’orientamento che ogni anno le riporta a nidificare nello stesso punto dell’anno precedente? Già da tempo i rilevatori satellitari ha cominciato a dare il loro contributo per questo tipo di monitoraggio. Come la tartaruga Queen, Impigliata in ago e lenza, che stava soffocando fino a quando è stata recuperata ed operata grazie al Centro Recupero Tartarughe Marine di Brancaleone, in Calabria. Tornata libera in mare, grazie ad un GPS installato sul suo guscio ha raccontato il suo percorso fra le acque del Mediterraneo.
Il ruolo fondamentale dei centri di recupero
È proprio qui, nei centri di recupero diffusi su tutte le coste italiane, che le tartarughe ricevono le cure veterinarie di cui hanno bisogno e, se possibile, vengono liberate in mare dopo la guarigione. I centri di recupero del WWF si trovano a Policoro, Molfetta, Torre Guaceto e Capo Rizzuto e trattano circa 500 tartarughe l’anno, con una buona percentuale di individui curati e poi rilasciati in mare. Per raccogliere dati oltre a marcare tutte le tartarughe rilasciate con un tag satellitare sulla pinna, applicano dei tag GSM (Global System for Mobile communication), che permettono di seguire i movimenti della tartaruga nel corso del tempo in modo efficace e di identificare così le loro rotte, i loro habitat chiave, le aree di alimentazione e riproduzione.
Anche Legambiente per ridurre la mortalità delle tartarughe marine, ha istituito Centri di Recupero e Primo Soccorso: veri e propri ospedali dove le tartarughe in difficoltà vengono curate, riabilitate e restituite al mare. Sono oltre 1600 gli esemplari salvati negli ultimi 10 anni grazie alle strutture gestite dall’associazione. Al Centro di Manfredonia si aggiungono il Centro di Recupero di Talamone, gestito in collaborazione con il Parco Naturale della Maremma, il Marine Turtle Center di Pioppi nel Parco Nazionale del Cilento.
Legambiente collabora anche con l’AMP delle Isole Egadi nella gestione del Centro Recupero Tartarughe Marine di Favignana che si trova nel cuore dell’isola, ospitato nella residenza liberty di Palazzo Florio ed è aperto tutto l’anno, dal mese di settembre 2015, anche alle visite private. Operativo per la ricezione e la cura di esemplari di tartarughe marine in difficoltà accoglie gli esemplari di tartaruga recuperati nei Compartimenti Marittimi di Trapani e Mazara del Vallo.