La scoperta di un fossile di ittiosauro è stato appena resa nota e si aggiunge all'esiguo numero di reperti italiani relativi a questo importante ordine di rettili marini mesozoici.
Il ritrovamento è stato reso noto con una pubblicazione sulla rivista francese Comptes Rendus Palevol a cura di diversi autori italiani, fra cui spiccano Alessandro Freschi che ha identificato e riconosciuto il fossile nell'estate del 2020, in piena emergenza pandemia, i fratelli Andrea e Simone Cau, Filippo Fontana, Davide Persico, Francesco Garbasi e Alessia Morigi.
Si tratta del primo reperto mesozoico scoperto all'interno della provincia di Parma e risale all'Aptiano inferiore, ovvero a circa 120-125 milioni di anni fa, uno dei piani geologici di cui è costituito il periodo Cretaceo.
Il fossile è stato recuperato in una nuova località fossilifera che si trova nel “Complesso Caotico” della Catena Appenninica Settentrionale, in Emilia Romagna. I resti dell'animale sono composti da nove vertebre caudali riconducibili a un ittiosauro adulto di medie dimensioni. Proprio grazie all'esame delle vertebre gli scienziati sono riusciti ad attribuire con precisione l'età dell'animale, poiché erano avvolte da una matrice composta da sedimenti e nanofossili che hanno permesso di effettuare quella che gli scienziati definiscono la prima datazione cronostratigrafica accurata di un ittiosauro cretacico della catena appenninica.
Questo ritrovamento è molto importante soprattutto per due ragioni. Innanzitutto è fra i pochi fossili di ittiosauri risalenti al periodo Aptiano che di solito non offre molti giacimenti da cui è possibile recuperare dei ritrovamenti di questo tipo. Inoltre rappresenta uno degli ittiosauri più recenti e derivati (assieme ad un altro fossile italiano trovato l'anno scorso) tra quelli che sono stati scoperti in tutto il mondo. Gli ittiosauri, infatti, si estinsero all'incirca 90-85 milioni di anni fa e fra gli ultimi rappresentati di questo ordine ci sono proprio alcuni esemplari italiani che in paleontologia risultano essere molto apprezzati per quanto siano al contempo rari e di difficile studio.
Come è possibile vedere dalle immagini presenti all'interno dell'articolo, alcune delle vertebre risultano ancora articolate (in connessione anatomica) e presentano segni sulla superficie che sono stati identificati dai paleontologi come tracce di morsi da parte di invertebrati saprofagi. Questi elementi hanno fatto supporre agli scienziati che l'animale si sia conservato in un contesto ambientale di mare profondo dove non erano presenti delle componenti molto energetiche, come correnti o frane, e che il suo corpo sia stato sepolto dai sedimenti molto lentamente, tanto da offrire a qualche piccolo animale spazzino l'opportunità di cibarsi della sua carne.
Secondo gli autori, inoltre, la presenza di questi rettili marini durante l'Aptiano supporta la teoria che vede l'antico oceano Tetide – un braccio di mare oggi scomparso che separava l'Africa settentrionale dall'Europa e dall'Asia e che copriva l'Italia quasi completamente – come uno degli ultimi possibili rifugi di questo gruppo di animali, almeno fino alla prima metà del Cretaceo inferiore.
Sconosciute sono le ragioni che hanno causato l'estinzione di questi animali molto prima dei dinosauri terrestri ma per gli autori dello studio la scoperta di un nuovo giacimento fossile in Italia, nell'appennino parmense, può aiutare la ricerca proprio nel trarre nuovi dati utili relativi all'evoluzione degli ittiosauri cretacici.