Gli scienziati hanno finalmente capito da dove i bruchi dei lepidotteri (ovvero farfalle e falene) hanno ereditato la capacità di sviluppare le loro piccole e paffute zampette che muovono velocemente quando scalano uno stelo. Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista Science Advances infatti, queste proverebbero direttamente dai loro antichi antenati crostacei, che usavano le pseudozampe per spostarsi tra i fondali limacciosi e marini. A effettuare questa scoperta sono stati alcuni biologi dell'Università di Singapore, già noti per diversi studi simili inerenti l'evoluzione di altri insetti.
Questi antichi antenati degli insetti vissero circa 400 milioni di anni fa e a differenza di questi ultimi avevano un maggior numero di zampe. Un modo infatti abbastanza semplice per identificare gli insetti da altri artropodi è andare a contare il loro numero di zampe, che sono sempre sei. Tale numero è talmente importante per la loro identificazione che scientificamente gli insetti fanno anche parte del gruppo chiamato esapodi, ovvero "artropodi dotati di sei zampe".
Tuttavia, come è possibile appurare osservando qualsiasi bruco di lepidottero, questa regola non vale per le fasi larvali, che dispongono di un numero maggiore di "arti" che si ricollegano ai vecchi sistemi di locomozione dei crostacei. Un'altra differenza che si può inoltre osservare fra queste "false zampe" e gli arti che successivamente gli adulti andranno ad utilizzare è la loro struttura e il loro stesso utilizzo.
Gli arti paffuti dei bruchi, infatti, non contengono articolazioni e presentano una serie di ganci di presa che funzionano come delle piccole ventose. A differenza inoltre delle zampe vere e proprie possedute dalla maggior parte degli insetti, che emergono dal torace, nei bruchi le pseudozampe si sviluppano dalla superficie ventrale dell'addome e il loro movimento è principalmente basato sulla pressione idraulica, ovvero dal movimento dell'emolinfa che scorre in ciascun arto.
«Queste prozampe aiutano i bruchi ad afferrare i substrati – ha spiegato la coautrice dello studio Antonia Monteiro, biologa evoluzionista presso l'Università Nazionale di Singapore. – Dopo la metamorfosi del bruco, queste zampe ovviamente scompaiono, visto che quando diventi un insetto adulto, non ne hai bisogno e hai uno stile di vita diverso». Per comprendere l'origine di queste strutture, gli scienziati hanno dovuto testare il modo in cui i geni controllano la crescita di queste appendici alterando lo sviluppo embrionale di alcuni lepidotteri e la loro scelta è ricaduta sulle farfalle Bicyclus anynana.
Effettuando così una ricerca molecolare specifica sui geni responsabili nella determinazione del posizionamento degli arti e di altre strutture nelle larve, quando sono ancora nella fase embrionale, i ricercatori sono stati in grado di riportare indietro le lancette dell'orologio e chiarire quali sono stati i percorsi evolutivi che hanno permesso ai lepidotteri di sviluppare queste strutture.
Secondo gli scienziati, il gene responsabile della formazione delle pseudozampe è molto antico e sarebbe nato ancor prima della comparsa degli antenati crostacei dei lepidotteri, ovvero 485 milioni di anni fa. Con il corso del tempo e il passaggio dalla vita marina a quella terrestre, i primi insetti persero la funzionalità di questo gene e cominciarono a sviluppare i loro arti attraverso le mutazioni di quella parte del DNA che regolava lo sviluppo dell'addome. Nei lepidotteri, tuttavia, l'antico gene si è successivamente riattivato, consento ai bruchi di riutilizzarlo e di sfruttarlo sotto un'altra forma.
L'unico altro posto in cui questo gene sembra essersi riattivato, non solo nei lepidotteri ma anche in molti altri insetti, è nell'apparato boccale. Spesso infatti le mandibole, le mascelle e il labium degli insetti, come la "siringa" che utilizzano le zanzare per pungere, in realtà sono delle gambe modificate. Quindi non è proprio vero affermare che solo i lepidotteri hanno conservato queste informazioni genetiche. Le strutture che risalgono agli antenati degli insetti sono state infatti riproposte evolutivamente più volte e riadattate per molteplici scopi, come succhiare il sangue alle proprie prede o muoversi quando ancora non si dispongono di ali.
Tuttavia, bisogna anche ricordare che questi geni sono facilmente manipolabili e soggetti a mutazioni, tanto che lo stesso concetto di "mutazione genetica animale" fu definito da Thomas Hunt Morgan, mentre stava osservando le aberrazioni cromatiche e strutturali del capo dei moscerini della frutta (Drosophila melanogaster), per uno degli studi più famosi dell'intera biologia.