Le api mellifere sono tra le specie impollinatrici più comuni del Pianeta. Eppure non riescono a stabilirsi ovunque, non trovando in alcune aree della Terra il sufficiente numero di fiori che gli garantisce il sostentamento. Questo può risultare dunque un grande limite, quando si vuole rinaturalizzare per esempio un territorio colpito dagli incendi o soggetto al disboscamento intensivo. Per quanto infatti le api riescono a impollinare un gran numero di piante e il loro successo riproduttivo spesso è collegato al benessere, infatti nelle aree fittamente forestate o povere di fiori il loro numero è ridotto e in questi contesti sono altre le specie che hanno occupato il loro ruolo.
Capire quindi perché le api non riescono a compiere adeguatamente il loro lavoro in questi contesti è molto importante, se si vogliono migliorare le condizioni di vita degli ecosistemi. Per analizzare meglio la storia evolutiva di questi animali e perché molte attuali specie "disprezzano" i boschi, alcuni scienziati hanno compiuto un lungo lavoro di ricerca, che è terminato con la pubblicazione di un articolo sul Journal of Applied Ecology. E fra gli autori di questo studio ci sono Benjamin Rutschmann e Patrick Kohl, docenti del Julius-Maximilians-Universität Würzburg (JMU) che si erano già dimostrati interessati qualche tempo fa nel comprendere il percorso evolutivo di questi animali.
In questo articolo è così possibile trarre un grande insegnamento: per quanto oggi consideriamo le api i più importanti impollinatori del pianeta, questi insetti paradossalmente si sono spostati solo recentemente nei campi fioriti, essendosi infatti evoluti in un primo momento all'interno di contesti boschivi, come le foreste boreali ed equatoriali. Ecosistemi più chiusi, che seppur presentano oggi meno possibilità nutrizionali per gli imenotteri (l'ordine a cui appartengono le api), in passato costituivano l'habitat naturale per i progenitori di questi animali.
Capire ciò «era un passo importante per il prosieguo della nostra ricerca», hanno dichiarato i due ricercatori tedeschi. Così, per raggiungere i loro obiettivi, i ricercatori hanno installato dodici arnie in diverse sezioni di foresta di grandezza e ricchezza variabile, in modo tale da spiegare quali fossero le ragioni che spingono le api a preferire le aree aperte. Tramite questo metodo, gli scienziati hanno così confermato che per prosperare all'interno delle attuali foreste decidue, a differenza dei loro antenati, le api mellifere necessitano di una maggiore diversificazione delle specie di piante attualmente presenti nei boschi, in rapporto ad altre popolazioni che vivono in ambiente aperto o in campagna.
Questa maggiore richiesta di cibo è spiegabile tramite due principali fattori. Il primo si collega ai viaggi compiuti dalle api all'interno del bosco, necessari per la ricerca di cibo. Essi infatti sono mediamente più lunghi rispetto ad altri habitat e necessitano di un maggior consumo di energia per essere portati a termine. «Soprattutto alla fine dell'estate, l'approvvigionamento di polline nella foresta era insufficiente – ha affermato Rutschmann. – Anche perché nelle foreste di faggio (che costituiscono buona parte dei boschi europei n.d.r.), non crescono molte piante sul terreno, per via dell'ombre prodotte dalle fronde degli alberi più alti».
Il secondo fattore è invece legato alle differenze floristiche che è possibile osservare fra i boschi attuali e quelli di milioni di anni fa. Le foreste del passato, infatti, non essendo gestite dall'uomo presentavano molte più specie da fiore ed erano circondate da aree di pascolo e sottobosco che garantivano alle colonie boschive di sopravvivere meglio e a più lungo alle siccità e ad eventuali incendi. Gli stravolgimenti climatici e floristici provocati però dall'uomo, già a partire da centinaia di migliaia di anni fa, hanno limitato notevolmente il numero di piante da fiore presenti in un bosco. Un fenomeno che ha portato le api a migrare lontano dalle cavità ancestrali degli alberi e a spingersi sempre più nei campi aperti, abbandonando le aree boschive ormai sottoposte al "controllo" degli uomini e della loro industria del legname, che predilige solamente alcune specie arboree.
Il fatto che le api trovino meno cibo e debbano affrontare maggiori distanze per ricavare risorse, per via della scomparsa delle specie di fiore loro gradite, non comporta però che un bosco non possa essere abitato da una colonia. Basta infatti aspettare che una sezione di foresta venga colonizzata da qualche altra specie di pianta con fiore (così che questa fornisca un aumento delle risorse messe a disposizione), che è possibile vedere un maggior numero di api all'interno di un bosco, anche se leggermente in difficoltà, chiariscono gli scienziati. «Per istituire un ambiente più favorevole a questa tipologia di insetti, le foreste dovrebbero quindi presentare un maggior numero di alberi come il ciliegio, il tiglio, l'acero, il salice, l'ippocastano o il castagno dolce. Tutte piante che producono una grande quantità di polline e nettare» spiega Rutschmann, convinto che bastino anche un basso numero di specie aggiuntive per cambiare letteralmente le chance di sopravvivenza delle api nel cuore dei boschi europei.
Favorire d'altronde la piantumazione delle vecchie specie autoctone nelle aree limitrofe ai boschi può rendere queste aree verdi migliori dal punto di vista ambientale e non avvantaggerebbe solo le api ma anche la foresta stessa, assicurano i biologi. Un ecosistema più sano e dotato di un maggior numero di organismi è infatti meno suscettibile alle infestazioni di parassiti e alla devastazione dei cambiamenti climatici. E creare poi delle reti ecologiche fra le diverse aree forestate e gli altri ecosistemi permetterebbe alla fauna e alla flora di riprendere il controllo del territorio, riducendo così gli sforzi necessari da parte dei biologi e degli scienziati forestali per il recupero dei territori bruciati dal fuoco.
«La conversione delle foreste in ricchi scrigni di biodiversità non promuove infatti solo un numero limitato di organismi, ma anche l'adattamento di questi ecosistemi alle condizioni climatiche future» sottolinea infatti Ingolf Steffan-Dewenter, che coordina la cattedra di ecologia animale e biologia tropicale presso la JMU e ha seguito i lavori di Rutschmann e Kohl dall'inizio. «Le api mellifere infatti una volta stabilite all'interno di un habitat, contribuiscono anche in modo significativo alla conservazione della biodiversità». E se vogliamo continuare a godere in futuro di una passeggiata nel bosco o in campagna, è sicuro che dobbiamo confidare nel lavoro di questi piccole instancabili operaie.