Si chiude il cerchio sulla vicenda del baby macaco rubato dal Parco Faunistico Cappeller di Cartigliano, in provincia di Vicenza, e poi ritrovato il giorno successivo a Mestre che ha tenuto a fine luglio scorso tanti cittadini e appassionati di animali con il fiato sospeso. Il cucciolo si era riunito ai genitori e ai tre fratelli di 13, 4 e 2 anni. Conclusa nel miglior modo possibile per il macaco, chi aveva avuto l’idea di portarlo via dalla sua famiglia, però, non era ancora stato trovato.
E infatti le indagini della Compagnia di Bassano del Grappa, in collaborazione con i colleghi forestali di Vicenza, sono andate avanti e hanno portato alla denuncia di due individui veneziani che il giorno precedente al furto avevano visitato il giardino zoologico. Non solo, uno degli autori del rapimento del cucciolo è lo stesso uomo che ne aveva segnalato il ritrovamento. I due ora dovranno rispondere di furto pluriaggravato in concorso del piccolo esemplare, ma anche dei delitti di maltrattamenti e lesioni di animali e porto abusivo di oggetti atti ad offendere.
Infatti, la notte tra domenica 30 e lunedì 31 luglio i due uomini per rapire il macaco si erano introdotti nel parco tagliando una recinzione e una volta entrati nella gabbia dei primati, avevano picchiato con un bastone tutti gli altri esemplari. A rendersi conto della scomparsa del piccolo uno dei guardiani che aveva dato l'allarme che in pochissimo tempo si era diffuso sui social, spingendo evidentemente i rapitori a disfarsi del cucciolo.
Ad aiutare molto il lavoro degli investigatori le immagini di videosorveglianza del parco dalle quali si era visto uno degli uomini all’interno della struttura la giornata precedente mentre visitava il parco insieme a un amico e alle rispettive famiglie. Intorno, poi, alle 19 erano usciti tutti ma, i due uomini erano saliti da soli a bordo di una vettura diversa rispetto a quella di mogli e figli, auto con cui poi avevano fatto ritorno a Cartigliano.
L’importanza del ritrovamento del macaco nasce dal fatto che si tratta di un esemplare di Macaco rhesus, un primate della famiglia dei Cercopitecidi, che fa parte di una specie protetta inserita nell’appendice II della CITES: ciò significa che pur non essendo in pericolo di estinzione, per evitare lo diventi, il suo commercio è sottoposto a una stretta regolamentazione. Gli umani devono molto a questo primate asiatico diventato nel corso dei secoli l'animale più impiegato per la sperimentazione in laboratorio. Sottoposto a continui test nell'ambito della ricerca medica, il macaco ha sofferto moltissimo per il trattamento disumano subito in virtù dei progressi scientifici.
Sebbene la maggior parte dei cittadini vogliano la fine dei test sugli animali, ogni anno migliaia di macachi e altre specie diventano cavie nei centri di ricerca europea andando incontro a un incubo senza fine fatto di violenze inaudite. Ed è proprio davanti a questo che le organizzazioni per la tutela degli animali si domandano e domandano se dati i progressi scientifici e le tecnologie disponibili sia ancora necessario sperimentare sugli animali. La risposta prevalente della comunità scientifica è che solo mettendo insieme la sperimentazione in vivo e quella dell’elaborazione informatica può scaturire un’evoluzione delle nostre conoscenze tale da favorire lo sviluppo di terapie efficaci che utilizzino il minor numero possibile di animali nella sperimentazione. Secondo gli antivivisezionisti l'accanimento a testare su animali prodotti e medicine destinate all'uomo non serve più e anzi avrebbe addirittura rallentato il progresso medico. Difficilmente le due posizioni si avvicineranno, ma uno sforzo sarebbe auspicabile a beneficio di umani e animali.