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28 Novembre 2023
10:13

Da dove vengono i tacchini “graziati” da Biden? Un’indagine racconta la crudeltà dell’allevamento americano

Un'attivista ha indagato sulle condizioni di vita dei tacchini donati al presidente degli Stati Uniti per la consueta cerimonia del "perdono", che precede il Giorno del Ringraziamento. Dalle indagini sono emerse tutte le crudeltà degli allevamenti americani di tacchini: cannibalismo, ferite e ingrassamento forzato.

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L’attivista per i diritti degli animali Kecia Doolittle nell’allevamento di tacchini americano (dal video pubblicato su YouTube)

Liberty e Bell sono i due tacchini “graziati” quest’anno dal Presidente degli Stati Uniti nelle settimane prima che il Giorno del Ringraziamento porti sulle tavole degli americani circa 50 milioni di pennuti. La scelta è quanto ci sia di più lontano dall’etico perché, come abbiamo raccontato su Kodami, si tratta semplicemente di una trovata pubblicitaria grazie alla quale l’industria dei tacchini si auto-dipinge come compassionevole e attenta al benessere animale.

Gli uccelli che verranno salvati dal banchetto, infatti, vengono selezionati dal presidente della National Turkey Federation, un’associazione di categoria del settore, e quest'anno a compiere l’elegante gesto del dono al Presidente in Carica Joe Biden è stato Steve Lykken, presidente di Jennie-O. Liberty e Bell, quindi, sono stati portati con una limousine fino al palazzo presidenziale dall’allevamento in Minnesota dove erano stati cresciuti e ingrassati a dismisura e da Washington DC sono finiti a vivere il resto della loro vita all'Università del Minnesota, dove tra le altre cose continuano le ricerche su come rendere i tacchini ancora più “performanti”, cioè più adatti alle esigenze di mercato.

Tutto meraviglioso, quindi? Non proprio. Perché come denuncia la scrittrice e investigatrice sotto copertura Kecia Doolittle, nella notte del 2 novembre alcuni attivisti per i diritti degli animali, tra cui lei, si sono introdotti proprio nell’allevamento Jennie-O dal quale arrivano i due tacchini donati alla Casa Bianca. L’azienda agricola Jennie-O, oltre ad essere la seconda azienda del paese per la produzione di tacchini, era stata infatti selezionata quest’anno come l’azienda fornitrice dei due esemplari consegnati alla Casa Bianca in vista della cerimonia annuale del Ringraziamento per il rituale detto "del perdono", rifacendosi ad una tradizione che risale addirittura a Lincoln, che presumibilmente salvò un tacchino di nome Jack su richiesta di suo figlio Tad nel 1863, seguito poi da John Fitzgerald Kennedy nel novembre del 1963 e poi via via da tutti i presidente americani inclusi Obama e Trump.

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L’interno dell’allevamento visitato il 2 novembre nel Minnesota (dal video pubblicato su YouTube)

«Biden ha ringraziato Steve Lykken, il presidente della National Turkey Federation che era presente, e ha detto al pubblico che i due uccelli erano stati allevati nella “fattoria di famiglia” di Lykken nel Minnesota – spiega Kecia Doolittle – Il termine “fattoria familiare” implica qualcosa di piccolo e accogliente, e questa è un’immagine che l’industria spinge fortemente, appoggiandosi alla narrativa dell’agricoltore laborioso e inesperto che cerca di nutrire l’America e la sua famiglia. È una narrazione che Biden abbraccia chiaramente, come fa la maggior parte dei politici. In realtà, però, il 99% degli animali allevati a scopo alimentare negli Stati Uniti provengono da allevamenti intensivi, e i tacchini non fanno eccezione».

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Uno dei tacchini che non riesce a tenersi in piedi sulle zampe per il troppo peso (da video pubblicato su Youtube)

Quello che infatti la giovane attivista si è trovata davanti agli occhi la notte del 2 novembre è ben lontano dall’immagine edulcorata che le istituzioni americane hanno voluto far passare. «Probabilmente c'erano un migliaio di uccelli nella stalla Jennie-O che visitai quella notte, che era solo una delle tante che componevano proprio quella fattoria racconta – Il fienile era anonimo, fatta eccezione per alcune mangiatoie, lettiera per terra e un paio di ventilatori che facevano del loro meglio con l'aria così maleodorante che dopo un po' iniziò a farmi bruciare la gola».

La visita continua con una perlustrazione degli ambienti interni dell’allevamento che lasciano l’attivista scioccata. «Volevo vedere cosa avrei trovato in questa cosiddetta “fattoria di famiglia”, e il risultato è stato così raccapricciante che è difficile raccontarlo nei dettagli. Cannibalismo. Un gran numero di uccelli morti e morenti, o storpi e affamati. E gli uccelli se la cavavano come meglio potevano, coccolandosi e lisciandosi a vicenda in gruppi che trasudavano familiarità. Erano piuttosto sporchi, spesso pieni di sangue derivante dai combattimenti che il loro stile di vita induce in queste specie tipicamente gentili».

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Un’altra immagine dell’’attivista accanto ad un tacchino ferito (da YouTube)

La Doolittle ha preso con sé due tacchini, molto malandati, li ha portati da un veterinario e ha voluto che venissero curati sebbene i medici l’avessero sconsigliata, viste le condizioni disperate soprattutto di uno dei due che, infatti, a pochi giorni dalla sua liberazione, è morto malgrado le cure, come ha raccontato la stessa giovane donna sui suoi social. Per il resto la descrizione di quanto riscontrato durante il sopralluogo corrisponde a quando emerso anche in altre indagini svolte negli allevamenti di tacchini del paese.

«I cosiddetti tacchini domestici sono stati geneticamente rimodellati per crescere a un ritmo catastrofico fino a raggiungere la macellazione a soli pochi mesi di vita, e sono enormemente sovrappeso e deformati rispetto ai loro parenti selvatici» spiega infatti la Doolittle facendo riferimento alle pratiche di alimentazione forzate confermate anche da Josh Balk, vicepresidente della protezione degli animali d'allevamento di HSI Humane Society degli Stati Uniti. «Centinaia di milioni di tacchini sono geneticamente manipolati per essere innaturalmente obesi, il che causa un'enorme quantità di dolorose deformità alle gambe, dolori articolari e problemi cardiaci».

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Un altro tacchino ripreso all’interno dell’allevamento (dal video su YouTube)

Secondo un’indagine realizzata dalla rivista Vox «l'industria del pollame ha reso i tacchini così grandi principalmente attraverso l'allevamento selettivo. Il tacchino bianco dal petto largo, che rappresenta 99 tacchini su 100 venduti nei negozi di alimentari, è stato allevato per enfatizzare il petto, una delle parti più preziose dell'uccello – spiegano, sottolineando come dagli anni 60 ad oggi il peso di questi uccelli allevati sia raddoppiato con drammatiche conseguenze per la loro salute – Questi uccelli crescono due volte più velocemente e diventano quasi due volte più grandi rispetto agli anni 60. Il peso eccessivo, combinato con altri problemi di salute causati dalla rapida crescita e dall’ambiente antigenico dell’allevamento intensivo, può rendere loro difficile camminare». Dato confermato dalle immagini girate dalla Doolittle nell'allevamento dove si possono vedere chiaramente alcuni tacchini barcollare e poi cadere a terra schiacciati dal loro stesso peso.

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Un tacchino dell’allevamento (dal video su You Tube)

L’altro problema che deriva dalle dimensioni eccessive è che i maschi diventano così grandi che non possono montare le galline, quindi devono essere allevati artificialmente. Questa pratica era già stata approfondita da Jim Mason nel suo libro The Ethics of What We Eat, scritto in collaborazione con il filosofo Peter Singer nel 2007. Per poterla raccontare Mason aveva accettato di lavorare per un breve periodo in uno degli allevamenti di Butterball, vero e proprio gigante delle produzioni alimentari.

Lo stesso scrittore aveva testimoniato così di essere stato costretto a «tenere in braccio dei tacchini maschi mentre un altro lavoratore li stimolava per estrarre il loro sperma con una siringa utilizzando una pompa a vuoto. Una volta piena, la siringa veniva portata nel pollaio dove le galline erano bloccate immobili a petto in giù mentre un altro lavoratore inseriva il contenuto della siringa nella gallina utilizzando un compressore d'aria». Il suo commento, condivisibile, è rimasto impresso nel suo libro: era «il lavoro più duro, più veloce, più sporco, più disgustoso e peggio pagato» che avesse mai svolto.

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Maria Grazia Filippi
Giornalista
Scrivo da sempre, ma scrivere di animali e del loro mondo è la cosa più bella. Sono laureata in lettere, giornalista professionista e fondatrice del progetto La scimmia Viaggiante dedicato a tutti gli animali che vogliamo incontrare e conoscere nei luoghi dove vivono, liberi.
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