La notizia della morte di 385 elefanti africani in Botswana e Zimbabwe, avvenuta tra la primavera e l'estate del 2020, aveva scosso l'opinione pubblica, poiché all'epoca nessuno era riuscito a individuare le cause dietro a questi decessi. Oggi però, dopo tre anni di indagini e studi effettuati da un team di ricercatori europei e africani guidati da Chris Foggin e Laura Rosen del Victoria Falls Wildlife Trust, gli scienziati sono riusciti a identificare il responsabile di queste perdite in un batterio, risolvendo così un mistero che ha preoccupato i conservazionisti e gli ambientalisti dei due paesi africani per mesi.
Come infatti emerge dallo studio pubblicato su Nature Communications, Foggin e Rosen sono riusciti a scoprire quale agente patogeno ha ucciso gli elefanti, andandone a studiare i resti degli animali morti. Un compito molto difficile da realizzare, anche perché raggiungere le carcasse in tempo, prima che altri animali e le intemperie degradassero completamente i corpi, è stata un'impresa. Inoltre, il non sapere quale tipologia patogeno potesse trovarsi all'interno dei cadaveri è stato molto frustrante per per gli esperti, che non sapevano neppure quali fossero i rischi per la salute umana. Anche per questo i ricercatori si sono ovviamente preoccupati di proteggersi, come se si trovassero davanti a una potenziale pandemia.
Gli elefanti, difatti, sembravano morire in massa abbastanza velocemente e i loro corpi presentavano molteplici segni di setticemia: «Inizialmente sospettavamo che gli elefanti potessero essere morti per colpa dell'antrace e per questa ragione siamo stati molto cauti nel prelevare i campioni », ha infatti dichiarato Foggin, quando ha riassunto le varie fasi della ricerca. Quando però i primi esami post mortem hanno attestato che nei campioni non erano presenti spore del batterio che provoca questa malattia, il Bacillus anthracis, gli scienziati hanno dovuto valutare altre ipotesi, tra cui persino il bracconaggio.
Per escludere i bracconieri dalla lista di potenziali indiziati, ai ricercatori è bastato tuttavia osservare che la maggioranza degli individui deceduti possedeva ancora le zanne, il vero oggetto del desiderio dei cacciatori di frodo. Ed effettuando delle analisi tossicologiche in grado di verificare le concentrazioni di cianuro, spesso utilizzato nelle regioni centrali del continente per uccidere gli animali selvatici, gli esperti hanno anche escluso questa ennesima ipotesi.
È stato in quel momento che gli scienziati hanno cominciato a propendere per altre tipologie di microrganismi differenti dall'antrace, magari ancora sconosciuti alla scienza, ha spiegato Foggin. E dopo aver rianalizzato per una terza volta gli stessi campioni, i ricercatori si sono resi conto che ad uccidere i 385 elefanti era stato in effetti un batterio, che all'epoca tuttavia era completamente sconosciuto e quindi non inserito all'interno delle liste di patogeni in grado di colpire le popolazioni di elefanti.
Questa nuova specie è stata battezzata provvisoriamente dal team Bisgaard taxon 45 e per quanto in futuro necessiterà di una revisione e di un'analisi più approfondita, sappiamo però che appartiene già famiglia di batteri nota ai microbiologi come Pasteurellaceae. Questi batteri sono in genere Gram-negativi, ovvero presentano due pareti di peptidoglicano al livello della loro superficie e rimangono colorati di rosa dopo aver subìto la colorazione di Gram che permette di distinguere e classificare i batteri.
Vivono principalmente all'interno delle mucose di diversi vertebrati, fra cui uccelli e mammiferi. E secondo una ricostruzione parziale effettuata dagli stessi studiosi, questo ceppo di batteri è riuscito ad uccidere così tanti elefanti passando da individuo a individuo attraverso i canali delle mucose della proboscide, quando questi erano molto vicini o forse immersi in acqua per rinfrescarsi. Questa teoria, però, deve essere ancora ulteriormente verificata, tanto che gli stessi biologi interpellati da Foggin e Rosen per effettuare le ricerche sul campo sono ancora al lavoro per ottenere nuovi dati che possano confermare o meno questo scenario.
Di sicuro, spiegano gli esperti, i primi elefanti a morire sono stati quelli in Botswana, con circa 350 elefanti che sono stati trovati senza vita nell’area del delta dell’Okavango. Successivamente, dopo pochissime settimane, a morire sono stati altri 35 elefanti nel vicino Zimbabwe, dimostrando che questo batterio o era già presente nei due paesi o che si era spostato verso est. Nel secondo caso qualcosa deve però aver concesso agli elefanti un'ancora di salvezza, poiché rispetto alle popolazioni dell'Okavango gli individui dello Zimbabwe sembrano essere stati toccati molto meno dalla malattia rispetto alle popolazioni confinanti.
In attesa di ulteriori studi e approfondimenti, gli esperti sperano che questo nuovo ceppo non continuerà a uccidere altri elefanti, visto che secondo gli ultimi dati forniti dal WWF e da altre associazioni, nel corso dell'ultimo secolo abbiamo purtroppo già perso circa il 95% degli elefanti africani.