«Noi umani dobbiamo ricordarci che siamo parte di un tutto. Siamo solo una specie tra tante e non siamo superiori a nessuno. Siamo dei primati, dei mammiferi come altri esseri viventi. Condividiamo con gli animali tantissimi aspetti della nostra esistenza. E’ tempo di essere coscienti che le nostre scelte come società e come individui sono le impronte che lasciamo nel mondo». David Quammen è l'autore di "Spillover", libro che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo in cui il giornalista e scrittore scientifico statunitense spiega l'evoluzione dei virus e descrive in tempi non sospetti l'arrivo di una pandemia come quella che stiamo vivendo. David Quammen è il primo ospite di MeetKodami, una serie di video incontri in cui protagonisti sono persone che attraverso la loro testimonianza e la loro esperienza racchiudono l'essenza del Manifesto di Kodami.
Nel 2012 viene pubblicato “Spillover”. Nel 2020 l’epidemia di Covid-19 si diffonde in tutto il mondo. «La prossima pandemia potrebbe partire da un wet market nel sud della Cina, un luogo dove gli animali selvatici sono in vendita e vengono macellati da vivi … e il virus potrebbe essere diffuso da un pipistrello», è scritto nel tuo libro. Credo però che sia ora di dire chiaramente che la tua non è stata una “profezia” ma una considerazione dovuta a un lavoro scientifico formidabile
Ciò di cui tratta "Spillover" è proprio il tema del rapporto tra gli esseri umani e gli altri animali e i virus che possono trasmetterci, diventando loro il tramite per il salto di specie. Il termine “spillover” significa infatti proprio il momento in cui un virus o altre forme portatrici di malattie passano da un ospite non umano a noi. Questo preciso momento ha un retroscena importante e coinvolge diverse specie di animali selvatici che vivevano lontano dai nostri insediamenti. Quando infatti sentiamo parlare di un coronavirus che si diffonde, dovremmo chiederci: “Perché è nuovo”? In realtà lo è per la nostra specie e allora, di conseguenza, dovremmo anche domandarci: “Da dove arriva?“. La risposta è: da altre creature che non erano in contatto con noi, vivevano nel loro habitat, in posti remoti dove l’uomo è però arrivato. Le conclusioni a cui sono arrivato, dunque, sì: sono il frutto di un lungo lavoro di analisi e studi.
Come è iniziato il tuo viaggio di scoperta? Perché hai deciso di occuparti delle zoonosi?
Sono sempre stato interessato alla natura e agli animali in libertà. Come scrittore ho analizzato e studiato i trattati di Darwin sull’evoluzione, la biologia e l’ecologia e ho pubblicato diversi articoli sul tema della convivenza per il National Geographic, soprattutto. Venticinque anni fa, però, ho iniziato a focalizzare il mio lavoro sulle zoonosi trattando dell’Ebola. Un virus terribile identificato per la prima volta nell’Africa centrale che ha portato a una malattia devastante. Mi sono recato sul posto e lì attraverso il lavoro degli scienziati ho capito tante cose: ho imparato che l’Ebola, come tanti altri virus, raramente colpisce gli esseri umani e rimane nel suo ospite animale in cui vive per molto tempo. Nel caso dell’Ebola, per giunta, ancora non si sa quale sia il suo ospite principale in natura. Quello, comunque, è stato il momento in cui ho compreso che tutto ruota intorno all’evoluzione biologica e che è importante dare dei messaggi corretti. Ho così iniziato a viaggiare tanto, incontrando animali e esseri umani in molte parti del mondo, non solo per "Spillover", anche prima per il mio libro “The song of the Dodo”. Ho visitato l’Indonesia, la Tasmania, l’India e diversi altri luoghi. Ho potuto così verificare, grazie al lavoro di ricercatori coraggiosi e competenti che sono sul campo, che le zoonosi sono frutto della troppa vicinanza con le specie selvatiche.
“Persone, gorilla, cavalli, maiali, scimmie, scimpanzé, pipistrelli e virus: siamo tutti parte della stessa cosa”. Attraverso queste tue parole, puoi aiutarci a spiegare il concetto di “One Health”?
Assolutamente. E’ un concetto importante per descrivere una vera e propria filosofia di vita per prenderci cura del mondo. Come? Ricordandoci che queste malattie diffuse dagli animali ci colpiscono duramente, come nel caso della covid-19 che fa parte proprio della stretta interconnessione tra animali umani e non. Abbiamo dunque bisogno che gli animali vivano in salute: tutti, selvatici compresi soprattutto. Dobbiamo trovare un equilibrio nel rapportarci a loro e non continuare a distruggere ambiente e fauna e ciò va fatto non solo per proteggere loro ma anche noi stessi. Questo significa avere a cuore il concetto di “una sola salute”.
«L’epidemia più grave sul pianeta Terra è quella della specie Homo sapiens», hai scritto in Spillover
San Francesco, secoli fa, ci ha insegnato il rispetto per gli animali, chiamandoli e considerandoli “fratelli e sorelle”. Ora abbiamo un altro Francesco, il Papa, che continua a ricordarcelo e così tanti altri sostengono il messaggio che vivere in armonia con la natura è fondamentale. La nostra specie è una “epidemia” in senso ecologico: siamo 8 miliardi di esseri umani sul Pianeta e da un certo punto di vista possiamo guardare alla nostra specie come se fossimo un insetto nocivo che mangia tutte le foglie degli alberi in una foresta. Questo è ciò che gli scienziati chiamano epidemia, appunto, quando scoprono un focolaio di casi contagiosi. Ma gli ecologisti ci spiegano che avviene un'epidemia quando una singola popolazione, una singola specie, esplode in numero e travolge il suo ecosistema, lo sbilancia. Ecco dunque il senso di definire la nostra specie come tale.
Come possiamo imparare a rispettare gli altri esseri viventi? Abbiamo ancora tempo per farlo?
Assolutamente sì. Noi umani dobbiamo ricordarci, abbiamo bisogno di farlo, che siamo parte di un tutto. Siamo solo una specie tra tante e non siamo superiori a nessuno. Siamo dei primati, dei mammiferi come tanti altri esseri viventi. Condividiamo con gli animali tantissimi aspetti della nostra esistenza. Siamo simili alle scimmie, certo, ma anche ai pipistrelli. E’ tempo di essere coscienti che le nostre scelte come società e come individui sono le impronte che lasciamo nel mondo. Dall’estrazione dei minerali che preleviamo dall’ecosistema, i combustibili fossili che estraiamo dal legname, gli alberi che abbattiamo e fino ai viaggi che facciamo: tutto ha un impatto su coloro che abitano il Pianeta. Abbiamo così il dovere e la necessità di agire in maniera non distruttiva. Come? Partendo dal controllo della popolazione e dobbiamo evitare un consumo eccessivo. C’è troppa disparità nel mondo e ognuno ha diritto a vivere un’esistenza dignitosa e a dare un futuro ai nostri bambini, soprattutto evitando gli sprechi come quello dell’acqua, del cibo, dell’energia.
Com’è la vita in Montana dove tu vivi e negli Stati Uniti in generale durante la pandemia? In Italia la seconda ondata è causa anche di un enorme stress a livello sociale
La gente sta soffrendo tanto anche qui come da voi. C’è molta frustrazione soprattutto adesso perché mentre voi siete stati colpiti duramente già a marzo e a aprile, qui il peggio è arrivato a novembre e sebbene stiamo tenendo la situazione sotto controllo, le persone non ne possono più. C’è il problema dei bambini che non possono andare a scuola e gli adulti che non riescono a lavorare tanto poi da non avere di cosa sfamare i figli. Io sono relativamente fortunato, faccio lo scrittore, sono abituato al lavoro da casa, a parte quando viaggio. Ovviamente tutti dobbiamo sopportare e adattarci, anche solo nel vedere i nostri amici e parenti e meno male che c'è il Web con le videochiamate siamo tutti un po' più vicini. Supereremo anche questa, ne sono certo: adesso c’è il vaccino.
Il vaccino è un passo avanti per migliorare le cose?
Decisamente! E il mio messaggio è proprio questo: tutti devono avere la possibilità di vaccinarsi e deve essere prodotto in quantità grandi e quanto più velocemente possibile. Le persone devono avere facilità di accesso alla vaccinazione e non devono avere dubbi al riguardo. Dobbiamo consentire a tutti di accedere alla vaccinazione e non bisogna essere sospettosi: le persone devono avere fiducia nella scienza. Abbiamo bisogno di leader politici che raccontino la verità e non come è accaduto spesso negli ultimi quattro anni nel mio Paese. Ognuno di noi deve pensare al benessere non solo di se stesso o del proprio nucleo familiare ma comprendere che vaccinarsi è per il bene comune.
Nel tuo ultimo libro, “L’albero intricato”, il focus è sul coinvolgimento dei virus nell’evoluzione biologica, puntando l’attenzione su ciò che ad oggi si conosce relativamente al DNA e ai genomi. E proprio partendo dalle intuizioni di Darwin che citavi anche prima…
Darwin è stato essenzialmente la prima persona che ha disegnato l’evoluzione dell’albero della vita. Un’immagine, del resto, che possiamo mutuare anche dalla Bibbia in cui aveva un significato religioso e al quale lui ha dato un senso evoluzionistico. E’ la storia degli esseri viventi la cui forma rispecchia proprio radici comuni e si alza in un'estensione verticale. Ma alla fine del XX secolo uno scienziato di nome Carl Woese e le persone che poi hanno seguito i suoi studi hanno trovato un altro metodo di studio e fatto nuove scoperte che dimostrano che l’albero della vita non ha quella forma. L'evoluzione, appunto, è molto più intricata perché ora sappiamo che ci sono stati geni che si sono mossi lateralmente da un ramo all'altro, rami che si sono spostati in modo diverso, aggrovigliandosi all'albero, e così via. Un fenomeno che viene denominato “trasferimento orizzontale del gene”. Il trasferimento genico verticale, così come lo conoscevamo, voleva dire che ci sono geni che fluiscono dagli antenati ai discendenti, dai genitori alla prole. Il gene orizzontale, invece, trasferisce i suoi geni spostandosi lateralmente. Come è possibile? La risposta breve è che accade appunto per un'infezione: da virus e da batteri che si sono spostati lateralmente e hanno trasportato quel gene nel nostro genoma, anche umano.
Spiegare un albero così intricato può aiutare chi legge a ricordarsi che la scienza e la vita non sono poi così distanti?
Io scrivo per le persone, racconto storie per le persone e credo che quando si legge di scienza bisogna proprio leggere di noi. I lettori vogliono trovare tra le pagine storie di donne e uomini che hanno fatto delle scoperte importanti e io provo proprio a descrivere il lato umano della scienza.
Recentemente hai dichiarato che “mentre combattiamo la Covid-19 dovremmo iniziare a preoccuparci della prossima che verrà”
Prima di tutto è importante ricordare che il virus SARS-CoV-2 non è semplicemente “qualcosa che è capitato”: è parte di un percorso. E' frutto di un sentiero che riflette il cammino che noi umani abbiamo fatto andando a distruggere la natura, entrando in contatto con animali selvatici che trasportano il virus e dando a quest’ultimo l'opportunità di entrare dentro di noi. Ciò non finirà con il vaccino perché non si concluderà semplicemente con la fine di questa epidemia, almeno fin quando non la smetteremo: stiamo ancora andando a rompere equilibri nelle foreste, a rovinare ricchi ecosistemi e ad abbattere gli alberi. E allora certo che ci saranno ancora altri spillover. Salti di specie che porteranno a nuove epidemie, magari dozzine di focolai in un remoto villaggio dell’Africa o in una piccola città italiana, degli Stati Uniti o di nuovo in Cina. Non è la fine, ci sarà la “next big one”. Ma se siamo preparati, meglio di questa volta ovviamente, nei prossimi 5 o 6 anni potremmo prevenirla. Abbiamo le conoscenze, abbiamo la forza e tutto quello di cui abbiamo bisogno è volontà politica e determinazione. Attraverso la Rete, per esempio, dobbiamo far girare la voce e il vostro progetto, Kodami, è un esempio di come creare cultura e fare informazione.
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