Esistono delle specie che non sembrano essere cambiate più di tanto durante la lunga storia geologica del nostro pianeta e in generale nel corso della loro evoluzione. Sono i cosiddetti fossili viventi, specie che Darwin definì come particolari organismi ancora esistenti che presentano caratteristiche morfo-anatomiche e strutturali visivamente "primitive". Dal confronto con altre creature, infatti, le specie di animali e piante di questo tipo sembrano apparentemente immutate dal momento della loro comparsa negli strati geologici, tanto che esistono ritrovamenti di alcune specie, indistinguibili da quelle attuali, che risalgono addirittura a sedimenti dell'era mesozoica e paleozoica.
Il dibattito sui fossili viventi è stato tra i più accesi fra gli evoluzionisti nello scorso secolo. E la natura di questo confronto si spiega col fatto che per molti studiosi era impossibile immaginare una specie che non avesse subito delle modifiche dopo centinaia di milioni di anni di evoluzione, cambiamenti geologici e catastrofi ambientali. Per fortuna, con i progressi aggiunti alla scienza dalla sintesi moderna dell'evoluzione, che ha dato il via al neodarwinismo e alle successive riflessioni di Edward O. Wilson e Stephen J. Gould, tale dibattito si è assestato e oggi sappiamo bene come mai è stato possibile per diverse creature conservare delle forme arcaiche così a lungo, senza mutare più di tanto le proprie caratteristiche corporee.
Alcune specie di fossili viventi
Con il progresso delle ricerche zoologiche, il numero di fossili viventi è andato via via crescendo nel corso dei decenni. Per quanto però il numero di queste specie sia cresciuto, a livello divulgativo e popolare le specie più famose sono rimaste quasi sempre le stesse, anche perché hanno contribuito notevolmente al progresso delle conoscenze in campo biologico ed evolutivo.
Qui presenteremo in breve alcuni degli esempi "classici", descrivendone la storia e l'importanza che hanno avuto sulla teoria dell'evoluzione.
Nautilus
Il cefalopode Nautilus è fra i fossili viventi che ha portato maggiore clamore ed interesse. Essendo anche molto apprezzato negli acquari e all'interno delle collezioni malacologiche, il Nautilus rientrò difatti perfettamente all'interno del dibattito sull'evoluzione dei viventi, già al periodo dello stesso Darwin.
Gli esperti dell'epoca infatti si chiedevano come fosse stato possibile per una specie così "apparentemente inerme" sopravvivere in un contesto in continuo cambiamento come quello marino, dove l'evoluzione proposta da Darwin avrebbe dovuto spingere l'animale ad assumere maggiori sistemi di difesa nei confronti dei predatori.
All'epoca vittoriana infatti si sapeva già che il Nautilus era presente sulla Terra da molto tempo, ben prima dalla fine del Paleozoico. E la sua "longevità" era stata utilizzata da parecchi sostenitori della teoria creazionista, per mettere in dubbio la veridicità delle affermazioni degli evoluzionisti che avrebbero dovuto così spiegare l'immobilità evolutiva di alcune forme di vita. Ovviamente Darwin e i suoi sostenitori riuscirono a formulare una risposta convincente, dimostrando che il Nautilus in realtà fino al Triassico aveva mostrato cambiamenti importanti all'interno della sua morfologia e che si era sufficientemente adattato al suo ambiente, tanto da non aver avuto più molto bisogno di evolvere frequentemente nuove strategie, tali da cambiare la sua forma.
Come tutti i fossili viventi, ovviamente oggi sappiamo che anche il Nautilus internamente ha dovuto adattarsi costantemente a molteplici imput evolutivi. Basta considerare la necessità di stare al passo sotto al profilo immunologico, per comprendere come anche per il Nautilus sia stato necessario evolversi per produrre nuovi anticorpi capaci di difendere l'organismo dall'attacco di nuovi parassiti.
Questo apparente controsenso, di un fossile vivente immutabile all'esterno e che si evolve all'interno, è ciò che ha creato negli ultimi decenni i maggiori cortocircuiti nelle mente delle persone. Per fortuna, i biologi hanno chiarito meglio la questione, che sarà argomento del prossimo paragrafo. Prima però di affrontare questo tema, ci sono altri esempi di fossili viventi che è possibile considerare.
Celacanti
Le due specie di celacanto, appartenenti al genere Latimeria, sono pesci oceanici la cui riscoperta ha destato molto l'attenzione da parte della comunità pubblica, riguardo allo studio intensivo della biodiversità globale. Queste due specie, infatti, erano conosciute solo a livello paleontologico, con dei reperti che risalivano a circa 300 milioni di anni fa, fino a quando sulla fine degli ani 30 del secolo scorso cominciarono a susseguirsi degli avvistamenti a largo del Sud Africa.
La prima specie (Latimeria chalumnae) fu scoperta nel 1938 quando Marjorie Courtenay-Latimer, curatrice di un museo di East London, ne trovò un esemplare nel bottino di pesca di una nave locale. E il suo ritrovamento fu così dirompente da spingere diversi zoologi e botanici successivi ad intraprendere quella carriera, indotti proprio dal sogno di poter scoprire qualche altro fossile vivente simile al celacanto.
La seconda specie, invece, fu scoperta nel 1997, dalla coppia Arnaz e Mark Erdmann che si stavano godendo la loro luna di miele in Indonesia quando, presso l'isola di Sulawesi, si trovarono di fronte presso le bancarelle un pesce che non avevano mai visto, di cui raccolsero molte foto che pubblicarono su internet. Quelle foto permisero a degli esperti di identificare così quello che gli indonesiani chiamavano Rajah laut (re del mare), ma che successivamente fu noto a tutti come Latimeria menadoensis.
A differenza del Nautilus, la scoperta delle due specie di Latimeria sconvolsero del tutto il panorama accademico mondiale, poiché a quell'epoca nessuno poteva definirsi pronto nell'accettare l'attuale esistenza di una specie dalle caratteristiche così primitive. Anche perché dalla comparazione anatomica fra i resti fossili di pesci appartenenti ai Coelacanthiformes e gli esemplari attualmente viventi, è facile notare come questo ordine sia rimasto sostanzialmente invariato negli ultimi 300-400 milioni di anni.
Studi genetici effettuati su moderni esemplari di celacanti hanno però chiarito la ragione di questo fenomeno. Infatti, è stato dimostrato che il patrimonio genetico del genere Latimeria muta con estrema lentezza grazie a una capacità intrinseca della specie di subire un numero ridotto di mutazioni genetiche – che in pratica comporta una riduzione delle probabilità di produrre fenotipi differenti.
Limulo
Il limulo o il granchio a ferro di cavallo è un altro esempio di specie che si è particolarmente ben conservato nel corso delle ere. Il Limulus polyphemus infatti viene spesso paragonato a specie fossili vissute a partire dal Devoniano, ovvero di 400 milioni di anni, anche se in verità l'ordine di questi animali, gli xifosuri, è comparso sulla Terra solo molto più recentemente. La loro comparsa sarebbe infatti avvenuta nel Miocene, circa 20 milioni di anni fa, ma è pur vero che fra loro e i fossili dei loro progenitori la differenza morfologica non è propriamente facile da individuare, anche agli occhi degli esperti.
Il limulo comunque presenta delle caratteristiche che lo rendono molto apprezzato dalla ricerca evolutiva, poiché per esempio ha un sistema immunitario molto complesso, che ricorda quello degli animali che si sono evoluti più tardi, ha un sangue incolore che diventa bluastro se esposto all'aria aperta e ha delle strutture che sono molto utili per costruire l'albero evolutivo di tutti gli artropodi
Piante fossili viventi
Anche tra le piante esistono dei fossili viventi. Le più note sono la Zelkova sicula e la Ginkgo biloba, quest'ultima addirittura risalente al Permiano e divenuta simbolo della capitale del Giappone, Tokyo.
Esistono davvero i "fossili viventi"?
Quando si parla in gergo di fossili viventi, spesso si compie un po' di confusione. Anche gli stessi studenti iscritti alle facoltà di biologia o di scienze naturali, spesso interpretano queste specie come delle forme immutate e immutabili sul piano morfologico, anche se in origine questo concetto non prevedeva di certo una stasi evolutiva.
Lo stesso Darwin quando diede però la definizione di fossile vivente fece bene attenzione nel chiarire che solo apparentemente queste creature erano le stesse che si potevano trovare nei ritrovamenti. Conservare infatti una morfologia primitiva non voleva dire per Darwin che una specie potesse risalire a 300 o a 400 milioni di anni fa, come chiariscono oggi i biologi. Secondo molti studiosi il concetto di fossile vivente sarebbe persino da abbandonare, poiché implica da molto tempo una visione progressiva e superficiale dei processi evolutivi che non è quella reale.
Un celacanto attuale, infatti, è molto differente, per quanto simile, al suo antico parente del Permiano, come gli attuali Homo sapiens sono differenti dagli Uomini di Cro Magnon, che 35.000 anni fa conquistarono l'Europa.
Il modo con cui abitualmente si considerano oggi i fossili viventi secondo la scienza moderna sarebbe difatti altamente fuorviante, in quanto riporterebbe il concetto di scala naturae all'interno della teoria dell'evoluzione e non considera l’evoluzione costante, ramificata, di tutte le forme viventi, che necessitano di varie linee evolutive e d'interazione per sostenere lo sforzo biologico della sopravvivenza.
Sarebbe così più corretto considerare i fossili viventi non delle specie immutabili, ma forme che si sono modificate morfologicamente molto poco nel corso degli ultimi milioni di anni o che presentano una ridotta presenza di reperti paleontologici in grado di delineare meglio la loro evoluzione.
Anche perché sussiste una grande differenza fra l'evoluzione morfologica e l'evoluzione delle altre parti, soprattutto quelle molecolari, che fanno parte di un organismo. L'evoluzione morfologica infatti è molto più lenta, poiché i processi che coinvolgono strutture come ossa, apparati e muscoli necessitano di un maggior numero di mutazioni del DNA, che spesso possono essere anche deleteri all'organismo che li possiede; mentre le mutazioni che coinvolgono geni relativi all'organizzazione interna dei sistemi immunologici, come dei pigmenti o degli ormoni riescono a diffondersi in maniera molto più rapida all'interno di una popolazione, poiché se portano un vantaggio sono di più facile trasmissione alle generazioni future.
Il mito dei fossili viventi dunque starebbe per crollare. Non si tratta di specie realmente comparse centinaia di milioni di anni fa e mai più mutate, ma solo di organismi dotati di morfologie vintage, che sarebbero comunque, come le altre specie, in perenne evoluzione.