Il nome della 67enne inglese Anne Shields nelle ultime 24 ore è rimbalzato sui media internazionali per le modalità della sua morte: uccisa dalle ferite inflittegli dal cane Choccy, accolto qualche giorno prima della tragedia. Il cane a sua volta è stato ucciso dalle Forze dell'Ordine che hanno fatto irruzione nell'appartamento dopo la segnalazione dei vicini.
Eppure, su Anne Shields ci sarebbe molto di più da dire: era una pensionata che da vent'anni viveva a Macastre, città non lontana da Valencia, in Spagna. Qui si era dedicata alla sua attività prediletta, la cura degli animali, e soprattutto dei cani che nella sua casa con giardino trovavano spesso uno stallo in attesa di una famiglia stabile. Un'attività che in Italia è assimilabile a quella delle tantissime volontarie di strada, figure non istituzionalizzate ma sulle cui spalle ricade quasi per intero la complessa gestione degli animali, soprattutto di quelli vaganti.
Choccy era proprio questo: un cane libero che Anne aveva trovato nei dintorni della sua abitazione e che era stato rifiutato dai rifugi della zona perché troppo pieni. Choccy era molto magro e deperito, e per questo la 67enne aveva deciso di tenerlo con sé in attesa di trovargli una sistemazione più stabile. Questo è il racconto che ai media inglesi fa la figlia di Anne, Sarah Shields.
Una vicenda che si presenta non solo come tragica, ma innanzitutto come molto complessa dal punto di vista della gestione degli animali da parte delle autorità e delle associazioni di Valencia. Tuttavia, a ricorrere ossessivamente negli articoli dei giornali sono solo due parole: «sbranata» e «Pitbull». In queste parole, scorrette a vari livelli, si riduce e banalizza una storia di cui in realtà si sa ancora molto poco.
Come aveva spiegato l'istruttore cinofilo e componente del Comitato scientifico di Kodami, David Morettini, «"Sbranare" è uno dei termini maggiormente usati per la narrazione di un evento aggressivo da parte di un cane, tuttavia l’azione dello sbranare non è etologicamente coerente. Descrive quando vengono strappati pezzi di carne con forza tale da ledere delle funzioni vitali, cosa che non viene quasi mai messa in atto dai cani. Poi, che si possa mordere una persona anche in maniera grave, andando a toccare un’arteria è possibile, ma è un'azione ben diversa».
Ricorrere a "sbranare" in tutti i casi in cui una persona trovi, purtroppo, la morte a causa delle ferite inflitte da un cane è etologicamente scorretto. Una imprecisione che si ripercuote sistematicamente sulle razze di cani che più spesso vengono attenzionate dai media: i Pitbull.
Luca Spennacchio, in qualità di membro del comitato scientifico del nostro magazine, ha impiegato tutta la sua esperienza di istruttore cinofilo esperto per spiegare come e perché i Pitbull sono diventati oggetto di un pregiudizio tanto feroce nel corso dei secoli, e di come ne stiano pagando le conseguenze a migliaia all'interno dei canili di tutta Italia, e forse addirittura del mondo.
Dalle poche foto diffuse in Rete, Choccy era sicuramente un Terrier di tipo bull ma questo non basta a spiegare cosa è successo all'interno della casa di Macastre. Volendo accogliere la versione fornita dalla figlia della vittima, emergono invece diverse lacune nel sistema di gestione dei cani vaganti.
La sistematica superficialità con cui il giornalismo spesso tratta gli episodi di persone aggredite dai cani è ben spiegata anche nell'analisi della direttrice di Kodami, Diana Letizia, sul fenomeno delle notizia copia-incolla. La ripresa acritica di simili episodi, infatti, alimenta la disinformazione e fa del male a tutti, non solo agli animali, soprattutto se non accompagnata da un approfondimento ragionato sul fenomeno e sul contesto.
Proporre simili notizie amplifica lo stigma e il pregiudizio di cui gli animali sono vittime, e li inserisce all'interno di un circolo vizioso che si autoalimenta creando, attraverso la marginalizzazione di determinate razze, sempre più vittime.