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5 Dicembre 2022
15:04

Dal circo alla falconeria: perché dovremmo disertare gli spettacoli con animali

Circhi, parchi tematici, spettacoli di falconeria: sono ancora molti i settori in cui la sofferenza degli animali e il loro sfruttamento per profitto viene considerato accettabile, anche quando viene proposta al pubblico solo per divertimento.

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I tempi cambiano e la sensibilità nei confronti degli animali è molto cresciuta negli ultimi decenni, grazie anche alle tante campagne di sensibilizzazione sui diritti degli animali. Questo però non impedisce che ci siano ancora settori in cui la sofferenza degli animali e il loro sfruttamento per profitto non sia considerato un fatto eticamente inaccettabile, nemmeno quando viene proposta al pubblico solo per divertimento.

Quando si parla di spettacoli con animali il pensiero vola subito al circo, l’attività più osteggiata dalla maggioranza degli italiani, che sta aspettando da molto tempo che si arrivi a un divieto di utilizzare animali sotto gli chapiteaux, esibendoli ancora come alla fine dell’Ottocento. Se il circo rappresenta la punta dell’iceberg, la forma di spettacolo con animali più criticata, il mondo dello sfruttamento animale per fini ludici è molto più composito di quanto appare però. Il circo, per ragioni legate alla sua natura di spettacolo viaggiante è inevitabilmente costretto a mettere in mostra tutti i suoi limiti, dimostrando l’impossibilità di coniugare questa forma di spettacolo con condizioni, seppur minime, di benessere per gli animali prigionieri, costretti a trascorrere la loro vita fra angusti carrozzoni, piccole gabbie e le esibizioni in pista. In questo caso la sofferenza è palpabile, messa in mostra dalle sbarre delle gabbie o dal triste ondeggiare di molti animali sui piazzali asfaltati delle piazze di spettacolo.

Esistono dunque molte altre situazioni dove gli animali si trovano in cattività, in condizioni visivamente più gradevoli per i visitatori, ma non meno afflittive per gli animali. I gestori delle varie forme di spettacolo e di esibizione degli animali sono infatti diventati molto attenti a non far percepire il senso della prigionia, trasformando la visita o lo spettacolo in un’esperienza, a loro dire, positiva e esperienziale.

Molti giardini zoologici si sono trasformati in bioparchi, cambiando non solo la definizione ma anche le coreografie delle aree che ospitano gli animali, con una sapiente ristrutturazione che, all’occhio distratto del visitatore, sembra regalare un’immersione in un ambiente naturale. Un visitatore attento si accorgerebbe, invece, che molti di quegli spazi che sembrano pensati per migliorare il benessere degli animali proprio a loro sono preclusi. Aree che forniscono l’idea di strutture molto grandi e varie, che in realtà per ragioni di sicurezza o per evitare che siano danneggiate proprio dai forzati ospiti sono a loro completamente interdette, grazie a trucchi architettonici che non sono percepiti quasi mai dal pubblico.

Elefanti e orsi, per fare un esempio, sono animali che in cattività patiscono molto la ristrettezza degli spazi ed è per questo che negli zoo di vecchia concezione il loro recinto o gabbia era una spianata di cemento. Oggi il cemento è stato spesso sostituito con materiali meno “ostili” agli occhi dei visitatori ma altrettanto inutili sotto il profilo dell’arricchimento ambientale e, soprattutto, poco utili per evitare la peggiore delle condanne per gli animali: l’obbligo di vivere in un ambiente privo di stimoli che obbliga a una vita noiosissima. La noia è la prima causa di stress per gli animali, tanto da costringere i keeper dei moderni zoo a inventarsi stimoli diversi, solitamente legati alle attività di ricerca del cibo. Gli animali in natura hanno una vita quasi sempre piena di insidie, ma meritevole di essere vissuta, interessante, ricca di relazioni e interazioni, con continue esplorazioni di un territorio in costante trasformazione. L’esatto contrario di quanto può avvenire in zoo e parchi faunistici.

Identica apparenza ma peggior sofferenza nascondono gli spettacoli di falconeria o comunque di volo libero: dietro una solo apparente libertà si nascondono gabbie anguste e un condizionamento molto forte, che non deve essere scambiato con un rapporto sentimentale fra animale e addestratore. Il falco non torna sul guantone del falconiere in virtù di un rapporto affettivo con il suo gestore, ma solo in quanto profondamente condizionato dal cibo. In parole semplici il rapace o qualsiasi altro uccello, ritorna nelle mani di chi lo ha lanciato grazie a un condizionamento alimentare che avviene nelle prime fasi della sua vita da prigioniero. Gli animali vengono condizionati e si convincono che solo tornando nelle mani dell’uomo potranno mangiare e vivere. Chiunque conosca le fasi di addestramento di un falco e le condizioni di vita al quale viene sottoposto sa bene che in questo ritorno dopo un volo libero si evidenzia il perfetto condizionamento imposto dalla cattività e dall’addestramento. Nulla di romantico, nulla che possa ritenersi come un perfetto rapporto fra animale e uomo.

Questo vale per tutte le specie animali che fanno spettacolo, dove l’esecuzione degli esercizi è sempre motivata da un condizionamento, che in ogni caso prescinde dalla libera volontà dell’animale. La sofferenza è spesso muta, ma visibile a chi la sa comprendere: una realtà e fa parte della quotidianità dei parchi tematici, siano con cetacei, con lemuri, con falchi o con le infinite specie di animali selvatici che l’uomo non ha addomesticato, ma solo addestrato e condizionato.

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Ermanno Giudici
Esperto in diritti degli animali
Mi occupo di animali da sempre, ricoprendo per oltre trent’anni diversi ruoli direttivi in ENPA a livello locale e nazionale, conducendo e collaborando a importanti indagini. Autore, formatore per le Forze di Polizia sui temi dei diritti degli animali e sulla normativa che li tutela, collaboro con giornali, televisioni e organizzazioni anche internazionali.
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