Non portare dal veterinario il proprio animale domestico è reato. A dirlo è stata la Corte di Cassazione Penale, la quale con la recente sentenza n. 22579 del 2019, ha stabilito che non curare il proprio animale malato rappresenta un vero e proprio reato, un maltrattamento punito dal codice penale.
Chiunque conviva con un animale da compagnia o abbia accettato di occuparsene è responsabile della sua salute e del suo benessere e deve provvedere alla sua sistemazione e fornirgli adeguate cure ed attenzione, tenendo conto dei suoi bisogni fisiologici ed etologici secondo l’età, il sesso, la specie e la razza ed in particolare deve:
- rifornirlo di cibo e di acqua in quantità sufficiente e con tempistica adeguata;
- assicurargli le necessarie cure sanitarie ed un adeguato livello di benessere fisico e etologico;
- consentirgli un’ adeguata possibilità di esercizio fisico;
- prendere ogni possibile precauzione per impedirne la fuga;
- garantire la tutela di terzi da aggressioni;
- assicurare la regolare pulizia degli spazi di dimora degli animali.
Questi sono i doveri e le responsabilità di ogni pet-mate secondo l’accordo Stato-Regioni sul benessere degli animali da compagnia e pet-therapy del 6 febbraio 2003.
La custodia di un animale, dunque, oltre ad offrire immensi benefici a livello di abitudini di vita, di sentimenti, ma anche di benessere psico-fisico, comporta un importante impegno per chi se ne fa carico; un impegno per tutta la vita dell’animale, “nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia”, per citare una ben nota formula.
Chi trascura il proprio animale è chiamato a risponderne a vario titolo.
Cosa succede se non porto il cane dal veterinario quando è malato?
Il nostro codice penale, all’articolo 544 ter, punisce con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagioni una lesione ad un animale ovvero lo sottoponga a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”. La pena è poi aumentata della metà se da tali fatti dovesse derivare la morte dell'animale.
È importante chiarire che affinché si possa parlare di maltrattamento di animali non è necessario che agli stessi siano provocate delle lesioni fisiche, ma è sufficiente una condotta di abbandono o incuria che generi una sofferenza. Come spiega la nostra giurisprudenza, infatti, la norma mira a tutelare gli animali quali esseri viventi in grado di percepire dolore (si veda, in tal senso, la sentenza della Cassazione Penale n. 46291 del 2003).
Per questa ragione la Cassazione, con la sopra citata sentenza n. 22579 del 2019, ha dettato il seguente principio: «configura la lesione rilevante per il delitto di maltrattamento di animali, art. 544 ter, in relazione all’art. 582 c.p., l’omessa cura di una malattia che determina il protrarsi della patologia con un significativo aggravamento fonte di sofferenze e di un’apprezzabile compromissione dell’integrità dell’animale».
Nel caso concreto affrontato dalla pronuncia un uomo è stato condannato per non aver curato la propria cagnolina, rinvenuta in pessime condizioni di salute consistenti in «vari tumori mammari di grosse dimensioni e ulcerati, dermatite in varie zone del corpo, calli da decubito e artrosi agli arti posteriori ed anteriori». Costui, con il proprio comportamento omissivo, ovvero con totale abbandono ed incuria del cane, gli ha cagionato notevoli sofferenze, tanto da rendere necessario un immediato intervento chirurgico.
L’imputato, sul punto, ha tentato di difendersi sostenendo come la malattia non fosse stata cagionata da lui (come non dipendesse da lui la massa tumorale). La Corte ha però chiarito che ciò che rileva, in un simile caso, non è il provocare la malattia, bensì il determinarne l’aggravamento. Da quell’aggravamento, infatti, deriva una pesante e (ingiustificata) sofferenza per l’animale. Di questa è chiamato a rispondere chi non fa il possibile per curare in maniera tempestiva e idonea il proprio animale.