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20 Febbraio 2023
10:29

È possibile amare gli animali e poi ucciderli per indossarli? Il docufilm “Slay” prova a rispondere

Si può essere un amante degli animali e poi ucciderli per indossarli? Nel docu-film “Slay”, la regista e attivista Rebecca Cappelli ha provato a rispondere a questa domanda, facendo luce sulle pratiche utilizzate dall'industria della moda per l'utilizzo di pelli e pellicce.

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Si può essere un amante degli animali e poi ucciderli per indossarli? Questo dilemma con cui molti di noi lottano quotidianamente, è anche la domanda che si è posta la regista Rebecca Cappelli, fashionista francese diventata attivista per i diritti degli animali, dopo aver salvato un cucciolo destinato a essere ucciso per la sua pelliccia e aver dovuto fare i conti con la considerevole presenza di pelli e pellicce nel proprio armadio. Dalla volontà di rispondere al quesito è nato “Slay”, “Uccidere”, un docufilm che segue il cambio irreversibile di prospettiva della cineasta riguardo alle sue scelte sull'utilizzo di pelli e pellicce.

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Ed è proprio da quella riflessione che ha iniziato a cercare di scoprire dove e come gli animali vengono allevati, uccisi e infine trasformati in vestiti. Prima, ovviamente online, ma senza trovare ciò che cercava, viste le poche informazioni dettagliate presenti. Quindi, insoddisfatta dei dati ambigui disponibili, iniziando a cercare le varie fabbriche situate in Cina, India e Europa.

Ed è così che la regista ha cominciato a viaggiare e lo ha fatto per ben tre anni attraverso sette Paesi diversi. Trovando anche la risposta al dilemma iniziale, risposta che però, come suggerisce il logo macchiato di sangue, non piacerà perché non sarà un verdetto di assoluzione. Il documentario, prodotto da Keegan Khun, il pluripremiato co-regista del documentario “Cowspiracy”,  esplora le questioni etiche e ambientali associate alla produzione dei materiali preferiti dalla moda, tra cui pelle, pelliccia e lana.

La volontà del film, infatti, era puntare l’attenzione sugli animali praticamente esclusi da chi parla di moda sostenibile ed etica che preferisce utilizzare temi, altrettanto importanti, come le conseguenze ambientali e le condizioni dei lavoratori del settore dell'abbigliamento.

La tesi che Rebecca Cappelli mostra nel suo lavoro è che l'industria fashion, quando afferma che il proprio uso di materiali di derivazione animale è sostenibile, mente. E il suo film prova a dimostrarlo, nonostante sia stato molto difficile trovare dati e testimonianze necessari, ma soprattutto confrontarsi con la crudeltà verso gli animali su scala così massiccia.

Come vedere come le concerie in India inquinano le acque per produrre le pelli che vengono poi esportate in tutto il mondo; vedere i filmati di scuoiatura della pelle che non ha chiaramente potuto mostrare nel film o vedere ancora brutalità della raccolta della lana in Australia.

Davanti a tutto questo per Cappelli non c’è altra possibilità per la moda che diventare cruelty-free: perché la violenza non è sostenibile e la tecnologia e l'innovazione sono tali da far sì che l’impiego di pelo e pelli vere sia totalmente superfluo, dichiara senza mezzi termini la regista e di questa ferrea convinzione, il documentario ne è il manifesto più efficace.

Resta, però, che la questione è tutt’altro che risolta, nonostante le sempre più persone che ormai chiedono che la moda diventi al più presto un settore in cui la crudeltà nei confronti degli animali non venga contemplata.

Oggi molti marchi di lusso hanno cominciato a bandire le pellicce dalla propria produzione, ma non sarebbe successo se non ci fossero state le tante azioni degli attivisti e delle associazioni, tra cui la PETA, o documentari come Slay che non spengono mai i riflettori sulle questioni etiche e ambientali associate a questo tema. Per questo è fondamentale non smettere.

Il documentario Slay è visibile sulla piattaforma WaterBear, dove sono disponibili anche i sottotitoli italiani.

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Simona Sirianni
Giornalista
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