Causò la morte di due gatti con il veleno ma non sapeva di essere stato ripreso con un cellulare mentre nascondeva i corpi agonizzanti dei due animali all’interno della sua abitazione. Un uomo di 62 anni è stato condannato dal Gip del Tribunale di Bari Paola Angela De Santis a una multa di 6.750€ per il reato di uccisione di animali.
La pena, come spesso accade in questi casi, è stata però sospesa. A denunciare il caso sono state le associazioni ALI – Animal Law Italia, Enpa e Nati per Amarti che in una nota congiunta hanno lanciato l’allarme: «È necessario e urgente ripensare il sistema penale, anche gli animali meritano giustizia».
I fatti risalgono al 17 settembre del 2017 e sono avvenuti in un noto complesso residenziale di Casamassima in provincia di Bari. Una coppia si accorge che la propria gatta, una femmina gravida grigia, era finita nel patio della tavernetta del proprio vicino. Dopo aver provato a recuperare l’animale i due si accorgono che la povera micia, intrappolata assieme a un altro gatto, che in seguito si scoprirà essere di altri vicini, sta male e presenta i chiari segni di un avvelenamento. Mentre viene ripreso ciò che sta avvenendo con uno smartphone appare sulla scena anche l’uomo che, guidato a voce da una donna, presumibilmente sua moglie che si trovava all’interno dell’abitazione ma che no appare, provvede in tutta fretta a togliere dalla vista le tracce del misfatto.
«I gatti, prendi i gatti, fai presto», si sente chiaramente nel video. All’epoca la clip fece il giro dei social ma su Kodami omettiamo di mostrarvela a causa della crudeltà delle immagini contenute. L’uomo lancia i corpi dei due animali in tutta fretta all’interno facendoli sparire per sempre nel nulla. Dalla ripresa si distingue precisamente la presenza della ciotola con del cibo e del liquido rosso. Anche la Polizia Locale, chiamata immediatamente sul posto e a cui vengono mostrati i video dell’accaduto, non riesce a contattare i proprietari della villa.
Nonostante l’orrore poc'anzi descritto, cui ovviamente seguì denuncia pochi giorni dopo, la legge italiana consentirà al responsabile, così come individuato dal giudice, di non patire nessuna conseguenza concreta per la terribile condotta. Il nostro ordinamento, pur in presenza di una condanna, non considera abbastanza grave l’ingiustificata crudeltà del reo e sufficientemente rilevante la sofferenza causata a delle famiglie e a dei bambini che non avrebbero più rivisto il proprio animale domestico tornare a casa.
Questo esito è reso possibile anche dall'esiguità della pena massima prevista dal codice penale per il reato di uccisione di animali: 18 mesi di reclusione, in questo caso convertiti in pena pecuniaria, che di fatto non vengono mai scontati in caso di condanna proprio perché inferiori alla soglia che consente di beneficiare facilmente della sospensione condizionale della pena.
«Il problema è che i reati contro gli animali vengono considerati reati di serie B – spiega a Kodami l'avv. Alessandro Ricciuti, presidente di ALI, che assieme alle altre due associazioni coinvolte, Enpa e Nati per Amarti, ha affiancato le famiglie in questa vicenda – la sospensione condizionale della pena è una misura discrezionale che però nel caso di vittime non umane viene concessa praticamente sempre nei confronti di soggetti incensurati, nonostante l’efferatezza del reato, circostanza questa che sminuisce l’impegno nella sensibilizzazione a favore del rispetto delle leggi e della necessità di denunciare maltrattamenti e altri reati contro gli animali».
«Purtroppo questi episodi sono spesso sottovalutati eppure – conclude Ricciuti – sono precursori di condotte più gravi: gli studiosi di criminologia denunciano da lungo tempo che vi è una stretta correlazione tra violenza verso gli animali e successivi comportamenti antisociali e criminali, come anche l’FBI ha accertato. Anche per questo motivo da anni chiediamo che la risposta del sistema sia più rapida e incisiva e che le pene vengano elevate, affinché assumano funzione deterrente, oltre che per adattarle alla realtà sociale, come avvenuto in altri paesi».
Come già sottolineato nell'articolo, su Kodami preferiamo non pubblicare le immagini. Riteniamo che le immagini della sofferenza di un animale non aggiungano nulla a quanto ampiamente descritto.