Secondo una diceria, in alcuni casi i serpenti si mordono la coda. Sarà vero? Ebbene, dopo essermi tolta ogni dubbio, consultando, per estremo scrupolo, tutti i testi più aggiornati sulla medicina e la biologia di questi rettili, sono lieta di comunicarvi, con serena certezza, che no, non è vero! In letteratura non sono riportati casi riferibili a un simile comportamento. In effetti, le uniche notizie disponibili sono aneddoti “googleliani” provenienti da supposti pet mate o da commercianti di animali. Nei loro racconti ai limiti del grottesco si legge di contorcimenti, tentativi di “autoingoiarsi”, e non mancano i soggetti morti in conseguenza di questa “autofagia”.
Per onor di cronaca, sempre su un sito internet non scientifico, si trova la testimonianza di James B. Murphy, un erpetologo e ricercatore associato allo Smithsonian National Museum of Natural History, secondo il quale il comportamento di mordersi la coda esisterebbe, ma si tratterebbe comunque di un evento molto raro, presente in serpenti malati e nei loro ultimi istanti di vita. Tuttavia, Murphy specifica di aver visto serpenti a sonagli morenti mordersi mentre erano in preda a convulsioni. È quindi altamente probabile che quei morsi fossero una conseguenza secondaria delle contrazioni e degli spasmi muscolari involontari propri delle crisi convulsive.
Nato dalla cultura egiziana, il serpente che morde la propria coda è un simbolo esoterico di frequente riscontro nel mondo antico. Chiamato ouroboros (o uroboro), questo simbolo è stato descritto per la prima volta negli Hieroglyphica, una trattazione sistematica sui geroglifici egiziani redatta in greco probabilmente nel V secolo d.C. Si ritiene che con l’ouroboros gli egiziani rappresentassero l’eternità, racchiudendo in sé, come spiega l’esperto di simbologia funeraria Gian Marco Vidor, “l’idea di movimento, di continuità, di autofecondazione e di conseguenza di eterno ritorno”.
Bibliografia
La simbologia funeraria ottocentesca, Vidor Gian Marco, 2008