In Italia non è illegale vendere cani senza pedigree. Ciò che è illegale è vendere cani di razza (o meglio: dichiarandoli di razza) in assenza di pedigree. Soltanto i cani regolarmente iscritti sono cani di razza. Gli altri sono considerati meticci anche qualora presentino tutte le caratteristiche morfologiche di una specifica razza.
Cos’è il pedigree?
Prima di entrare nel merito della questione, chiarendo anche a quali conseguenze si può andare incontro ove si venda o si acquisti un cane in mancanza di pedigree, è necessario spiegare in cosa consista effettivamente questo documento.
In via generale si può dire che il pedigree è un documento dal quale risulta l’elenco degli ascendenti paterni e materni di un animale. Nello specifico, con riguardo ai cani registrati nel nostro Paese, il pedigree è il certificato che attesta l’iscrizione ai Registri del Libro Genealogico tenuto dall’ENCI.
Nel pedigree ENCI sono specificati:
- i dati anagrafici e identificativi dell’animale (razza, sesso, data di nascita, colori);
- il numero dal quale si evince l’iscrizione ad uno dei differenti registri di cui è composto il libro genealogico;
- la discendenza dell’animale (genitori, nonni, bisnonni…);
- eventuali discendenti che hanno conseguito dei titoli in ambito di bellezza o lavoro;
- dati anagrafici del proprietario e dell’allevatore;
- vari passaggi di proprietà del cane;
- ulteriori informazioni utili.
Soltanto se iscritto in questi registri un cane può essere considerato “di razza”.
Si possono vendere cani senza pedigree?
I cani, come tutti gli altri animali, nel nostro ordinamento civilistico sono considerati dei beni mobili. In quanto tali possono essere venduti anche da privati che non hanno alcuna velleità di allevamento, neppure amatoriale. Quindi la legge consente la libera cessione di cani (meticci) anche senza pedigree.
È invece vietata e severamente punita – dal Decreto Legislativo n. 529 del 1992 – la vendita di cani dichiarati “di razza”, qualora gli stessi non siano regolarmente iscritti nei registri di cui si è detto nel paragrafo precedente.
La norma citata consente, infatti, “la commercializzazione di animali di razza di origine nazionale e comunitaria (…), esclusivamente con riferimento a soggetti iscritti ai libri genealogici o registri anagrafici (…) e che risultino accompagnati da apposita certificazione genealogica, rilasciata dall’associazione degli allevatori che detiene il relativo libro genealogico o il registro anagrafico. È ammessa, altresì, la commercializzazione di animali di razza originari dei Paesi terzi, per i quali il Ministro dell’Agricoltura e delle Foreste abbia con proprio provvedimento accertato l’esistenza di una normativa almeno equivalente a quella nazionale. (…)”.
Cosa rischia chi vende cani di razza senza pedigree
La stessa normativa, come accennato, prevede pesanti sanzioni pecuniarie per chi commercializza animali di razza in assenza delle richieste iscrizioni ufficiali. Ricapitolando: il divieto e la sanzione scattano soltanto nel momento in cui i cani vengono dichiarati di razza dal venditore, sebbene non siano iscritti nei registri ENCI.
Vi sono poi casi, ben più gravi, nei quali la condotta del venditore può costituire persino reato. Con la legge 201 del 2010, infatti, il legislatore ha introdotto il nuovo delitto di “traffico illecito di animali da compagnia”. La nuova fattispecie punisce con la reclusione da tre mesi a un anno e con una contestuale multa da euro 3.000 a euro 15.000: chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, reiteratamente o tramite attività organizzate, introduce nel territorio nazionale cani privi di sistemi per l'identificazione individuale e delle necessarie certificazioni sanitarie e non muniti, ove richiesto, di passaporto individuale.
Punisce con la stessa pena: chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, trasporta, cede o riceve a qualunque titolo cani, introdotti nel territorio nazionale in violazione di quanto detto sopra.
La pena è persino aumentata se questi animali hanno un'età accertata inferiore a dodici settimane o se provengono da zone sottoposte a misure restrittive di polizia veterinaria adottate per contrastare la diffusione di malattie trasmissibili proprie della specie.