L'epidemia di influenza aviaria (H5N1) sta colpendo tantissimi uccelli selvatici e allevati in Europa, Italia compresa, e negli Stati Uniti, e l'allerta per la popolazione umana resta alta. Di recente, infatti, un nuovo caso riscontrato in una bambina morta in Cambogia ha riacceso i riflettori su un'eventuale nuova pandemia. Le autorità sanitarie, compresa l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) confermano che ci saranno sicuramente altri casi negli umani in futuro, tuttavia ribadiscono che a oggi il rischio per la popolazione rimane basso.
Al momento, secondo l'OMS, non c'è il rischio di una nuova pandemia, anche se il virus continua a diffondersi rapidamente tra gli uccelli. Dal 2003 al 25 febbraio 2023, infatti, sono stati registrati un totale di 873 casi umani di infezione da influenza aviaria e 458 decessi a livello globale in 21 paesi. Sebbene i ricercatori sono in attesa di un'ulteriore caratterizzazione del virus rispetto agli ultimi contagi umani, le prove epidemiologiche e virologiche disponibili suggeriscono che gli attuali virus in circolazione non hanno acquisito la capacità di una trasmissione tra gli esseri umani, quindi la probabilità di diffusione resta molto bassa.
Anche l'Agenzia Britannica per la Sicurezza Sanitaria (UKHSA) conferma che il virus difficilmente può diffondersi tra le persone, tuttavia, insieme all'ultimo report il team di scienziati che collabora con l'UKHSA, ha realizzato alcuni modelli che simulano eventuali scenari epidemici di influenza aviaria H5N1 negli esseri umani, in modo da prevedere ed eventualmente affrontare con tutte le contromisure necessarie un eventuale diffusione maggiore del virus sul territorio britannico.
Partendo quindi da un'ipotesi di trasmissibilità superiore alla soglia epidemica attuale e con ciascun positivo che infetta più di una persona, hanno quindi modellizzato diversi scenari, alcuni più "lievi" altri più "gravi". Per lo scenario "lieve" è stato ipotizzato un tasso di mortalità per l'infezione molto simile a quello della pandemia da COVID-19 alla metà del 2021, cioè intorno allo 0,25%. Con questo modello, un'epidemia di H5N1 provocherebbe circa 1 morto ogni 400 persone contagiate, mentre il tasso di ricovero sarebbe dell'1%.
In un altro scenario, quello più "grave", i ricercatori hanno ipotizzato un tasso di mortalità del 2,5%, che provocherebbe 1 morto ogni 40 infetti. Questo modello è analogo all'epidemia di influenza spagnola scoppiata tra il 1918 e il 1920 e che fu responsabile di circa 50 milioni di morti a livello globale. Lo ribadiamo, si tratta di modelli predittivi che ipotizzano scenari di rischio molto più gravi di quelli attuali e che partono da presupposti – come per esempio il contagio da umano a umano – attualmente non esistenti.
«Le ultime prove raccolte suggeriscono che i virus dell'influenza aviaria che stiamo vedendo circolare negli uccelli attualmente non si diffondono facilmente tra gli umani. Tuttavia, i virus si evolvono costantemente e rimaniamo vigili per qualsiasi prova di cambiamento del rischio per la popolazione, oltre che per lavorare con i partner per colmare le lacune scientifiche», ha dichiarato Meera Chand dell'UKHSA.