E’ accaduto all’inizio dell’anno a Bovalino, un piccolo Comune in provincia di Reggio Calabria l’orribile maltrattamento ai danni di due cagne randagie che sono state legate tra loro ad una macchina e trascinate in strada per oltre un chilometro.
Una è stata rinvenuta morta, l’altra invece gravemente ferita e sotto choc è stata immediatamente soccorsa dai volontari dell’associazione animalista “Anime Randagie”. Sta ancora lottando contro il dolore fisico e morale che gli è stato inflitto.
L’associazione ha raccontato per la prima volta a Kodami le dinamiche di quest’atroce storia e le difficoltà di un’attività di volontariato animalista che diventa sempre più difficile da portare avanti in determinati contesti e talvolta senza gli strumenti necessari per fermare fenomeni pericolosi come i maltrattamenti a danno di animali.
«Il 6 gennaio ci sono state segnalate queste due cagnoline per le strade di Palizzi, un Comune che dista circa 60 km da Bovalino – spiega la presidentessa Angela Aguì – Abbiamo chiesto a chi ce le ha segnalate di monitorarle giusto il tempo di organizzarci per l’accoglienza in rifugio».
Un tempo minimo quello che è intercorso tra la prima segnalazione e il crudele progetto di chi ha deciso di volerle torturare. Neppure 24 ore dopo, infatti, ai volontari è giunta la notizia che mai si sarebbero aspettati di ricevere: le cagne erano ancora in strada ma stavolta esanimi a terra con un cappio al collo che le teneva ancora legate l’una all’altra.
Uno scenario difficile da descrivere per i volontari che hanno visto con i propri occhi fin dove può spingersi la follia umana. «Un fatto su cui è doveroso almeno far luce», sottolinea Angela Aguì. Il soccorso è stato immediato e l’unica cagnolina sopravvissuta è stata urgentemente sottoposta alle cure di primo soccorso su disposizione dei volontari dell’associazione che inoltre hanno provveduto a sporgere denuncia contro ignoti. «Ciò che stato fatto a queste due povere cagne è disumano – continua Angela – abbiamo percorso a ritroso il tragitto fatto in macchina dal criminale grazie alla scia di sangue e pelo che era ancora in terra».
Un fatto di una gravità e crudeltà mostruosa che secondo le volontarie trova il suo movente nel fatto che: «probabilmente la presenza delle due randagie dava fastidio a qualcuno che ha ben pensato di eliminare il problema attaccandole come oggetti alla macchina e correndo a folle velocità su una stradina secondaria per non essere visto da nessuno».
Non alla luce del sole, ma durante la notte, approfittando del buio pesto e dell’assenza di movimento per le vie della città: queste sono state le modalità usate dal criminale. L’arma del delitto, invece, è una corda e le vittime scelte sono state due cucciolone giovani e vaganti sul territorio che prima di allora non erano conosciute da nessuno a parte qualcuno che si occupava di portar loro del cibo. Sui loro corpi non è stato rinvenuto il microchip.
«Nel momento in cui un cane assume un nome, assume anche una storia – spiega la volontaria – Anima e Pena, questi i nomi che abbiamo scelto per le due sorelle. La sopravvissuta è Anima perché lei, al contrario di chi l’ha torturata, un’anima ce l’ha e Pena era purtroppo l’altra, perché solo lei sa cosa ha passato durante i suoi ultimi orribili momenti».
Ad unirsi nella richiesta di fare giustizia è stata anche la LAV, Lega Anti Vivisezione, che ha commentato così lo spregevole gesto: «Queste atrocità non possono restare impunite e devono essere perseguite con pene commisurate alla violenza praticata e alla pericolosità sociale che contraddistingue chi assume simili comportamenti».
Entrambe le associazioni, nonché tutti i cittadini indignati, hanno chiesto alle istituzioni locali e anche nazionali di esprimersi sull’accaduto, condannando il gesto e dando un segnale forte alla comunità.
«Intanto il corpo di Pena è stato messo a disposizione dell’autorità giudiziaria per gli accertamenti utili alle investigazioni e Anima sembra riprendersi giorno dopo giorno – conclude Angela – Nonostante tutto il dolore che le è stato inflitto, lei continua ancora a fidarsi dell’essere umano».
Le volontarie dell’associazione “Anime Randagie” che si stanno attualmente occupando di lenire le ferite fisiche e psicologiche di Anima lanciano un appello: «Vogliamo che questa vicenda non finisca nel dimenticatoio e soprattutto vogliamo che domani nessun cane subisca lo stesso maltrattamento. Chi ha commesso questo reato è un soggetto pericoloso che deve essere fermato e sottoposto alle sanzioni previste dalla legge. Chiediamo alla gente di tutta Italia di unirsi al nostro grido di protesta: “Non una Pena in più per gli animali, l’unica PENA la devono scontare gli umani che commettono tali atrocità”.
Chiunque sia in possesso di informazioni che possano essere d’aiuto nelle investigazioni può contattare, anche anonimamente, l’associazione “Anime Randagie” tramite la loro pagina facebook oppure può rivolgersi alle Forze dell’ordine.
Nb: la foto dell'articolo è un'immagine d'archivio che non rappresenta nessuna delle cagne protagoniste di questa terribile vicenda.