Dino Fortunato, quando ancora non si chiamava così, era un cane vagante e estraneo a un gruppo che gravitava intorno a un paesino della Calabria. Sperduto e affetto da leishmania, il suo modo di interagire con le persone e le difficoltà ad integrarsi con gli altri cani liberi dimostravano, a chi lo avesse osservato con attenzione, che la sua vita in strada non era parte della sua storia e del suo destino. Fiona e Carlo, due turisti americani, erano tornati in Italia, nel luogo d'origine della famiglia di lui in un periodo difficile della loro vita. Carlo si stava sottoponendo a dei trattamenti medici per curare una malattia e l'incontro con quel meticcio ha cambiato il destino di tutti e tre dando il via a "Mondo Stray", un documentario in quattro episodi, il primo sarà disponibile online su YouTube da venerdì 26 marzo 2021, in cui si analizza la situazione da Nord a Sud del randagismo in Italia.
Fiona Cole e Carlo Cesario, marito e moglie, sono tornati nel Belpaese e hanno percorso lo Stivale per descrivere un'Italia che, con tutti i problemi che ci sono per gestire il fenomeno del randagismo, emerge comunque come uno dei paesi più all'avanguardia in merito alla tutela degli animali vaganti. Attraverso le testimonianze di quattro esperti, tra cui Luca Spennacchio, istruttore cinofilo e membro del comitato scientifico di Kodami, "Mondo Stray" aiuta però a comprendere come e quanto ancora c'è da fare sul nostro territorio per arrivare a una pacifica convivenza tra la nostra specie e quella dei cani. Un lungo viaggio che inizia al Nord e finisce lì dove tutto era iniziato, in Calabria. Un'immersione totale nella vita degli uomini e dei cani liberi in tutte le sue sfaccettature, toccando aspetti culturali, sociali e fino alle pieghe di un modo di relazionarsi complesso, con luoghi in cui il cane è ormai solo un "pet" e altri in cui è fondamentale discriminare quali soggetti potrebbero serenamente rimanere nei loro territori e quali invece hanno bisogno di un'adozione. Un lavoro che è difficile a causa dell'emergenza continua in cui operano i volontari e in assenza di un supporto vero da parte degli enti preposti. E, soprattutto, in un Paese in cui la pratica dell'eutanasia è stata proibita dal 1991 ma i canili sono diventati luoghi in cui tanti animali vengono reclusi per tutta la vita.
Partiamo da Dino Fortunato, com'è stato il vostro primo incontro?
Carlo: Abbiamo conosciuto Dino Fortunato nel 2010. Fiona è originaria dell'Inghilterra e io sono nato negli Stati Uniti, ma entrambi i miei genitori sono originari della Calabria. Avevamo riportato mio padre di 82 anni nel suo paese e abbiamo vissuto lì con lui per diversi mesi. Avevamo con noi anche il nostro cane, Rufus, che avevamo adottato in un rifugio di Los Angeles. Sfortunatamente ho sviluppato un grave problema di salute, quindi stavo cercando di navigare nel sistema sanitario italiano mentre ci stavamo occupando di mio padre ed è stato allora che Dino è entrato nelle nostre vite.
Fiona: Abbiamo passato molto tempo in Italia ed eravamo già consapevoli della presenza di cani randagi nel Sud, ma era la prima volta che abbiamo convissuto con loro. Il paesino è vicino alla costa e i cani liberi fanno parte della vita quotidiana lì. Ci sono molti abbandoni, però: vengono scaricati sulla strada di montagna e loro poi arrivano in città in cerca di cibo. C'era un piccolo branco di cani randagi che erano stati accettati in zona dalle persone, ma abbiamo capito che alcuni residenti avevano paura di quelli più grandi e li hanno cacciati via. Una notte, mentre stavamo portando a spasso Rufus abbiamo visto questo grosso pastore marrone che cercava cibo in un vicolo buio. Quando ci siamo avvicinati, per dare un'occhiata più da vicino, è scappato. Abbiamo scoperto che durante il giorno si nascondeva in un'area picnic sul ciglio della strada e arrivava in zona a tarda notte. Era molto magro, quindi abbiamo iniziato a dargli da mangiare. È stato un momento difficile per Dino e per noi. È una lunga storia ma alla fine ci siamo salvati a vicenda. È stato l'inizio di una bellissima relazione.
Così avete iniziato a confrontare le differenze tra Italia e USA nella gestione dei cani senza riferimenti umani fissi?
Carlo: Negli Stati Uniti l'eutanasia è diffusa. In passato, il numero di cani sottoposti a questa pratica, ogni giorno, era orribile. Ci sono stati molti progressi per eradicarla e ci sono sempre meno canili che la mettono in atto. Anche se non è abbastanza, posso dire che ci sono stati molti progressi attraverso forme di prevenzione: sterilizzazione e castrazione dei cani vaganti, aumenti di adozioni, alcune restrizioni sull'eutanasia, obbligo di microchip e il trasporto di cani dalle municipalità "ad alta eutanasia" a quelle "ad alta adozione". Le cose si stanno muovendo nella giusta direzione, ma il numero di cani indesiderati e di cani sottoposti a eutanasia negli Stati Uniti è ancora estremamente alto e molti dei nostri rifugi sono pieni.
Fiona: A Los Angeles, dove viviamo, non abbiamo cani randagi. I cani liberi vengono accalappiati e portati nei canili. Negli ultimi anni c'è stata molta pubblicità per sensibilizzare le persone, ad esempio la campagna “Adopt Don't Shop”, che ha messo in luce le terribili condizioni che abbiamo qui con le cucciolate non controllate e gli allevamenti illegali. A Los Angeles abbiamo un alto tasso di adozione ma anche molte persone che lasciano i loro cani nei canili o li abbandonano per strada. Le condizioni all'interno dei rifugi, però, variano notevolmente di Stato in Stato. Ad esempio, il nostro rifugio locale ha molti volontari e risorse, ma i cani sono alloggiati in box individuali di cemento e i livelli di stress sono piuttosto alti. Quindi, anche se i cani sono ben curati e molti di loro vengono adottati, non è un posto felice.
Torniamo in Italia: dopo aver adottato Dino Fortunato cosa vi ha spinto a voler approfondire la conoscenza dei "nostri randagi"?
Fiona: Eravamo curiosi. Abbiamo visto il piccolo branco di cani che viveva liberamente nel paese che era accettato o tollerato. Ma poi abbiamo visto Dino morire di fame e in guai seri sul ciglio della strada, senza stabilità o interazione sociale con umani o cani. A un certo punto è stato portato al canile locale e, quando abbiamo visto di persona com'era, abbiamo deciso che lì non sarebbe potuto rimanere e ci siamo imbattuti nella burocrazia per farlo uscire. Quindi abbiamo iniziato a chiederci come funzionasse il tutto. Abbiamo conosciuto quei randagi e volevamo conoscere le loro storie. Volevamo onorare la storia di Dino, scoprire di più sulle sue origini e approfondire la situazione che lo ha portato nelle nostre vite. Volevamo anche onorare i cani che abbiamo incontrato in quel rifugio in Calabria dove era tenuto Dino, che non abbiamo potuto portare con noi e che probabilmente hanno trascorso lì tutta la loro vita. Volevamo raccontare anche la loro storia.
Carlo: Attraverso il cammino che abbiamo compiuto per far sì che Dino fosse parte della nostra famiglia siamo entrati in contatto con tante persone appassionate in Italia e in tutto il mondo che difendono i cani randagi, alla ricerca di soluzioni e disposte ad aiutare. In effetti, all'inizio, “Mondo Stray” nasceva come un'idea più ampia. Il nostro piano originale era quello di realizzare un film documentario alla ricerca di soluzioni per i cani randagi in tutto il mondo per contribuire e dare ai cani una voce. Volevamo girare in diversi paesi, ma, sfortunatamente, ottenere un sostegno finanziario per un documentario negli Stati Uniti è molto difficile. Quindi abbiamo deciso di farcela da soli, con pochissimi fondi e molto sudore.
Nel vostro documentario ci sono quattro protagonisti principali, chi sono e perché avete scelto quelle persone?
Carlo: Cercavamo persone che si dedicassero al benessere dei cani, ma volevamo anche trovare persone che rappresentassero parti diverse della storia. La prima puntata, “La Cultura”, ha per protagonista Luca Spennacchio. La sua visione dell'aspetto culturale dei cani e dei canili in Italia è stata illuminante. Ha portato alla luce questioni chiave non solo per l'Italia ma al mondo intero. Nella realizzazione di "Mondo Stray", volevamo saperne di più sulla situazione nel vostro paese ma non volevamo che il nostro film fosse sul puntare il dito contro. In definitiva, volevamo ispirare le persone a pensare alle domande più ampie che riguardano i randagi nel mondo e Luca ha fatto proprio questo. Nel secondo episodio, “Closing the Spigot”, c'è Dorothea Friz, una veterinaria tedesca che dagli anni 80 gestisce una clinica veterinaria senza scopo di lucro in una piccola città fuori Napoli. Ha assistito ai cambiamenti in Italia e ha fatto parte di quei cambiamenti a livello politico. È molto concentrata sulla prevenzione che pensavamo fosse una parte fondamentale della storia. Ma siamo rimasti anche solo affascinati dal suo viaggio personale.
Fiona: Il terzo episodio, “Born Free”, ha per protagonista Michele Minunno, educatore cinofilo pugliese. Non abbiamo branchi liberi dove viviamo a Los Angeles o dove sono cresciuta in Inghilterra quindi è stato illuminante scoprire che ci sono cani nel Sud Italia che, in alcuni casi, vivono in armonia con il loro ambiente. Siamo rimasti affascinati nello scoprire molto di più sui veri randagi del Sud e Michele ci ha dato tanto su cui riflettere. La quarta e ultima puntata, “Labor of Love”, riguarda il Rifugio Fata, un canile senza scopo di lucro in Calabria gestito da un gruppo di donne che stanno combattendo una dura battaglia per aiutare i randagi del posto. Queste donne hanno iniziato la loro missione più di vent'anni fa e hanno costruito il loro rifugio privato da zero. Abbiamo anche intervistato Fausto Vighi, l'educatore cinofilo che le ha aiutate a sviluppare un programma di riabilitazione. Le donne che gestiscono il Rifugio Fata sono incredibilmente dedite e lottano ancora per mantenere attivo il loro rifugio. Ci auguriamo che "Mondo Stray" porti loro più visibilità e supporto.
Quali sono le cose più importanti che avete imparato da ognuna delle persone che avete intervistato?
Carlo: Da Luca Spennacchio abbiamo imparato che le idee sono potenti e il porre delle domande è importante. Ci ha insegnato che le leggi in assenza di una cultura non significano molto e ci ha fatto capire che i nostri cani riflettono chi siamo come esseri umani, sia come individui che come società. Dorothea Friz ci ha insegnato che i dati sono davvero importanti e che non sono solo numeri. I dati ci raccontano storie sui problemi che non comprendiamo del tutto e su cui non riusciamo a capirci. Monitorare e censire, un singolo cane alla volta, è un punto di partenza fondamentale. Ci ha insegnato anche che essere meticolosi può essere un atto d'amore, perché permette di affrontare un tema travolgente del punto di vista della sofferenza emotiva con una "road map" efficace. Dorothea è simbolo di grinta, tenacia, coraggio, tenacia e dedizione.
Fiona: Michele Minunno ci ha insegnato a provare a immaginare i nostri cani che crescono con la loro madre naturale, all'interno di un nucleo familiare di conspecifici. E' complicato, perché se ci pensi davvero, potresti guardare il tuo cane ed essere triste per il fatto che non sia riuscito a svilupparsi in un contesto sociale con i suoi simili. Però serve per farti davvero riflettere su chi è il tuo cane e non come pensa un essere umano ma come pensa un cane. Michele ci ha insegnato un nuovo tipo di compassione e apprezzare quanto i cani si adattino così volentieri al nostro mondo. Ci ha trasmesso la voglia di cercare di imparare il linguaggio canino per rispettare anche il cane che ci è accanto. Le donne del Rifugio Fata ci hanno insegnato la resilienza. Hanno davvero iniziato da zero e dal loro cuore e hanno dovuto capire cosa fare man mano che procedevano. Ci hanno anche mostrato come seguire la nostra coscienza e agire: ciò che fa davvero un attivista.
L'Italia è uno dei paesi occidentali più avanzati in termini di tutela dei cani, anche se abbiamo ancora molti problemi. Cosa pensate che potrebbero prendere in prestito da noi gli Stati Uniti e gli altri paesi?
Fiona: La legge in Italia (281/91 ndr) sul trattamento dei randagi è di grande valore. Non solo vieta l'eutanasia ma è una legge incentrata sugli animali che è veramente progettata per il loro benessere. Penso che il lavoro che si sta facendo in Italia per studiare e proteggere i randagi sia qualcosa che dovrebbe essere valutato anche in tutti i paesi dove è possibile per i cani vivere liberamente. Il sistema di recinti aperti che Michele Minunno ci ha mostrato, ad esempio, piuttosto che le gabbie di cemento, è qualcosa a cui dovrebbero pensare tutti i canili nel mondo. In un mondo ideale, i canili non dovrebbero esistere. Ma fino a quando ciò non accadrà abbiamo tutti la responsabilità di rivalutare come sono allestiti in modo da ridurre al minimo le sofferenze di chi è intrappolato al loro interno.
Carlo: Anche l'idea che abbiamo sentito in Italia che il canile dovrebbe essere una risorsa per la comunità locale e un catalizzatore per il cambiamento culturale è preziosa. Così tanti rifugi per cani in tutto il mondo sono solo posti per detenere i cani, spesso in cattive condizioni. Il canile come luogo in cui le persone possono andare e trascorrere del tempo con i cani, ottenere aiuto con quelli che già vivono in famiglia e parlare con gli esperti è un'idea stimolante.
Cosa vi hanno insegnato i randagi?
Carlo e Fiona: È un fenomeno diffuso in tutto il mondo. Sono esseri viventi ed è difficile accettare tutta la sofferenza che in tanti patiscono. Abbiamo realizzato questo film per promuovere il benessere dei cani, ma vorremmo anche contribuire al dialogo su dove stiamo andando come esseri umani. Le condizioni nei canili di tutto il mondo è simile a quella delle prigioni, dei reparti psichiatrici, degli allevamenti intensivi, del lavoro minorile: l'elenco potrebbe continuare. Il senso è che queste modalità disumane di trattamento della nostra e di altre specie possono esistere nella nostra società in gran parte perché sono invisibili. La maggior parte delle persone associa i cani randagi a paesi più poveri, come il Messico e l'India, dove si incontrano per le strade. Invece non si pensa ai cani segregati nei canili perché, appunto, non sono sotto gli occhi di tutti. Facciamo tutti parte di questo problema e siamo tutti parte della soluzione. I cani sono i migliori amici dell'uomo ma sono anche il miglior specchio dell'umanità. Il modo in cui trattiamo i cani ci dice molto su chi siamo e su dove siamo, come specie. Prestare maggiore attenzione alla loro situazione non solo avvantaggia loro, ma avvantaggia tutti noi.
Dino Fortunato ha avuto una bella vita con voi, qual è l'insegnamento più importante che vi ha lasciato?
Fiona e Carlo: È stata una gioia e un privilegio vederlo crescere fino a diventare il cane straordinario che avrebbe sempre dovuto essere. Ci sentiamo fortunati di averlo conosciuto e di averlo amato. Ci ha aiutato in molti momenti difficili della nostra vita e ci ha portato molti doni. Se dovessi scegliere un solo insegnamento che ci ha lasciato è l'importanza della forza interiore. Dino ha sopportato terribili sofferenze nella sua vita: l'abbandono, il tempo che ha passato nel rifugio affollato e la lotta alla leishmaniosi. Ma non ha mai perso la sua vitalità. Anche quando le sue costole sporgevano, ansimava per lo stress e aveva piaghe su tutte le orecchie e sulle gambe, la coda non smetteva mai di scodinzolare e gli occhi erano luminosi.