Una delle credenze storicamente più consolidate sostiene che nella preistoria, almeno fino alla comparsa delle prime civiltà stanziali, le comunità umane fossero fondate sulla differenza dei ruoli sociali dei due sessi: gli uomini avevano il compito di cacciare, mentre le donne erano impegnate a gestire la prole e a occuparsi degli insediamenti. Questa visione piuttosto semplicistica della storia umana ha portato a numerosi fraintendimenti e alcune inesattezze.
Recentemente Sarah Lacy, professoressa di antropologia dell'Università del Delaware, ha smentito definitivamente questa radicata credenza, attraverso due studi, entrambi pubblicati sulla rivista "American Anthropologiste", in cui sono elencate le prove a sostegno di una partecipazione molto più attiva delle donne sia all'interno della società preistorica che durante le battute di caccia.
Nel primo studio vengono prese in considerazione le prove archeologiche che supportano questa teoria, mentre nell'altro la scienziata con il supporto della biologa dell'Università di Notre Dame, Cara Obobock, ha trovato anche le evidenze fisiologiche nei reperti che dimostrano come le donne delle civiltà preistoriche andassero a caccia e utilizzassero armi per abbattere le prede. Grazie a queste ricerca, l'antropologa riscritto il concetto stesso di donne raccoglitrici.
Per ottenere questi risultati, le scienziate hanno esaminato diversi reperti e cercato i segni lasciati sulle ossa degli scheletri di diverse specie umane, indipendentemente dal sesso o dall'età. Gli scheletri in generale provenivano da strati risalente al Paleolitico, quindi da circa 2,5 milioni a 12.000 anni fa. Poi, dopo aver trovato gli indizi sulle ossa associati a varie tipologie di mansioni, hanno classificato i reperti in base al sesso, trovando poche prove a sostegno dell’idea che i compiti fossero assegnati specificamente a un solo genere o che le donne fossero poco partecipi a compiti un tempo considerati esclusivamente maschili.
Per confermare ulteriormente questo dato, esaminando le prove paleoantropologiche e archeologiche presenti in letteratura, Lacy e Obobock hanno analizzato anche la fisiologia delle donne dell'epoca, scoprendo non solo che erano fisicamente capaci quando gli uomini di compiere battute di caccia, ma anche che erano in media molto più atletiche e muscolose delle donne attuali.
Tra l'altro, per quanto gli uomini dispongano di un vantaggio fisico nelle attività che richiedono velocità e forza rispetto alle donne , quest'ultime hanno invece un vantaggio per quanto riguarda le attività che richiedono la flessibilità e la resistenza. Capacità molto utili quando bisogna abbattere un mammut o quando occorre circondare una mandria di prede in maniera efficiente.
Queste ricerche ovviamente non cancellano completamente le conoscenze finora acquisite, hanno chiarito le ricercatrici, visto che molto probabilmente è vera la supposizione che le donne si occupassero maggiormente del compito di crescere i piccoli. Ciò non deve necessariamente far credere che le giovani donne dovessero restare per forza a casa per accudirli. Infatti, considerando la longevità della nostra specie, ora è molto più facile immaginare le donne più anziane, già entrate in menopausa, a dover svolgere questo compito. Le giovani donne, invece, potevano infatti ricoprire ruoli fondamentali e molto più utili durante le battute di caccia.
Per confermare questa tesi, Obobock si è anche concentrata sull'evoluzione nella produzione dell'ormone estrogeno, l'ormone sessuale femminile per eccellenza. Per anni considerato utile solamente per regolare il ciclo femminile, l'estrogeno in realtà è capace di migliorare le prestazioni atletiche delle donne e può accelerare il metabolismo dei grassi, permettendo ai muscoli di produrre maggiore energia. Inoltre, può prevenire l'usura cellulare dei fasci muscolari consentendo maggiore attività fisica.
Tramite le analisi genetiche del DNA antico estratto da diversi reperti, Obobock ha così rintracciato i recettori degli estrogeni in tutte le specie umane che sono state finora sequenziate, dimostrando che le donne, volendo, potevano cacciare indipendentemente dalla presenza degli uomini per buona parte della storia dell'umanità. La teoria degli uomini cacciatori e delle donne casalinghe raccoglitrici fu ipotizzata secoli fa, all'alba dell'evoluzionismo scientifico, ma guadagnò definitivamente notorietà tra il grande pubblico nel 1968, quando una coppia di antropologi – ovvero Richard B. Lee e Irven DeVore – pubblicarono una raccolta di articoli dal nome "Man the Hunter", in cui diversi autori sostenevano l'incapacità delle donne nel rendersi utili nel mondo ostile e complesso dell'età della pietra.
Gli stessi Lee e DeVore, inoltre, sostenevano che la caccia e l'utilizzo del fuoco si fossero evolute per la necessità di aggiungere carne alle diete preistoriche, in modo così da sostenere la crescita di cervelli sempre più grandi e garantire anche alle donne un metodo per valutare e riuscire a selezionare i maschi migliori. La caccia sarebbe quindi stata anche un'esigenza alimentare e riproduttiva degli esseri umani, che avrebbero imparato a cacciare prede sempre più grosse sia per fornire più cibo alla propria famiglia sia per impressionare le donne. Fortunatamente, questa visione è stata fortemente rivista e gli articoli di Lacy e Obobock contribuiranno sicuramente a riscrivere parte delle conoscenze acquisite fino a questo momento.