Lo studio sulla comprensione dei sentimenti e delle emozioni nelle altre specie animali risale già ai tempi di Charles Darwin, quando nel 1872 pubblicò L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali. Il dibattito scientifico sull'argomento si è però fortemente riaccesso solamente negli ultimi decenni, in parte per l'avanzamento delle conoscenze e delle tecniche di studio ma soprattutto per il sempre più crescente interesse pubblico per tutto ciò che ruota intorno alla sfera emozionale e cognitiva degli altri animali. Ma a che punto siamo?
A fare un resoconto e una valutazione critica sui differenti punti di vista di questo redivivo dibattito, ci hanno pensato Mariska Kret, Jorg Massen e Frans de Waal, alcuni tra i massimi esponenti dell'etologia e della psicologia animale, attraverso un commento pubblicato sulla rivista Affective Science.
Secondo gli autori, a prescindere dal vivace scambio di idee che esiste soprattutto sulle definizioni di questi concetti, è evidentemente logico, quasi inevitabile, parlare di emozioni e anche di sentimenti negli animali non umani. Il problema sta nel misurarli.
I punti di vista sulle emozioni e i sentimenti negli animali
Oggi la maggior parte dei ricercatori concorda sul fatto che molti animali mostrano risposte, espressioni e comportamenti che possono certamente rientrare in ciò che tutti definiamo come emozioni. Le emozioni, infatti, altro non sono che stati interni del cervello che si esprimono, con le dovute differenze tra i vari gruppi, con risposte comportamentali, neurofisiologiche, ormonali e cognitive che possono essere osservate e misurate. Un risposta adattativa come tante altre che si è evoluta sotto specifiche pressioni di selezione ambientale, spesso molto antiche, che condividiamo in maniera profonda con tanti altri organismi.
Secondo de Waal e colleghi, che di empatia, altruismo ed emozioni nel regno animale ha parlato anche nella nona puntata de nostro MeetKodami, il vero pomo della discordia scientifica oggi sta nel concetto di sentimenti. Gli autori ritengono che i sentimenti siano l'interpretazione cognitiva delle emozioni, uno stato d'animo che coinvolge l'interiorità della propria individualità e che quindi risulta perlopiù inaccessibile alla scienza. Non sono visibili dall'esterno, per cui vengono spesso negati agli altri animali, ma questo non significa che non facciano parte anche del loro bagaglio cognitivo.
Se esiste un continuum biologico che lega tutti i viventi allora è altamente improbabile, se non illogico, ritenere i sentimenti un qualcosa di esclusivamente umano. Basta osservare quanto siano simili gli scimpanzé e gli esseri umani, che insieme condividono una lunga storia evolutiva. Questa affinità biologica deve esistere anche nel modo in cui si manifestano le emozioni, ne sono la prova, per esempio, le espressioni facciali omologhe quasi identiche tra i due primati.
La mia paura non è, e non sarà mai, la tua paura
Gli autori quindi non solo ritengono che varie specie animali provino sentimenti paragonabili ai nostri, ma credono anche che possano provarne di nuovi e diversi, così come possono esistere emozioni senza sentimenti. Ogni specie vivente ha seguito infatti un percorso evolutivo unico, che lo ha portato a sviluppare caratteristiche esclusive della propria specie. È proprio da questa riflessione che nasce il titolo di questo commento: My Fear Is Not, and Never Will Be, Your Fear (La mia paura non è, e non sarà mai, la tua paura).
Non sapremo mai davvero com'è essere un pipistrello, un pesce, un verme, un gatto o un'aquila. Allo stesso modo in cui non conosceremo mai cosa provano realmente le altre persone, anche quelle vicine. I sentimenti sono difficili da capire e misurare, persino all'interno della nostra stessa specie, cambiano da individuo a individuo, figurarsi tra le varie specie o all'interno di esse. Questo non vuol dire che non possiamo studiarle e avvicinarci il più possibile alla loro comprensione, per quanto sarà sempre parziale. La chiave, suggeriscono gli autori, sta nell'approcciare la questione con metodologie di indagine differenti, e non utilizzando un unico metodo di studio.
Raccogliere quanti più dati possibili attraverso osservazioni comportamentali, studi neurofisiologici, esperimenti sull'autocoscienza e studi cognitivi, tanto per fare qualche esempio, fornirà sempre più informazioni sulla sfera emozionale e intima degli animali, e forse anche sui loro sentimenti. In questo senso gli autori concludono la loro riflessione suggerendo qualche spunto sulle direzioni da intraprendere in futuro.
La strada verso lo studio dei sentimenti animali
Innanzitutto occorrerà separare ciò che può essere misurato e cosa no. Oggi possiamo studiare e misure facilmente l'espressione delle emozioni negli animali, sia con osservazioni comportamentali dirette ed esperimenti cognitivi, che attraverso le misurazioni sui livelli ormonali, la frequenza cardiaca o sull'attività cerebrale e neurologica. Occorre però riconoscere, senza negarne l'esistenza o l'importanza, che ad oggi i sentimenti, a differenza delle emozioni, sono perlopiù ancora inaccessibili.
Questo non vuol dire che non è possibile postulare ipotesi per dare un senso ai fenomeni osservati, come avviene da sempre in tantissime altri campi della scienza. Nessuno, spiegano gli autori, chiede agli astronomi di rendere visibile la gravità, oppure ai biologi di mostraci l'evoluzione. Allo stesso modo, quindi, l'invisibilità dei sentimenti animali non è un buon argomento contro di essi, e chi ne nega la loro esistenza ha l'obbligo di trovare prove convincenti a sostengo delle proprie tesi.
Infine, sottolineano i ricercatori, sarà fondamentale per gli studi futuri cercare di avvicinarsi il più possibile alla reale prospettiva delle altre specie. La letteratura sull'etologia è piena di esempi in cui abbiamo palesemente giudicato male il comportamento degli animali, perché troppo spesso siamo partiti dal punto di vista dell'uomo. Questi pregiudizi servono ad avvicinare gli altri animali all'uomo, ma trascurano pesantemente l'unicità delle altre specie e non ci aiutano a comprenderla.
Piuttosto che concentrarci sulle emozioni e sui sentimenti umani, dovremmo considerare la sfera emozionale in maniera specie-specifica, integrandola con i bisogni, le caratteristiche e la biologia di ogni singola specie. Abbiamo bisogno di un approccio che parta dal basso, e che non si concentri esclusivamente sulle emozioni tipiche dell'uomo. Solo così possiamo pensare di avvicinarci, come mai prima d'ora, a cosa significa vivere ed essere altro da noi, tenendo sempre presente che mai capiremo cosa significhi essere un altra specie..