Diversi animali utilizzano sostanze tossiche o veleni per difendersi o cacciare. Le tossine presenti in questi veleni interferiscono con diversi processi fisiologici, rendendoli quindi interessanti per lo sviluppo di potenziali nuovi farmaci. Mentre i veleni di serpenti, ragni e insetti sono stati ampiamente studiati, il potenziale delle specie marine è ancora molto poco esplorato. Tra queste, i crostacei velenosi come i remipedi, scoperti relativamente di recente, potrebbero quindi rappresentare una nuova frontiera per la medicina.
Il remipede Xibalbanus tulumensis, che vive nelle grotte sottomarine della penisola dello Yucatán, in Messico, è un esempio affascinante di questa biodiversità marina ancora poco conosciuta. Questo crostaceo, simile a un millepiedi, inietta il veleno prodotto nelle sue ghiandole velenifere direttamente nelle prede. Un team di ricerca multidisciplinare guidato da Björn von Reumont della Goethe University di Francoforte, ha recentemente studiato i componenti di questo veleno, tra cui una nuova classe di peptidi, chiamati xibalbine dal nome della specie.
Questi composti hanno una struttura unica che li rende estremamente resistenti a enzimi, calore e pH estremi. Questo tipo di struttura è simile a quella delle tossine prodotte dai ragni, che agiscono come neurotossine, paralizzando le prede. Nello studio, è stato dimostrato che alcune varianti, come quelle chiamate Xib1 e Xib13, possono inibire i canali del potassio e del sodio nelle cellule dei mammiferi, aprendo quindi nuove prospettive per il trattamento di malattie e disturbi neurologici, come per esempio l'epilessia.
Inoltre, i peptidi possono attivare proteine coinvolte nella sensibilità al dolore, suggerendo nuove possibilità per la terapia del dolore. Tuttavia, il processo di sviluppo dei farmaci ricavati dai veleni animali è lungo, complesso e richiede una collaborazione interdisciplinare. Purtroppo inoltre, il remipede X. talumensis e il suo habitat sono anche minacciati dalla costruzione di una rete ferroviaria che attraversa la penisola dello Yucatán. La distruzione di ecosistemi così sensibili potrebbe quindi farci perdere specie che hanno anche un enorme potenziale medico.