I fossili sono i resti o le tracce di tutti gli organismi che sono vissuti antecedentemente all'epoca attuale e che è possibile ritrovare prevalentemente in antichi depositi sedimentari. Un fossile per essere tale deve anche essere sopravvissuto all'alterazione geologica e litogenetica, ovvero il modello che rappresenta le relazioni delle rocce tra loro e con il magma nell'ambito della crosta terrestre. Sono molto utili agli scienziati in quanto da una parte permettono di datare le stesse rocce sedimentarie che li contengono, tramite una disciplina che viene definita cronostratigrafia. Ci permettono però anche di approfondire quale è stato il percorso evolutivo delle varie forme di vita, mostrando i vari passaggi evolutivi che si sono osservati sulla Terra nel corso dei miliardi di anni.
Talvolta i fossili sono anche molto utili per carpire informazioni paleoclimatiche e paleoecologiche, fornendo così spunti di riflessione che ci permettono di ricostruire la geografia e la disposizione dei continenti del passato.
La disciplina che studia la formazione dei fossili è la tafonomia, che distingue quattro fasi principali nel processo che trasforma la materia biologica vivente nelle rocce che estraiamo dai giacimenti: morte, seppellimento, trasformazione diagenetica, ovvero il cambiamento chimico-fisico subito da un sedimento, e fossilizzazione.
Tipi di fossili
Esistono diversi fossili che si differenziano per contenuto, tipo di conservazione, origine e disposizione. Alcuni di questi però non vengono considerati spesso dai non addetti ai lavori come dei "veri fossili", poiché non costituiscono parte dell'organismo di un animale. D'altronde sarebbe sbagliato non considerare tutte le tracce che è possibile individuare di chiara provenienza biologica ed è per questo che la scienza ha deciso di annoverarli nell'elenco dei fossili disponibili, per quanto ad essere maggiormente apprezzati sono sempre i ritrovamenti di organismi completi.
Le quattro classi principali di fossili che è possibile trovare all'interno di uno scavo sono quelle dei fossili originali, dei fossili per sostituzione, dei modelli o calchi e delle tracce. Tutti questi reperti hanno contribuito nel chiarire molti punti della storia evolutiva delle specie.
Resti originali
All'interno della categoria dei fossili che presentano resti originali ritroviamo tutti quei reperti che conservano buona parte delle loro ossa, dei loro organi e che sono il frutto della trasformazione chimica dello stesso carbonio presente all'interno dell'organismo, al tempo della sua morte. Questi organismi sono particolarmente apprezzati perché permettono di osservare nella maggioranza dei casi la morfologia dell'intero animale e alcune caratteristiche particolari, che altrimenti sarebbero molto difficili da individuare. Un esempio di questi particolari è il pelo della pelliccia nei mammuth lanosi scoperti in Siberia.
Usualmente sono reperti che presentano anche un'articolazione naturale degli scheletri ed un elevato livello di conservazione dei contenuti degli organi. Ovviamente, più andiamo indietro nel tempo, meno probabilità disponiamo di trovare un reperto originale che non sia già stato alterato dalla chimica e dagli spostamenti delle rocce.
Un esempio di fossile italiano definibile come resto originale è il reperto del nostro Scipionyx samniticus, un piccolo dinosauro teropode che è conservato al Museo civico di Storia naturale di Milano. Il suo fossile oltre a presentare l'interezza del proprio apparato scheletrico, dispone anche di molti organi complessi ed è presente su di una sottile lastra di roccia sedimentaria. Molti di questi fossili sono difatti conservati su sottili starti di roccia poiché il processo di fossilizzazione di questi resti prevede anche un pesante schiacciamento dei reperti.
Ulteriore esempio di fossile composto da resti originali è l‘ambra, in cui sono stati ritrovati inglobati numerosi esemplari di insetti, ragni e vegetali perfettamente conservati.
È molto difficile riassumere i vari processi che portano un organismo a divenire un fossile completo, esposto all'interno di un museo. Bisogna però per forza di cose sottolineare l'importanza degli ambienti anaerobi, ovvero privi di ossigeno, nei processi di fossilizzazione che producono resti originali.
L'ossigeno infatti garantisce la formazione sulla superficie del cadavere di moltissime colonie di batteri aerobici, che comportano la definitiva distruzione della materia organica e la perdita di tutte le informazioni provenienti dagli organi interni. Tale fenomeno avviene naturalmente e ha il nome di putrefazione.
La putrefazione ha il compito di riciclare i nutrienti e i minerali presenti all'interno dell'organismo, per renderli disponibili al resto dell'ecosistema, dunque gioca un ruolo fondamentale nel ciclo della vita sulla Terra. Impedisce però ai cadaveri di conservarsi ed è per questa ragione che non esiste possibilità di trovare un fossile con elevati segni di putrefazione. Sarebbe un controsenso. Gli ambienti anaerobici invece, come quelli che è possibile osservare tra i bitumi o sotto i letti argillosi di molti laghi, mari e fiumi, impediscono invece la comparsa dei batteri aerobici, favorendo la formazione di comunità microbiche che non hanno bisogno dell'ossigeno per sopravvivere. Questi trasformano la materia organica in roccia, tramite i processi di fermentazione, (di preciso si parla di carbonificazione), che fra tutti sono quelli che conservano meglio le strutture biologiche.
Anche il ghiaccio ha dimostrato di comportarsi molto bene come strumento di conservazione dei corpi. L'unico limite è che non esistono ghiacciai così profondi e longevi da risalire oltre l'era glaciale e in effetti gli unici fossili che è possibile trovare grazie alla crioconservazione sono quelli provenienti dalla megafauna di poche decine di migliaia di anni fa. Mammut, rinoceronti lanosi, orsi delle caverne, lupi e gli stessi esseri umani sono le principali specie che è stato possibile trovare interamente nei ghiacciai provenienti, per esempio, dalle Alpi o dalla Siberia. Ed il più delle volte questi fossili conservano anche i vari pigmenti naturali delle pellicce e della pelle, poiché non hanno subito la carbonificazione e l'alterazione batterica per via del freddo.
Resti sostituiti
I resti sostituiti sono invece il risultato della sostituzione dei componenti biologici con altri tipi di minerali, come la silice e la pirite.
In questo caso le strutture molecolari del corpo dell'animale sono state completamente sostituite da altri elementi che erano disponibili all'interno della soluzione presente fra le rocce, successivamente alla morte dell'organismo.
Prendiamo come esempio la permineralizzazione, ovvero la deposizione ed impregnazione nei tessuti organici dei minerali, con silice dei tronchi di moltissime antiche foreste risalenti al Carbonifero o al Permiano. In questo caso il fossile si è prodotto quando le sostanze acide generate dalla decomposizione hanno causato la deposizione della silice lungo i canali legnosi dei resti vegetali, tramutandoli in vera roccia. Questo fenomeno è osservabile anche con la pirite o il carbonato di calcio.
Il mantenimento della morfologia di questi reperti dunque in questo caso sarebbe garantita dalla percolazione e l'introduzione di minerali all'interno delle microcavità, che si sono create all'interno del fossile per la dissoluzione dei gusci, delle cavità e degli scheletri degli organismi. Minerali che poi mantengono l'impronta delle piante e degli animali, una volta solidificatisi e sostituitisi alla materia organica.
Modelli e calchi
In diverse occasioni, i processi di decomposizione e di dissoluzione chimica degli organismi hanno degradato nel tempo tutte le componenti di un fossile. In questi casi, ciò che ci rimane all'interno delle rocce è il calco, ovvero l'impronta della superficie dell'animale o della pianta che un tempo era conservata fra gli strati sedimentari.
Sui gusci possiamo anche distinguere i fossili dotati di modelli interni, ovvero che presentano la forma della parte interna, da quelli che presentano invece l'impronta della superficie esterna, noti come modelli esterni. La cavità che si viene a creare fra le due differenti superfici, che un tempo era riempita dal volume dell'animale, può riempirsi a sua volta di sostanze minerali. In questo caso si ottiene la riproduzione completa dell'originale.
Ovviamente i calchi possono essere anche le impronte lasciate dagli organismi sugli strati di roccia in cui avveniva la decomposizione ed è così che è possibile trovare le diverse impronte di felci, di tronchi, di pelle e così via.
Nei rari casi in cui a conservarsi sono state anche antiche tracce di piumaggio, come per esempio negli uccelli e nei dinosauri, la fossilizzazione prevede un rapido seppellimento dell'animale dopo la sua morte, presso un luogo in cui erano presenti sedimenti davvero molto fini, che azzeravano il rischio di produzioni microbiche.
Tracce fossili
Le tracce fossili più famose sono quelle prodotte dal movimento degli organismi sopra superfici umide e gelatinose. Le impronte dei passi dei dinosauri, come quelli degli antenati degli esseri umani presso Laetoli, sono di certo fra le più spettacolari, poiché permettono di immaginarsi gli animali che si muovevano al loro tempo, suggerendo magari che sia ancora possibile ritrovarli da qualche parte, lì vicino.
Dal punto di vista scientifico questi fossili vengono studiati dall'icnologia e i dati che è possibile estrarre da essi sono molto utili per comprendere, per esempio, il comportamento delle diverse specie, la loro grandezza, la velocità, l'andatura, la postura, le relazioni sociali.
Talvolta è possibile trovare anche tracce di antichi siti di nidificazione, in cui trovare i cumuli di fango e i detriti con cui gli animali proteggevano le loro nidiate. In questi giacimenti è molto elevata la possibilità anche di trovare gusci di uova fossilizzati o uova non schiuse, ritrovamenti che ci permettono di comprendere la fisiologia e le strategie riproduttive delle specie estinte.
Di solito le tracce si fossilizzano tramite le sotto-impronte, ovvero ad emergere oggi non sono le vere orme lasciate dalle zampe degli animali, ma i depositi sottostanti il suolo in cui camminavano i grandi animali. L'impronta infatti non imprimeva la sua forma solo sulla superficie, ma anche più in profondità lungo i primi centimetri che separavano i vari strati del terreno.
Fossili animali
Per una ragione strettamente affettiva, di solito i fossili più apprezzati sono quelli che provengono dagli animali. Questo perché giustamente riusciamo ad immedesimarci meglio con questi organismi rispetto ai reperti di origine vegetale o microbica, come le stromatoliti.
Quali sono però i fossili più comuni appartenuti agli animali?
Oltre ai reperti che risalgono all'era dei dinosauri e dell'era glaciale, che fra tutti sono i fossili più conosciuti sia a livello accademico che delle masse, gli animali invero che hanno lasciato più tracce nei giacimenti paleontologici hanno origine marina. Considerate infatti tutte le specie di ammoniti, belemniti, dei vari generi estinti di molluschi e invertebrati marini che è possibile ritrovare nei vari siti di scavo del mondo, anche qualora un paleontologo particolarmente esperto riuscisse a descrivere tutte le forme finora conosciute, questo non conterebbe neppure la minima parte di tutte le specie che è possibile ritrovare fra le rocce di origine marina.
Esiste un'intera branca della paleontologia, la micropaleontologia, che studia infatti questo enorme gruppo di specie da secoli, la maggioranza delle quali ha dimensioni anche insignificanti. Eppure ogni anno si scoprono decine di nuove specie, anno dopo anno, con un tasso di scoperte che non sembra rallentare, anche perché hanno un importantissimo utilizzo. Infatti le specie studiate da tale branca della paleontologia sono utili per (1) definire l'origine cronostratigrafica di ciascun singolo strato di sedimento da cui è possibile ricavare nuovi fossili e (2) ricavare gli eventuali strati di roccia in cui è possibile trivellare per ottenere petrolio e gas naturale.
Il petrolio stesso non è altro che una tipologia particolare di fossile di origine animale. Infatti è il prodotto della decomposizione di decine di miliardi di organismi marini morti in centinaia di milioni di anni, che sono rimasti intrappolati dopo la loro morte fra i sedimenti delle profondità oceaniche.
Altri fossili animali molto comuni sono anche i trilobiti, antichi antenati degli attuali artropodi che sono divenuti il simbolo del Paleozoico, e gli insetti, che essendo la tipologia più numerosa di organismi hanno lasciato nella loro lunga storia diversi fossili, fra esemplari catturati nell'ambra ed impronte.
Per quanto riguarda invece la nostra specie e i primati, in verità, non disponiamo di molti fossili, seppur nelle ultime decadi gli antropologi sono riusciti ad ottenere sempre più esemplari e a identificare un maggior numero di specie. La "rarità" dei reperti umani e di molte specie di antichi primati si spiega con il fatto che per gran parte della nostra storia evolutiva i nostri antenati abitavano presso ambienti a basso tasso di fossilizzazione. Ovvero, vivendo in foreste o in ambienti dove esistevano molti predatori, per gli organismi era molto più difficile ricadere in contesti idonei di conservazione, dove la sedimentazione permetteva ai corpi di rimanere integri e nascosti e di non subire la decomposizione.
La bravura dei paleontologi ha permesso di identificare dei luoghi particolarmente vocati per la conservazione dei primati ed è così che siamo riusciti, talvolta con una certa fortuna, ad ottenere i vari reperti di Homo neanderthalensis, di Homo erectus o di Austrolopitecus afarensis. Rispetto però alle informazioni che disponiamo sui dinosauri o su altre creature, per esempio, gli antropologi lavorano con meno della metà dei reperti e con un quinto dei ritrovamenti.
Bisogna però anche dire che lavorare sugli antenati dell'uomo e sulla fauna pleistocenica è molto più semplice rispetto a quanto si possa credere in un primo momento, rispetto ad uno scavo di un sito mesozoico. Questo perché i reperti sono molto più recenti e sovrastano i sedimenti dell'epoche precedenti.
Il primo fossile animale comunque risale a 550 milioni di anni fa e appartiene alla specie Dickinsonia. Questa specie non era dotata a malapena della multi cellularità e ricorda una foglia, ma secondo i moderni paleontologi è priva di affinità con qualsiasi organismo vivente, seppur potrebbe essere l'antenata di tutte le spugne.
Fossili vegetali
I fossili vegetali più comuni sono i tronchi che hanno subito il processo di silicizzazione che risalgono prevalentemente al Carbonifero superiore. Sono comuni comunque anche molte foglie di felci, le conifere risalenti al Mesozoico e le diverse tipologie di pollini che è possibile estrarre dagli antichi fondali dei laghi e dei fiumi.
Il campo che si interessa dello studio dei fossili delle piante è la paleobotanica, mentre la scienza che si dedica allo studio dei pollini è la palinologia, molto utile per capire i cambiamenti climatici che hanno subito gli ecosistemi.
Stando agli studi paleontologici, le prime piante che comparvero sulla Terra si diffusero in ambiente marino e risalgono addirittura all'era archeozoica, ovvero a più di mezzo miliardo di anni fa. Le prime piante terrestri invece comparvero durante l'Ordoviciano, differenziandosi dalle alghe verdi marine e dalle specie di acqua dolce, assumendo forme che poi permisero lo sviluppo dei primi muschi, ma soprattutto delle epatiche e dei licheni.
Gli Pseudofossili
L'interpretazione dei fossili non è quasi mai semplice, ma in taluni casi le formazioni cristalline possono trarre in inganno i meno esperti. Alcune formazioni infatti rassomigliano molto ad alcuni reperti. In questo caso i paleontologi parlano di pseudofossili, ovvero di materiale inorganico non frutto di fossilizzazione che simula la morfologia di alcuni strutture biologiche.
Il realismo di alcuni pseudofossili purtroppo ha condotto anche diversi scienziati del passato a considerazioni errate. Proprio per questo i paleontologi hanno deciso di non considerare molti reperti, per via dei dubbi che affliggono la comunità accademica. L'identificazione di uno pseudofossile d'altronde non è mai un fatto scontato o immediato, visto come in taluni casi i dibattiti si sono dimostrati lunghi e difficili nel considerare o meno un reperto come uno di questi "minerali imbroglioni".
Cosa sono i fossili guida?
I fossili guida sono degli organismi che vengono usati tradizionalmente dai paleontologi per datare le rocce secondo un principio che è quello della successione faunistica. Tale principio afferma che gli strati di roccia sedimentaria si sovrappongo l'un l'altro verticalmente, di seguito al naturale trascorrere del tempo. Questo comporta che gli strati sottostanti un determinato orizzonte il più delle volte presentano una fauna e una flora più antica rispetto agli strati che sono più vicini alla superficie.
Per essere un fossile guida, l'organismo considerato deve disporre di alcune caratteristiche di base. Innanzitutto deve avere un'ampia distribuzione geografica, affinché possa essere utilizzato con una certa facilità nel determinare gli strati della stessa epoca. Poi deve avere un'ampia abbondanza di fossili e quindi essere facilmente rinvenibile. Inoltre un fossile guida deve anche aver avuto un'evoluzione rapida, permettendo così di ottenere un'elevata precisione nella datazione, definendo un preciso periodo geologico.
In generale, gran parte dei fossili guida oggi utilizzati dai biostratigrafi per datare le rocce sedimentare appartengono a specie marine. Per il Paleozoico per esempio si utilizzano trilobiti, graptoliti, ammoniti primitivi e conodonti, mentre per il Mesozoico ammoniti più evoluti, foraminiferi bentonici e planctonici e tintinnidi. Per il Cenozoico invece si usano soprattutto nummuliti e nanofossili calcarei, anche se in taluni casi gli esperti cercano anche di studiare i pollini che è possibile trovare nei fondali.
Questa tecnica di datazione è meno precisa rispetto agli altri sistemi che i paleontologi oggi usano per calcolare l'età delle rocce. Tali metodi sfruttano per esempio il decadimento radioattivo degli isotopi, ma a differenza del riconoscimento dei fossili guida sul campo questa tecnologia è molto costosa e necessità di più tempo, spazio e risorse per essere realizzata. Per questa ragione gli esperti continuano a sfruttare ancora la datazione classica tramite fossili guida quando effettuano i loro studi preliminari sul campo, per poi accompagnarla nella pubblicazione delle loro scoperte con tipologie di datazione più sottili.