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21 Maggio 2022
13:30

Gatti chiusi in casa per sei mesi l’anno: così un paese tedesco vuole difendere l’allodola

Nella città tedesca di Walldorf hanno deciso di imporre una sorta di lockdown per i gatti della durata di sei mesi. L'estrema richiesta delle autorità, trasformata poi in un’ordinanza ufficiale, ha l’obiettivo di tutelare l’allodola crestata, specie di uccello a rischio di estinzione, durante tutto il periodo della sua riproduzione.

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gatto

Terminato il lockdown per gli umani, nella città tedesca di Walldorf, nello stato del Baden-Württemberg, hanno deciso di imporne uno appositamente per i gatti che impedirà loro di uscire di casa da aprile fino alla fine di agosto per almeno tre anni.

La curiosa, e alquanto estrema richiesta delle autorità, trasformata poi in un’ordinanza ufficiale, avrebbe l’obiettivo di tutelare l’allodola crestata, specie di uccello a rischio di estinzione, durante tutto il periodo della sua riproduzione.

L’uccello, infatti, fa il nido a terra ed è perciò a forte rischio attacco felino. E dato che la popolazione di volatili è notevolmente diminuita negli ultimi decenni nell’Europa occidentale, anche l’amministrazione di Walldorf ha deciso di fare qualunque cosa per difendere la sopravvivenza della specie proteggendo fino a «ogni singolo uccellino». Anche perché studi scientifici dimostrano che più il benessere umano aumenta lì dove c'è maggiore varietà di volatili.

L’ordinanza ha disposto anche una multa salata per i pet mate che violeranno la norma: 500 euro se l’animale esce di casa e fino a 50mila nel caso dovesse ammazzare uno degli uccelli.

Ovviamente non tutti sono d’accordo con l’idea di dover tenere sotto chiave per mesi i gatti di casa e i malumori hanno già iniziato a farsi sentire. L’associazione locale per la protezione degli animali ha annunciato di voler ricorrere alle vie legali per impugnare il decreto che contiene questa azione sproporzionata.

La soluzione della comunità tedesca è simile a quella presa in Australia, dove i gatti dovranno essere tenuti al guinzaglio perché ritenuti responsabili, con le volpi, dell'uccisione di 2,6 miliardi di animali all’anno, alcune anche a rischio d'estinzione.

L’Allodola, (Alauda arvensis), il più comune e diffuso Alaudide del Paleartico occidentale, è una specie parzialmente migratrice e in inverno abbandona le aree più continentali e settentrionali del suo areale di nidificazione che si svolge principalmente da marzo (fine aprile in montagna) a settembre.

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La femmina costruisce il nido in una depressione del terreno in cui depone da 3 a 4 uova. La cova dura 10-13 giorni. I piccoli, poi, abbandonano il nido all’età di 8-10 giorni e riescono a volare dopo 16-20 giorni.

L’Allodola ha espanso il suo areale nel tempo in seguito alla deforestazione e all’espansione delle coltivazioni e dei pascoli. Nel nostro Paese abita durante tutto il periodo riproduttivo su tutto il territorio nazionale a parte la Puglia meridionale e gran parte della Sicilia.

Pur essendo considerata a livello globale dalla IUCN come specie “Least Concern” di "minor considerazione", tuttavia la popolazione è diminuita in Europa di almeno circa il 55% nel periodo 1980-2014, e del 20% nel periodo 2005-2017.

La popolazione italiana è stimata in 500mila-1 milione di coppie, pari a circa l’1.25% di quella continentale complessiva, e ha uno stato di conservazione considerato vulnerabile. Anche nel nostro Paese come all’estero la popolazione nidificante ha mostrato un importante decremento, stimato nel 25-35%.

Il drastico calo della specie nell’ultimo ventennio è dovuto principalmente all’intensificazione delle pratiche agricole e agli effetti negativi che queste hanno sugli ambienti riproduttivi e di svernamento. Ma anche al prelievo venatorio, anche se nel Piano di gestione europeo dedicato a questa specie è considerato un fattore di rischio d’importanza medio-bassa.

Per invertire il declino dell’allodola, bisognerebbe cambiare radicalmente l’attuale metodo di gestione agricola, cosa abbastanza impossibile. Esistono, però, alcuni interventi che potrebbero quantomeno frenare la preoccupante decrescita.

Recenti studi, per esempio, indicano che la riapertura di zone prative ha un effetto positivo, seppur limitato, per la specie. E un altro intervento che appare favorevole è l’ampliamento di zone con erba medica, pianta foraggera che consente in genere all’allodola di allevare le proprie nidiate. Inoltre, l’erba medica non richiede l’uso di pesticidi che rappresentano una delle principali minacce per questa specie. Infine, alcuni studiosi suggeriscono di sospendere l’attività venatoria a dicembre.

Infatti, alcuni studiosi ipotizzano che la caccia all’allodola in questo periodo vada a discapito soprattutto delle femmine, in quanto i maschi svernano più a nord di quest’ultime e ciò, impattando quindi sulla popolazione nidificante.

In conclusione: invertire il declino non è affatto impossibile a patto che sia mondo agricolo e che quello venatorio compiano degli sforzi significativi per salvaguardare il destino dell’allodola.

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Simona Sirianni
Giornalista
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