Una fiaba contemporanea, un racconto corale i cui protagonisti sono tutte le specie viventi: uomo compreso. Ne "L'assemblea degli animali" di Filelfo ciò che colpisce è sicuramente la sapiente e curata capacità di lasciar "parlare" corvi, leoni, topi, cani, gatti e tanti altri individui che abitano il mondo, ma gli esseri umani sono da subito chiaramente parte di un tutto: soggetti tra i tanti e come tanti ma destinatari di un messaggio che sorprendentemente ricorda anche lo stesso Manifesto di Kodami. In tempi di pandemia gli animali si riuniscono e questa volta Homo sapiens potrebbe non passarla liscia sottoposto alle testimonianze di ogni rappresentante di specie che ricorda quanto danno ha arrecato al Pianeta. Leggere "L'assemblea" è davvero un'immersione in una dimensione unica, un viaggio in cui il confine tra realtà e fantasia è invisibile. E chi vorrà lasciarsi andare tra le righe di Filelfo potrà trovare anche nell'intervista a seguire spunti attraverso i quali, in fondo, forse potrà emergere in ognuno di noi ancora di più la consapevolezza che non è poi così difficile convivere e coesistere nel rispetto di ogni individuo. Umano e non.
C'è stato un momento in cui hai iniziato a scrivere "L'Assemblea degli animali". Prima e dopo le prime righe, cosa hai provato?
L’idea dell’Assemblea mi è venuta dopo i grandi roghi australiani. La morte di un miliardo di animali, per non parlare delle piante, mi è parso subito un infausto inizio d’anno. Quando la pandemia si è scatenata in Cina, mi sono ritrovato a passare qualche tempo in una foresta tropicale e lì ho avuto l’impressione che la natura selvaggia non stesse discutendo d’altro che del comportamento dell’essere umano. Mi sentivo sotto osservazione e quasi mi veniva da giustificarmi. Ho sostenuto ravvicinati quanto muti scambi d’idee con una lontra, una moltitudine di rane, varie specie di grandi insetti e qualche enorme topo, per non parlare del coro di riprovazione degli uccelli variopinti e delle requisitorie di un gufo e di due civette che di notte si insediavano nei tronchi fuori della mia capanna come giudici in toga sui loro scranni. Tornato in Italia, una mattina, dopo aver pensato per tutta la sera precedente un possibile incipit per la fiaba che avevo in mente, guardando dalla finestra di casa ho visto sul cornicione di fronte un corvo. E ho pensato: ultimo viene il corvo — il titolo del racconto di Calvino. Per chiudere l’aneddoto, quando il libro è uscito in libreria ho incontrato di nuovo lo stesso corvo. Era sceso sul marciapiede sotto casa. Ha aspettato, prima di volarsene via per i fatti i suoi, che io mi fermassi e gli dicessi grazie.
La storia nel libro: "una favola selvaggia" che lascia la parola agli animali prendendo spunto dall'attuale pandemia. Una fiaba che racconta dell'uomo, specie tra le specie, il cui "inizio" suggerisci possa partire non dalla conoscenza ma dalla dimenticanza…
Qualsiasi mito di origine l’umanità voglia assumere, non può non partire da Platone. Il quale a sua volta attingeva al pensiero orientale e in particolare indiano. L’idea di anamnesi, di reminiscenza, è il fondamento primo di ogni conoscenza sapienziale e quindi di ogni crescita individuale: apprendere è ricordare. E questo momento della storia della specie umana ha assoluto bisogno, per evitare la catastrofe, che ciascuno di noi, singolarmente, ricordi di essere parte, come dicevano i neoplatonici, di un’unica anima del mondo.
La storia del libro e non la storia nel libro: da quelle prime lettere all'inserto di Repubblica fino alla pubblicazione con Einaudi. Ce la racconti e come stai vivendo tutto questo periodo?
Se la storia nel libro è una fiaba ma anche un apologo morale, in qualche modo dunque una cosa seria, quella del libro è puro divertimento, un’opera buffa. E aperta: come la vita dove, diceva Kundera, veniamo gettati sul palcoscenico senza la possibilità di provare e per giunta senza neanche una replica. Quanto a Repubblica e a Robinson, il suo inserto culturale del sabato in cui la prima parte dell’Assemblea è uscita a puntate, va detto che sia il direttore del giornale sia quello del supplemento sono persone davvero spregiudicate, alle quali va tutta la mia stima.
Come e perché ti sei avvicinato al mondo degli animali? Oltre ai riferimenti letterari c'è una conoscenza etologica che emerge dalle tue pagine…
Dirò cose banali, specialmente per i lettori di Kodami, ma quale miglior maestro di vita di un animale? Si impara la pazienza e la gioia di godere l’attimo da un cane che ti vede rincasare. Ci si fa persuadere dalla visione del mondo di un gatto che medita al sole lasciandosi invadere dalla luce. Fino a pochi decenni fa l’essere umano sapeva quanto fa bene sussurrare a un cavallo e condividere con lui le ore. E non c’è niente di più pacificante dello sguardo di un asino incontrato in un sentiero di campagna, dello scambio di anima che in quel momento si realizza. Già gli antichi, anzi soprattutto gli antichi avevano anticipato questa empatia: che si tratti di filosofi pitagorici o di sacerdoti delfici come Plutarco, o di illuminati sovrani indiani come Ashoka, il grande imperatore buddhista che nei suoi editti scolpiti nella pietra ad ogni angolo di regno legiferava il rispetto per tutti i viventi non umani.
"A differenza degli animali vivono come se non dovessero morire e muoiono come se non avessero vissuto". E' una descrizione in fondo molto umana degli umani, anche se fatta dire da un animale… Pensi che si possa cambiare l'essenza di una specie? Non è fortemente antropocentrico credere che siamo in grado di farlo?
Antropocentrico è credere che l’essere umano sia superiore agli altri animali e che il creato sia a sua completa disposizione. In questo il cristianesimo ha avuto grandi responsabilità, anche se non sono mancate le voci dissonanti di grandi santi e teologi, pensi a padri della chiesa come Origene o ai due Franceschi, d’Assisi e da Paola, e al loro rapporto fraterno con gli animali e con la natura. Un filone del cristianesimo ripreso dall’attuale e omonimo papa, che non perde occasione di denunciare il rapporto tra crisi ecologica e crisi sociale, distruzione delle risorse e crescita delle disuguaglianze. Insomma, c’è un legame molto stretto, un nesso di causa ed effetto tra l’arroganza antropocentrica e l’ignoranza del senso della vita e della comunità. E’ difficile chiedere a quel narcisista che è divenuto l’essere umano, sempre intento a rimirare se stesso in specchi nevrotici e consumistici, di alzare lo sguardo e pensare agli altri, che siano animali non umani o animali suoi simili.
"Perché speravamo che l'uomo imparasse che c’è una parentela tra la terra e il cielo, la psiche e la carne, il corpo e lo spirito, e questo universo si regge sui loro legami. Che la natura è un unico sistema fatto di infinite e meticolose connessioni, e il mondo ha un'unica anima, fatta di tutto ciò di cui noi, come dice il nostro nome, animali, siamo specchio. Che la sopravvivenza è di tutti, o di nessuno". Pensi che durante la pandemia qualcuno in più lo abbia capito?
Ne sono certo. L’anima non è solo individuale. Ogni anima fa parte di un’unica anima collettiva: se si ammala questa, soffre anche quella. Eravamo depressi già prima dell’arrivo della pandemia, eravamo già malati perché il pianeta è malato, e nessuno è sano in un mondo malato. Ma con l’arrivo del virus è stato come se quest’ultima, singola malattia umana avesse fatto prendere coscienza della grande malattia del pianeta. Questo in senso generale. C’è poi un risvolto particolare, che riguarda gli animali domestici. La loro parte nel conforto e nel benessere degli umani era evidente, in passato, solo ad alcuni. Oggi cani e gatti sono riconosciuti, per usare un termine degli economisti, agenti del nuovo welfare. E abbiamo visto questa consapevolezza venire allo scoperto proprio in questo anno di pandemia, in cui le comunità hanno assistito gli animali in difficoltà con la stessa dedizione prodigata a tanti umani. Le adozioni non sono mai state così numerose. Non c’è nessuna connessione tra esseri più forte dell’amore reciproco e oggi questo amore tra umani e altri animali si mostra sempre più presente e più reciprocamente condiviso.
Fuori dalle citazioni e dalla favolistica, Filelfo: il messaggio dell'Assemblea è assolutamente concreto, tangibile e reale. Hai altre volte utilizzato il termine "animalesimo", cosa vuol dire?
Abbiamo assoluto bisogno di pensare un nuovo umanesimo, ma non possiamo correre il rischio di fraintenderlo e di ricadere in una visione del mondo, come si diceva, antropocentrica o narcisistica. L’umanesimo, come insegna la storia, non è mettere l’uomo al centro dell’universo, ma dentro l’universo, al fianco degli altri abitanti vegetali e animali. Per questo ho usato la parola animalesimo, che contiene la parola anima, molto più vasta della parola uomo, che francamente non è un granché: viene dal latino humus, “terra”, “polvere”.
Il messaggio de "L'Assemblea degli animali" è, in un'altra forma, lo stesso di Kodami. Ritieni sia utile una realtà editoriale come la nostra al fine di fare cultura e sensibilizzare? E cosa ci auguri?
Non solo utile, necessaria. Chi perde la propria cultura perde anche la propria natura, e mai come in questo caso la parola natura va presa in senso letterale. Vi auguro che per ogni passo che farete la natura ne faccia tre verso di voi.
Perché hai scelto questo pseudonimo?
Perché contiene la parola amore. E ha qualcosa di elfico, di fiabesco.
Chi era Francesco Filelfo e chi sei tu, Filelfo? Non ti sto chiedendo ovviamente di svelare chi si cela dietro lo pseudonimo con nome e cognome, ma proprio di dirci chi sei tu, qual è il tuo viaggio nella vita
La mia biografia non ha nessuna importanza, né conta ora quella, ben più interessante, del mio celebre antenato umanista. Il viaggio invece sì, perché è lo stesso per tutti. Posso dirti che il mio sta continuando.
E, fuori dai denti… era necessario uno pseudonimo quando il tuo racconto è di per sé così potente e bello?
Era necessario, credimi.