Scoperti altri due probabili casi di Peste suina africana nel Lazio. «Dai primi riscontri delle analisi dei prelievi effettuati sui cinghiali emergono con alta probabilità altri due casi di positività su 16 campioni prelevati. I casi sono riferiti alla stessa area del caso zero», ha spiegato l'assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D'Amato.
Dopo il ritrovamento di un cinghiale positivo alla peste suina africana a Roma, due nuovi casi sono stati segnalati nella medesima zona, quella del parco dell’Insugherata.
«Proseguono tutte le attività previste dall'ordinanza regionale e i campioni individuati verranno ora inviati all'Istituto zooprofilattico di Perugia per la definitiva conferma – ha sottolineato D'Amato – Abbiamo chiesto al ministero di assegnare anche i test di conferma all'istituto zooprofilattico di Lazio e Toscana per ridurre i tempi degli esiti».
In attesa della conferma definitiva, tuttavia, il capo di Gabinetto della Regione Lazio, Andrea Napoletano, ha dichiarato oggi che per “creare zone di vuoto” a Roma occorrerà procedere ad “abbattimenti selettivi” dei cinghiali.
Un'ipotesi avversata dall'Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa). «Come attesta un parere chiesto agli esperti dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), “la caccia non è uno strumento efficace per ridurre le dimensioni della popolazione di cinghiali selvatici in Europa” – ha rilevato il presidente dell'Oipa Massimo Comparotto – Di più: in generale i cacciatori, con le loro prassi di eviscerazione, possono diffondere in maniera incontrollata il virus della Psa, innocuo per l’uomo, e degli altri agenti patogeni di cui le prede potrebbero essere portatrici».
Tra queste attività da evitare per scongiurare la propagazione della malattia c'è proprio la caccia invocata da una parte della dirigenza locale del Lazio per contenere la popolazione. «La questione va valutata in maniera scientifica – ha segnalato Comparotto – Un serio piano di sorveglianza e prevenzione si può attuare non armando i cacciatori, persino deregolamentandone l’attività, ma con un monitoraggio sanitario degli animali morti che si trovino nel territorio nazionale. Studi scientifici affermano che agli abbattimenti segue un moltiplicarsi di cucciolate. Lo ripetiamo: a Roma il problema sono i rifiuti, non i cinghiali».
La posizione portata avanti dall'associazione era stata espressa a Kodami anche da Giovanni Pezzotti, direttore sanitario dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Umbria e Marche, secondo il quale «è scientificamente dimostrato che qualsiasi attività antropica rischia di disperdere la popolazione di suidi selvatici e questo potrebbe allargare l'infezione a zone più ampie».
Nonostante i grandi rischi per tutti i suidi, la Peste suina africana non è una zoonosi, non può quindi essere trasmessa all'essere umano. Tuttavia si tratta di una febbre emorragica ad elevata mortalità capace di uccidere intere popolazioni di maiali e cinghiali.