Un sequestro di 3,3 tonnellate di zanne di elefante effettuato in Uganda nel gennaio 2019 ha rivelato qualcosa di sorprendente e anche preoccupante.
Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica PNAS, ha reso noto, infatti, che molti di quei “trofei” non risalgono affatto al periodo della mega-operazione che ha colpito i bracconieri ma sono molto più vecchi.
Una scoperta di non poco conto che mette in risalto la presenza di un grosso problema: quelle zanne devono essere, in qualche modo, sfuggite o devono essere state rubate dai depositi governativi e tornate in circolazione, prima di essere sequestrate una seconda volta.
La domanda, quindi, nasce spontanea: come può essere successo, visto che il protocollo governativo per le requisizioni di avorio, prevede che le zanne confiscate vengano poste dal Governo locale in depositi sicuri?
Il team di ricercatori guidato da There Cerling dell’università dell’Utah, utilizzando gli isotopi di carbonio, ha dimostrato che parte delle zanne sequestrate nel 2019 avevano più di 30 anni e che la loro provenienza era proprio da uno dei depositi sicuri del governo del Burundi.
Cerling è un esperto dell’uso degli isotopi per rispondere a domande sui processi fisici e biologici. Le sue ricerche vanno avanti da quando, una decina d'anni, conobbe il biologo Sam Wasser, studioso di genetica della fauna selvatica e un vero pioniere in questo campo.
Da allora, Cerling, ha iniziato una stretta collaborazione con il biologo che ha portato proprio alla pubblicazione del nuovo studio. Ricerca che affronta un problema chiave nel commercio dell’avorio: l’età di quello sequestrato dai Governi.
Alcuni trafficanti, infatti, giustificano i loro carichi illegali, con il fatto che la loro merce sia vecchia, ovvero prelevata prima del 1976, anno in cui il mercato era esente da divieti di vendita.
Ma con una dimensione media dei sequestri superiore a 2,5 tonnellate, per ricercatori, governi e ambientalisti è fondamentale sapere quanto di quell’avorio sia recente, quanto provenga da scorte di bande criminali, o quanto sia stato rubato da qualcuna delle numerose scorte detenute dai Governi di alcuni Paesi africani.
In uno studio del 2016, sempre di Cerling e Wasser, i dati indicavano che la quantità di zanne sul mercato nero proveniente dalle scorte dei governi era limitata. Ma poi è arrivato il sequestro in Uganda nel 2019 che, invece, ha ribaltato le carte, mostrando qualcosa di diverso.
Il Governo del Burundi, pur non commentando la scoperta, non intende lasciare spazio alle illazioni e sostiene che l'avorio sequestrato viene custodito in container perfettamente sicuri.
Ma allora ci si chiede come sia possibile che una parte del loro contenuto sia tornata sul mercato nero. La risposta, però, ancora non è arrivata.
Per i ricercatori che hanno condotto lo studio, la soluzione definitiva sarebbe quella di distruggere le riserve sequestrate invece di conservarle. Molte associazioni, però, sostengono che questa sia una pessima idea.
Distruggere le zanne d'avorio sarebbe un grande spreco, dicono, visto che pur essendo prive di valore commerciale se non sul mercato nero, possono però essere usate per scopi di ricerca o educativi.