Per gli animalisti questa è una battaglia vinta e conclusa. La terza sezione della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso che ha fatto l’ex direttore del delfinario di Rimini. I Supremi giudici, quindi, hanno confermato in via definitiva, la condanna per maltrattamento di animali, mantenendo la confisca definitiva dei delfini che erano stati affidati allo Stato.
Nel 2013 fu un blitz nel Delfinario a riscontrare alcune criticità, tra cui le condizioni critiche di un delfino, Lapo, che subiva attacchi dagli altri esemplari che si trovavano nella vasca e che era senza appetito e depresso. I quattro delfini vennero sequestrati. A fine 2016 è iniziato il processo e Lav si è costituita parte civile. Tra i reati contestati, le condizioni degli animali. Il 30 aprile 2019 il Tribunale di Rimini aveva condannato sia il direttore sia la veterinaria rispettivamente a 6 e 4 mesi di reclusione, registrando di fatto la prima condanna di un delfinario in Europa.
Nella struttura romagnola oltre a Lapo, erano presenti Alfa, Sole e Luna che sono sono ora stati affidati allo Stato e non possono essere messi in vendita. Nel febbraio 2021 la Terza sezione della Corte d’Appello di Bologna confermò la condanna del direttore per maltrattamento degli animali, ma assolse la veterinaria dai capi d'imputazione.
«La Corte di Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso dell’imputato, decreta oggi la fine di un processo in cui Lav è stata protagonista sin dall’inizio e dalle fasi investigative e come parte civile, e sancisce la condanna definitiva all’ex direttore del delfinario e la confisca dei delfini (che non potranno più esser messi in vendita da parte del delfinario) che fino ad oggi sono stati affidati allo Stato (presso l’acquario di Genova), su richiesta della Lav – spiegano dalla Lega anti vivisezione – La nostra battaglia e il nostro lavoro sono stati oggi ripagati, chiudendo definitivamente un caso legale unico in Italia e portando giustizia all’inutile sofferenza di animali per mano dell’uomo. Nella speranza che questo processo rappresenti un caso “che fa scuola”, non lasciando più impuniti i reati nei confronti di tutti gli animali».