Lo sguardo dei cani quando non capiscono e non sanno che possono aver ragione a non capire (Italo Calvino, Il barone rampante)
Hai mai visto quello sguardo? È quello che aveva il tuo cane quando l’hai abbandonata, in mezzo a un’aiuola. Era il suo sguardo quando se ne stava lì, immobile, ad aspettarti, e non sapeva. Non sapeva che non saresti più tornat*.
Era il suo sguardo quando una persona compassionevole si è accorta di lei e l’ha raccolta, traghettandola in silenzio verso un ignoto che ha assunto presto le forme anguste di una gabbia. Chiusa.
È questo l’inferno? Dove il caldo, d’estate, le squaglia i cuscinetti plantari e il freddo dell’inverno le congela le orecchie, fino a non sentirle più.
Sì, è questo l’inferno. Dove tutti quelli come lei urlano, urlano tanto, urlano sempre, fino a non sentirsi più. Anime di cani che muoiono dentro, ogni giorno un po’, e chiedono di uscire.
Perché sono sole. Perché manca l’aria. Perché manchi tu. Che sei sicuramente lì fuori e sei sicuramente preoccupato.
Sei lì fuori, vero? È vero che sei preoccupato? Se qualcuno aprisse – maledizione aprite! – potresti entrare a prendermi. Se aprissero, potrei venirti a cercare.
Anche lei urla. Piange, perché non capisce. Non sa che ha ragione a non capire. Anch’io non capisco. Benvenuta all’inferno.
Adesso spiegaglielo, devi spiegarglielo tu. Diglielo, che non ha sbagliato niente. Dille che l’hai tradita. Che non era amore, era un capriccio, ostinato ma breve. Non guardarla, però, mentre le parli. Non te li meriti i suoi occhi. Li hai persi per sempre.
Ora lei è con me. Al sicuro. L’ho scelta quando mi ha lasciato guardare in quei suoi occhi spersi e ho riconosciuto lo sguardo, lo sguardo dei cani quando non capiscono e non sanno che possono aver ragione a non capire. Lei, incontrando il mio, ha scelto me, e finalmente ha smesso di non capire.
Benvenuta a casa, amica mia.
Alla fine, ai miei occhi eri destinata. (cit. Pablo Neruda)