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20 Aprile 2024
18:00

Emergenza aviaria nei bovini: nessun caso in Italia

Non sono stati rilevati casi di influenza aviaria nei bovini e nell’uomo nei paesi dell'Unione Europea. Lo conferma il Laboratorio di referenza europeo per l’influenza aviaria dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie. Gli esperti continuano a monitorare.

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Al momento non sono stati riportati casi di influenza aviaria nei bovini e nell’uomo nei paesi dell'Unione Europea. Lo conferma il Laboratorio di referenza europeo per l’influenza aviaria dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie.

La precisazione è arrivata a seguito della diffusione di un ceppo di influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità (HPAI) in alcuni allevamenti di bovini da latte degli Stati Uniti. Il contagio all'interno di queste strutture aveva determinato il contagio di un addetto al settore, il primo essere umano ad essersi ammalato di aviaria dopo il contatto con un bovino. Le modalità erano state chiarite a Kodami dal responsabile delle strutture nazionali ed europee per l’influenza aviaria Calogero Terregino: «Chi lavora in ambienti fortemente contaminati è più a rischio. Si tratta probabilmente di una contaminazione ambientale: l'uomo potrebbe essersi strofinato gli occhi dopo essere venuto a contatto con materiale infetto. Al momento non ci sono elementi che facciano pensare a un contagio aerobico, il più pericoloso perché avviene per via aerea. Anche il latte è sicuro se pastorizzato».

Non è un caso che l'epidemia di aviaria, diffusa anche in Europa, abbia dato origine a questo spillover proprio negli Stati Uniti: «Lì – aveva chiarito l'esperto – c'è una forte presenza di allevamenti estensivi, in cui il contatto tra avifauna selvatica e animali da allevamento è più frequente e diretto». Lo spillover indica proprio il momento in cui un virus compie un salto di specie passando, ad esempio da un ospite non umano a noi. Negli Stati Uniti la presenza di tanti allevamenti di bovini da latte di grandissime dimensioni con ampi parchi esterni rende più frequente e diretto il contatto tra l'avifauna selvatica e gli animali domestici.

Al momento, i ricercatori stanno cercando di capire le esatte dinamiche di diffusione di questo virus dai volatili ai bovini e anche tra i bovini. Non è chiaro infatti se i bovini degli allevamenti statunitensi siano stati infettati da volatili selvatici o da altra fonte riconducibile ai tanti casi di HPAI nei polli d'allevamento che stanno colpendo gli Stati Uniti. «Studi clinici e sperimentali sono previsti in Usa e in Europa per chiarire questi aspetti – hanno chiarito dall'Izs delle Venezie – Il monitoraggio costante delle caratteristiche genetiche del virus e la condivisione delle sequenze all’interno della comunità scientifica permetteranno inoltre di individuare tempestivamente eventuali mutazioni pericolose».

Il rischio è che si ripeta ciò che è stato osservato in passato per i visoni, nei cui allevamenti il virus del Covid continuava a circolare e a mutare. Gli allevamenti sono luoghi che danno molte occasioni ai patogeni per proliferare: più un virus si ricombina, passando da un individuo all'altro, più aumenta le possibilità di creare delle nuove mutazioni, potenzialmente dannose anche per l'essere umano.

Sebbene siano stati identificati cambiamenti minori nella sequenza del virus identificato nell’uomo rispetto a quelle riscontrate nei bovini, entrambe le sequenze mantengono le caratteristiche genetiche tipiche dei virus aviari e per la maggior parte mancano di mutazioni che li renderebbero più adatti a infettare i mammiferi. Il genoma del virus trovato nell’uomo presentava una modifica (PB2 E627K) nota per essere associata all’adattamento virale ai mammiferi, che era già stata rilevata in precedenza in virus HPAI H5N1 e altri sottotipi di influenza aviaria (es. H7N9) identificati in persone e animali infetti ma senza aver mai acquisito la capacità di diffondersi tra le persone.

Date le caratteristiche genetiche di questo ceppo, l’attuale rischio per la popolazione umana rimane basso. Il livello di rischio è maggiore per le categorie professionali più esposte, come veterinari e allevatori, che entrano in contatto con il bestiame. I virus HPAI attualmente in circolazione in tutto il mondo presentano delle caratteristiche che li rendono estremamente contagiosi e in grado di colpire specie molto diverse tra di loro e questo comporta un innalzamento del rischio di contagio per l’uomo, in particolare per le categorie che lavorano a stretto contatto con animali sensibili al virus. L’alto tasso di diffusione del virus fra volatili selvatici, domestici e mammiferi, ha segnato il passaggio dall’ambito della sanità animale a quello della salute pubblica.

Il Laboratorio di referenza europeo per l’influenza aviaria ha fatto sapere di stare lavorando in sinergia con i servizi di prevenzione umana a tutela della salute pubblica, «per studiare e prevenire possibili eventi di spillover, ed è impegnato nella ricerca e lo sviluppo di presidi vaccinali e terapeutici negli animali e nell’uomo».

Giornalista per formazione e attivista per indole. Lavoro da sempre nella comunicazione digitale con incursioni nel mondo della carta stampata, dove mi sono occupata regolarmente di salute ambientale e innovazione. Leggo molto, possibilmente all’aria aperta, e appena posso mi cimento in percorsi di trekking nella natura. Nella filosofia di Kodami ho ritrovato i miei valori e un approccio consapevole ma agile ai problemi del mondo.
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