Solo la pandemia era riuscita a fermare la secolare Festa di San Fermín nelle strade di Pamplona, in Spagna. Quest’anno, invece, niente da fare: l’assurda corsa dei tori nella cittadina Navarra, che si tiene dal 7 al 14 luglio, ha ritrovato il suo spazio e la sua eco.
E non solo per la notorietà della tradizione ma anche per i feriti che ogni edizione porta con sé. E, infatti, alla terza giornata di questa caotica corsa, ecco la notizia: oltre ai due partecipanti incornati, altre due persone sono cadute lungo il percorso, finendo in alcuni casi sotto gli zoccoli degli animali e riportando graffi e contusioni.
Nessuna sorpresa, d'altra parte, visto che tutti i giorni un gruppo diverso di 12 tori corre lungo un percorso in discesa per tutta la città con la gente che corre loro a fianco. Sarebbe molto più strano che non ci fossero incidenti, visto il contesto.
Per tutti i sette giorni, infatti, puntuale alle 8 di mattina uno sparo libera la mandria, che comincia a galoppare nella stradine strette piene di persone. Residenti e turisti, che arrivano apposta per la festa, vestiti in maniera tradizionale, affollano il percorso, correndo al fianco dei tori e incitandoli. La corsa, quindi, termina nella Plaza de toros della città, dove a fine giornata questi poveri animali vengono uccisi in una corrida.
Immaginare cosa pensino di questa usanza le associazioni animaliste, è facile. «Una macchia sull’immagine della Spagna» la considera l’Enpa, l’Ente Nazionale per la Protezione degli Animali. «Una tradizione non solo anacronistica, ma di una crudeltà efferata».
Per OIPA, l'Organizzazione internazionale protezione animali, si tratta allo stesso modo di «una tradizione barbara» che oltretutto «rappresenta un pericolo per le persone» viste le decine di vittime che ci sono state negli anni.
«Una pseudocultura» da condannare senza se e senza ma per l’organizzazione che, a livello internazionale, ha sempre raccolto firme per l’abolizione di questa macabra corsa. E l’obiettivo è continuare a lottare, a livello parlamentare europeo per cercare di impedire celebrazioni come questa, presenti in tutta la Spagna tranne che nella Regione di Barcellona dove sono state vietate.
La Catalogna, con l’80 per cento dell’opinione pubblica a favore, è stata, infatti, la prima regione spagnola a proibire le tradizionali manifestazioni nazionali dei tori. La norma è entrata in vigore nel gennaio 2012.
Per chi ama gli animali del resto non potrebbe essere diversamente, dal momento che, nonostante l’aria di festa che aleggia nell’arena, al centro c'è sempre un toro trafitto da "picche" e bandierine, che giace immobile sul terreno, vivendo lentamente la sua agonia.
Agonia che, oltretutto, inizia già prima di entrare nell’arena: quando per renderlo debole viene tenuto al buio, riempito di droghe e purgato per sfiancarlo. Quando gli vengono cosparse le zampe di trementina per innervosirlo ed evitare che stia fermo, quando gli viene messa la vaselina negli occhi per appannargli la vista, quando con dei sacchi di sabbia viene picchiato sui reni.
Perché, chi non lo sapesse, è esattamente questo il trattamento che viene riservato al toro prima di fare il suo ingresso nell’arena. E non è finita. Perché poi, una volta dentro l’arena, il suo destino è quello di essere conficcato dalle "picas" che gli procurano, emorragie e forte dolore.
Quindi, una volta che questo orrore, che per qualcuno è uno spettacolo, è finito, il povero toro viene trascinato fuori dall’arena, cosciente e ancora vivo, gli vengono tagliate coda e orecchie come trofeo e per terminare questa penosa e disgraziata esistenza, viene macellato. Se questa è una tradizione, non è affatto necessario che sia per sempre.