Riaan Naude, cacciatore di professione di 55 anni, è stato ucciso da alcuni colpi di pistola a sangue freddo nella provincia di Limpopo, in Sud Africa. Da cacciatore a preda, ma non degli animali che uccideva per hobby, bensì di esseri umani che gli hanno teso un agguato mentre andava a caccia
Naude era molto conosciuto per la sua attività, di cui si vantava continuamente mostrando le foto delle sue innumerevoli prede uccise. Ma per lo stesso motivo era anche un personaggio molto odiato.
Secondo alcuni testimoni «due persone da un bakkie (furgone ndr) fermato accanto all'uomo, gli hanno sparato a sangue freddo a distanza ravvicinata. Quindi, i due sospetti sono scappati». Secondo le prime ricostruzioni, sembra che si sia trattato di una vera e propria esecuzione.
Il cacciatore si stava dirigendo verso il Kruger Park nella regione del Limpopo, quando si è dovuto fermare per un guasto all’auto. Qui è stato avvicinato da due uomini che lo hanno freddato. Il corpo senza vita di Naude è stato trovato dopo qualche giorno, vicino al suo fuoristrada.
La caccia al trofeo è una pratica crudele davvero molto difficile da estirpare, anche perché è ancora legale in gran parte dei Paesi. Compresa, purtroppo, l’Unione Europea che è il secondo importatore al mondo di trofei di caccia, dopo gli Usa, con in testa alla triste classifica Germania, Spagna e Danimarca.
Ogni anno sono migliaia gli esemplari, tra leoni, giraffe, lupi e tigri, che vengono uccisi per divertimento. Negli Stati Uniti, uno dei più grandi gruppi mondiali di caccia al trofeo, il Safari Club International, con associati da tutto il mondo, incoraggia i cacciatori a uccidere soprattutto le specie in via di estinzione. Ma non solo, perché il club investe anche grandi risorse per fare pressione sui Governi affinché indeboliscano la protezione delle specie prese di mira.
Ma non solo i safari uccidono. Nel mondo, in aree come il Sudafrica è molto in voga anche un’altra la pratica, forse ancora più orribile, evoluzione in peggio del tradizionale safari. Il suo nome è "canned hunting" o "caccia al leone in scatola" e, in questo caso, gli animali vengono allevati per essere uccisi.
Una pratica che ha purtroppo molti estimatori in tutto il mondo. E che piace molto ai cacciatori che vogliono conquistare una preda senza troppi sforzi e per i quali contano solo la foto ricordo di fianco alla carcassa e il trofeo imbalsamato da esibire a casa propria. In questo caso, infatti, il cacciatore non deve fare altro che prendere la mira e sparare. Ovvero, non caccia nemmeno, si limita a uccidere.
L’Italia, dove l’importazione dei trofei di caccia in Italia è tuttora legale, alla vigilia della Giornata mondiale della fauna selvatica, lo scorso 2 marzo, ha presentato una proposta di legge mirata a vietare sia l’importazione che l’esportazione di trofei di specie protette, punendo la trasgressione con un’ammenda che arriva fino a 300mila euro in caso di recidiva e l’arresto fino a tre anni.
Un passo avanti notevole, visto che, secondo dati diffusi da Humane Society International, che lotta da anni contro questa pratica, nel biennio 2019-2020, nel nostro territorio, pur con le restrizioni ai viaggi dovute al Covid-19, sono arrivati 105 trofei di 13 differenti specie di mammiferi. E nel quadriennio 2014-2018 l’Italia è risultata il primo importatore di trofei di ippopotamo, il quarto di leone e il quinto di elefante africano.
Una proposta importante che, se mai dovesse arrivare alla fine dell’iter legislativo ed entrare in vigore, porrebbe il nostro Paese all’avanguardia nel mettere un freno a queste pratiche, schierandolo dalla parte della fauna selvatica e azzerando il numero di animali protetti cacciati per divertimento.
Una proposta, peraltro, molto condivisa dagli italiani, contrari a questa pratica fuori dal tempo e consapevoli che la tutela della biodiversità è un importante fattore anche per la sopravvivenza dell’essere umano e che quando intaccata mette a rischio il futuro e la qualità di vita delle prossime generazioni.