Alcuni degli ecosistemi più ricchi di biodiversità rischiano di svanire nell'arco di trent'anni, secondo un team internazionale di scienziati guidati dalla Nanyang Technological University di Singapore (NTU Singapore) e dalla Macquarie University in Australia, che recentemente ha pubblicato un nuovo studio su Nature. Questa evenienza spaventa parecchio gli ecologi, poiché sarebbe la più grave estinzione di massa della storia recente della Terra.
Gli ecosistemi analizzati dallo studio sono le barriere coralline e le aree umide del pianeta, come le paludi e le mangrovie, in cui abitano gran parte delle specie viventi di pesci e di uccelli in pericolo per l‘innalzamento progressivo degli oceani. Gli scienziati sono giunti a queste conclusioni andando ad effettuare delle analisi sui dati inerenti l'eustatismo (ovvero la variazione del livello del mare) a partire dall’ultima glaciazione e incrociandoli con il numero di specie che rischiano di scomparire per colpa del surriscaldamento globale.
Per comprendere a quale tipologia di disastro stiamo andando incontro, gli scienziati hanno preso come esempio l'evento di circa 17.000 anni fa, in cui con lo scioglimento dei ghiacci dovuto alla fine dell’ultima era glaciale, si ebbe la perdita di un gran numero di ecosistemi di seguito ad un innalzamento del mare di oltre 120 metri.
Questa catastrofe spazzò via vaste aree di habitat costieri a livello globale e ci vollero migliaia di anni affinché le mangrovie, così come i coralli e altre creature considerate fondamentali per la costruzione degli ecosistemi, si riprendessero, garantendo a loro volta una stabilizzazione del clima. Perché però la perdita di questi habitat potrebbe provocare oggi così tanti danni? La tecnologia non potrebbe compensare questa tipologia di problemi?
Chiarendo sin da subito che la tecnologia potrebbe solo rallentare il progressivo danneggiamento degli ecosistemi costieri, le principali ragioni per cui l'innalzamento degli oceani sarebbe devastante per la biosfera e per l'attuale economia terrestre sono comprensibili considerando gli effetti positivi che questi ambienti hanno sul nostro mondo. Le barriere coralline e le mangrovie infatti, sono le principali nursery di pesci e di molluschi. Senza questi ecosistemi, gli animali selvatici e gli esseri umani perderebbero nello stesso momento un gran numero di risorse, oltre che una tra le strutture naturali che proteggono la battigia dall'aggressività del mare.
A loro volta, inoltre, la scomparsa di questi ambienti si rifletterebbe sulla terraferma e al largo della costa, con l'estinzione di quegli animali (uccelli, mammiferi marini e altri pesci) che si nutrono degli organismi che – al momento – nascono soprattutto all'interno delle barriere o tra le mangrovie, per poi crescere e migrare altrove.
Il team di scienziati ha affermato, inoltre, che gli habitat costieri sono essenziali per intrappolare il carbonio e nutrire il novellame. Qualora dovessero scomparire, la loro perdita indurrebbe quindi un peggioramento delle concentrazioni di carbonio nell'atmosfera.
Per quanto riguarda invece le probabilità che una catastrofe ecologica di tale portata possa avvenire davvero, gli scienziati sono abbastanza chiari. Sia se i livelli di inquinamento atmosferico dovessero rimanere costanti agli attuali, sia se in futuro venissero superate le soglie stabilite nell’Accordo di Parigi del 2015 (1,5-2°C), le barriere coralline comincerebbero a svanire entro pochi decenni, per poi sparire del tutto con lo scioglimento completo dei ghiacciai, previsto per la metà degli anni Cinquanta di questo secolo.
Proprio su questo argomento il professor Neil Saintilan della Macquarie University di Sydney – uno specialista delle zone umide costiere – ha dichiarato: «Esistono ecosistemi costieri dove i nostri oceani incontrano la terra, comprese le mangrovie, le paludi costiere e le frange delle isole coralline sabbiose. La nostra ricerca mostra che questi habitat costieri potrebbero probabilmente adattarsi a un certo grado di innalzamento del livello del mare, ma raggiungeranno un punto critico oltre l’innalzamento del livello del mare innescato da oltre 1,5-2°C di riscaldamento globale. Senza mitigazione, l’innalzamento relativo del livello del mare secondo le attuali proiezioni sui cambiamenti climatici supererà la capacità di adattamento degli habitat costieri, portando a instabilità e profondi cambiamenti negli ecosistemi a cui non siamo preparati».
Sono moltissime le persone che sono a rischio di morire di fame e di perdere le proprie case a seguito dei danni provocati dall'innalzamento del mare. Il Mediterraneo, vista la sua natura di bacino chiuso, dovrebbe resistere meglio all'impatto generato da questi fenomeni. Altrove, però, gli effetti si ripercuoteranno in maniera rapida su tutti i livelli ecosistemici ed umani, affliggendo le nazioni al di là del ceto sociale e dell'attuale importanza politica o economica.
Il professor Benjamin Horton, direttore dell'Osservatorio della Terra della NTU di Singapore, proprio su questo punto è stato chiaro. Stati Uniti, Brasile, Cina, paesi arabi e africani subiranno tutti lo stesso destino, se non corriamo immediatamente ai ripari, fermando la nostra folle corsa verso l'autodistruzione. «Del circa un miliardo di persone che nel mondo vivono nelle zone costiere, il 70% si trova in Asia. Immaginate quindi cosa voglia dire perdere enormi lembi di terra, oltre alle barriere coralline, in questi tratti di costa. Migliorare la nostra comprensione dei cambiamenti presenti e passati del livello del mare è perciò fondamentale per ridurre al minimo gli effetti del suo innalzamento attraverso lo sviluppo di adeguate strategie di pianificazione costiera, adattamento e mitigazione basate su ragionamenti scientifici validi».
A rischiare però più di tutti sarebbero soprattutto le isole coralline abitate. Già oggi gli effetti di questo fenomeno si stanno infatti osservando in molti paesi insulari del Pianeta. In Polinesia, per esempio, molte località sono divenute nel corso di pochi anni inabitabili, mentre in Indonesia e in diversi arcipelaghi del Pacifico i governi stanno trasferendo in maniera confusa e rapida intere città verso altre isole o lontano dalle coste.
L'unica soluzione a questa probabile catastrofe sarebbe quindi quello di implementare le quantità di energie rinnovabili. Una soluzione che può essere considerata realizzabile solo se i governi e le organizzazioni intergovernative smetteranno di finanziare le aziende che promuovono l'utilizzo di risorse non rinnovabili, come il petrolio.