Quante volte ci siamo imbattuti in cagnolini di paese che si sono andati a fare un giro ma hanno un luogo di vita stabile e quante altre volte abbiamo visto cani in evidente stato di difficoltà che non erano in giro per piacere? È una distinzione molto chiara che dobbiamo saper fare prima di qualsiasi azione nei loro confronti. I cani hanno delle competenze nella gestione degli ambienti e degli spazi e non sempre sono smarriti. Quando lo sono, è un nostro dovere intervenire.
Febo, il cane del campo di girasoli
Ero diventata mamma da poco ed abitavo in un paesetto di scarse mille anime vicino Firenze. Non avevo ancora un’automobile e mi piaceva passeggiare, così approfittavo per farmi dei bei giri spingendo il passeggino del mio bimbo per raggiungere il centro paese ogni giorno. Era un po’ un allenamento a rimettersi in forma e un po’ un aspetto piacevole dei primi mesi di maternità il fatto che potevo senza problemi permettermi di fare diversi chilometri a piedi e, passando dalle stradine di campagna, respiravo così anche un'ottima aria. Arrivavo in paese e ogni mattina facevo sosta da Marisa per comprare il pane fresco e scambiavo due chiacchiere con quella donna eccezionale che non mi mandava mai via senza almeno un sacchetto di verdure di stagione del suo orto. Poi mi dirigevo verso la piazzetta: se mio figlio era sveglio lo prendevo in braccio facendo qualche passo sennò mi limitavo a sostare sulle panchine e mi portavo dietro un libro.
Durante l’estate avevo una fortuna immensa perché nonostante le ore fossero più calde, costeggiavo una strada che era a ridosso del bosco e spesso mi imbattevo in incontri emozionanti che non mi era mai capitato prima di poter fare: caprioli, volpi, bisce. Era tutto nuovo ed estremamente bello per me che comunque venivo da una vita cittadina di asfalto e poco verde. Dall’altro lato, per arrivare in paese, c’era un campo immenso di girasoli, di quelli che fino ad allora avevo solo visto in foto: giganteschi, più alti di me, una coreografia incredibile.
Il cane unicorno: com’è diventato il cucciolo che fece impazzire il web
Una mattina accadde qualcosa che non mi sarei mai aspettata, sarò sincera: dal bosco continuavo ad udire un fruscio che sembrava seguirmi. Avevo fermato il passeggino diverse volte per sincerarmi che fra i tanti incontri non me ne fosse toccato uno poco piacevole con qualche animale che magari sentendosi minacciato avrebbe fatto a gara con me a chi fuggiva prima dalla paura. Ero pur sempre un umana cittadina e non abituata a quelle novità. Come mi fermavo, però, il fruscio cessava. Solo dopo essere arrivata alla fine del bosco per attraversare e tagliare verso il campo di girasoli riuscì a vedere una macchietta di colore nero sgattaiolare fuori e correre dalla parte opposta nel campo dei giganti rivolti al sole. Era un cane! E diamine, era un cane anche piuttosto grosso!
Cosa ci faceva un cane lì non me lo domandai neanche: era chiaro che era a spasso da qualche cascina vicina e si era spinto verso il paese. E poi non ero ancora in quell’età in cui ti curi di alcune cose, mi sembrava normale così. Fatto sta che al ritorno dei miei soliti giri, il cagnone nero era ancora che gironzolava in quelle zone: stavolta feci la cosa credo più naturale che solitamente un umano possa fare e staccai un pezzo del pane fresco comprato da Marisa per provare ad avvicinarlo e capire chi fosse. Ci riesce sempre bene accudire anche se non sempre, ricordiamocelo, è la cosa ideale da fare. E lo dico perché Febo (così lo avrei chiamato in seguito), non solo si avvicinò ma mostrò di gradire il pane di Marisa e decise che valeva la pena seguirmi fino a casa. Pessima idea dargli da magiare, pessima idea che mi seguisse: cosa avrebbero detto della sua presenza i miei gatti una volta arrivata? E se seguendomi si fosse allontanato troppo da casa senza riuscire a ritornare dalla sua famiglia? Mi balenavano in testa tanti e troppi pensieri.
Perso o abbandonato?Il dilemma che non sapremo mai…
Febo era un cane eccezionale, molto docile con le persone, abituato a rimanere fuori dalla porta di casa e io non lo avevo forzato a condividere gli spazi interni con noi. Dopo un paio di giorni avevo comprato del cibo per cani perché sapevo che ormai si era accasato da me ma mi ero data da fare per portarlo con noi nei giri di paese per chiedere a chiunque se riconosceva quel cane. Gli avevo messo un guinzaglio e in effetti non era un asso a starci dietro sulle strade e fra le auto del borgo, ma era grosso e mi sembrava all’epoca la cosa più giusta. Il veterinario del paese aveva controllato e non aveva un microchip, nessuno lo riconosceva, ero persino stata dai vigili che mi avevano detto, senza sottendere nulla, che potevo tenerlo o avrei dovuto portarlo in canile ma che se si fosse fatto vivo il proprietario, dovevo restituirlo. Avevano poi aggiunto che ero una custode temporanea di Febo se avessi deciso di non portarlo in canile. Ora, immaginate la mia faccia e le sensazioni che provavo al solo pensarlo da libero nel bosco e nel campo di girasoli con noi e dentro un canile. Feci quello che mi sembrava giusto, attendendo magari che una notte decidesse di tornare verso quella che un tempo era stata la sua casa: rimase con me. Passavano le settimane e capivo che ci sarei rimasta male a vederlo andare via ma che in fondo dentro di me ci speravo perché forse c’era una famiglia che lo aspettava. Inutile dirvi che non saprò mai se Febo aveva scelto di allontanarsi da casa sua volontariamente o era stato abbandonato nelle campagne appositamente da chi non lo voleva più. Questi sono quei dilemmi che a volte incontrando cani che non portano addosso evidenti segni di maltrattamento, incuria e fame, non scioglieremo mai. Perso o abbandonato? Smarrito o andato via volontariamente? Se i cani potessero raccontarci le loro storie, ce ne sarebbero delle belle da ascoltare sulle loro avventure.
Insieme, ogni giorno, uniti anche nella protesta
Intanto l'estate era ormai finita e inutile dirvi che Febo era rimasto con me, mio figlio Eugenio e i nostri gatti. Io avevo passato un difficilissimo test alla facoltà di veterinaria e mi approcciavo ad una vita che non conoscevo. Tutti all’università sembravano dannatamente più bravi di me, qualcuno mi aveva anche preso in giro dicendomi che non sapevo di avere di un cane che mi ostinavo a chiamare meticcio ma era un Beauceron. E chi lo aveva mai sentito il Pastore delle Beauce? Furono gli anni delle obiezioni di coscienza, delle manifestazioni studentesche, delle lotte importanti che gridavo a gran voce contro stabulari e vivisezione. Avevo conosciuto gli antagonisti e i movimenti politici verdi di Pisa e Febo mi accompagnava in quei weekend di protesta e ribellione che avrebbero caratterizzato i miei anni universitari e quel senso di giustizia verso gli animali che batte dentro da sempre. Durante un corteo a Reggio Emilia per la liberazione di alcuni cani da un allevamento che li destinava alla vivisezione, ci fu una carica molto violenta delle forze dell’ordine: sapevo che era un errore portare Febo con me in quelle situazioni ma non potevo fare altrimenti. Il guinzaglio mi scivolò di mano, caddi diverse volte, ricevemmo calci, fummo calpestati, corremmo attraversando alla cieca i binari del treno per ripararci dalla violenza di quella giornata. E Febo non era più accanto a me, all’improvviso. Ero disperata, lo avevo smarrito e continuavo a chiedere in giro se qualcuno l'avesse visto. Lo scorsi mentre me ne tornavo affranta verso l'auto dopo molte ore, lui era lì e aveva fatto esattamente quello che c’era da fare: mettersi in salvo dalla bolgia e aspettarmi nell’ultimo posto dove ci eravamo separati prima del gran casino di quella manifestazione.
Sono passati tanti anni, davvero moltissimi: Febo rimase a Pisa da alcuni amici quando la mia vita non solo universitaria si incasinò e io decisi di andare via per un periodo. Ho ancora una sua foto, una vecchia Polaroid: è vissuto con loro ancora tanto tempo e sempre ricevevo sue notizie con la gioia di saperlo felice e un po’ di rammarico per non averlo potuto portare con me e mio figlio. Ho una sua foto, che mi segue da sempre, in ogni casa, città e paese in cui mi sono spostata e che è fra le prime cose che faccio quando arrivo in un posto nuovo: appendo le foto di tutti i cani e i gatti che mi hanno accompagnato in questi quarant’anni e dico fra me e me: “Siete di nuovo tutti qui con noi ragazzi, a casa”.
Cane e “proprietario”: quando qualcosa non quadra
La storia di Febo è rappresentativa di un pensiero che mi ha accompagnato da sempre. Fin quando sono stata ragazza, ho vissuto in un paese del Centro-sud dove è normalissimo incontrare diverse tipologie di cani liberi. Ci sono cani adottati dal quartiere, cani randagi e liberi in piccoli gruppi nelle zone meno abitate dall’uomo e nelle campagne. Ci sono anche cani che una casa e una famiglia ce l’hanno ma sono abituati a fare dei giri in solitaria in varie zone della città, con tanto di “soste tecniche” di solito per raccattare un po’ di cibo o andare a trovare cani amici nei dintorni per poi rincasare.
Firenze era una realtà nettamente diversa, era chiaro come il sole: cani liberi non se ne incontravano, anzi! Vedere un cane libero equivaleva ad uno smarrimento certo e le persone senza dubbio si mobilitavano affinché l’animale si ricongiungesse il prima possibile alla sua famiglia. Nei piccoli paesi anche della civile toscana però, era ancora possibile incontrare dei soggetti “diversi”: mancavano i cani di quartiere e i gruppi di randagi ma era abbastanza facile incontrare qualche cane che girellava per le strade, si soffermava nelle piazze e sulle soglie delle attività commerciali o incontrava qualche cane a passeggio al guinzaglio. Le persone sorridevano al cane in questione, era evidente che lo conoscevano, rassicuravano i turisti che magari domandavano invece dove fosse il “proprietario”.
E scrivo “proprietario” proprio perché il racconto dell'incontro tra Febo e me, in fondo, rientra anche in un ambito culturale e sociale prima di tutto proprio sul concetto di proprietà. Tralasciando il mero aspetto legislativo dell’avere un cane come essere senziente e non come bene materiale, vorrei così spingere tutti noi ad una riflessione senza che si scada però nella trappola del “da che parte stare”. Proviamo a pensare a come i cani venivano gestiti tempo fa, nelle campagne e nei piccoli centri abitati: eravamo soliti vedere tanti cani liberi senza controllo o un numero di cani così alto investito per le strade? Io credo proprio di no e lo credo alla luce delle evidenze dei giorni nostri.
I cani erano soliti stare liberi perché avevano delle competenze per farlo, non vivevano una vita agganciati a catene e guinzagli e forse, erano più in grado di stare al mondo. Adesso il loro ruolo è nettamente cambiato, il numero dei cani per famiglie è notevolmente aumentato e gli spazi, soprattutto cittadini, si sono ridotti in maniera drastica. Era inevitabile che si passasse ad una gestione dei cani meno libera e forse più responsabile ma ancora non torna, dal mio punto di vista, che li si consideri appunto una proprietà: noi abbiamo delle responsabilità, certo (anche civili e penali, intendiamoci) ma non dovremmo totalmente far ruotare le loro vite su lunghezze consentite di guinzagli e obblighi di legge. Una legge fra l’altro, che li considera ancora delle “cose”. Nei piccoli centri urbani e nei paesi ancora non è del tutto scomparso la possibilità di questo tipo di incontri così piacevoli: capita ancora di vedere qualche cagnetto in giro o intento a farsi una piccola avventura mentre magari il suo umano di riferimento sbriga commissioni. È davvero così malvagia questa idea?