«Non è una buona notizia, perché gli animali potrebbero costituire una riserva dalla quale nuove varianti potrebbero saltare fuori. Solo il tempo ci dirà se il fenomeno è rilevante». Questo il laconico commento lasciato su Twitter da Roberto Burioni, virologo e docente all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, su un recente studio che ha scoperto un'infezione di Covid-19 diffusa nel cervo dalla coda bianca (Odocoileus virginianus) in Nord America, con centinaia di animali infetti in 24 stati degli USA e diverse province canadesi.
Mentre molti di noi tentano ancora di posizionare correttamente i tasselli della propria vita sparsi a terra dalla pandemia, una recente ricerca infonde una rinnovata preoccupazione. Nei mesi scorsi diversi ricercatori americani guidati da un team del National Centre for Foreign Animal Disease hanno effettuato numerosi tamponi a svariate popolazioni di cervo dalla coda bianca sparse fra Stati Uniti e Canada.
Dimostrata trasmissione da cervo a uomo di varianti di Omicron. Non è una buona notizia, perché gli animali potrebbero costituire una "riserva" dalla quale nuove varianti potrebbero saltare fuori. Solo il tempo ci dirà se il fenomeno è rilevante. https://t.co/52wZYmH4Ys pic.twitter.com/nVib8qVfc8
— Roberto Burioni (@RobertoBurioni) November 17, 2022
Alla scena, oramai, siamo abituati: ricercatori con mascherine, camici e occhiali protettivi si avvicinano agli animali con tamponi speciali di lunghezza maggiore per poter prelevare campioni nelle loro profonde narici. Dopo aver stimato l'età controllando denti e corna degli ungulati gli studiosi si chinano delicatamente e puliscono da foglie e fango le cavità nasali prima dell'operazione. Un'attimo di pazienza, uno sbuffo come una sorta starnuto, e l'animale è libero di tornare dal suo gruppo.
I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature, hanno tenuto anche conto di possibili tracce anticorpi nel sangue degli animali e al termine delle analisi hanno offerto caute conclusioni: i ricercatori hanno dimostrato che Sars-CoV-2 è presente in alcune popolazioni di cervo dalla coda bianca, ma questo non significa che possa effettuare immediatamente un salto all'uomo. Ciò che è certo è che se il virus è in grado di reinfettare altri animali, proprio come accade con noi, per cui la pandemia è tutt'altro che terminata e sentiremo parlare ancora a lungo di Covid- 19.
Il Covid è un pericolo per la salute dei cervi?
Come sia possibile che i cervi si siano infettati rimane ancora un mistero e ad oggi abbiamo poche informazioni su cosa realmente accada una volta che gli animali sono infetti, cosa succede quando si diffonde tra di loro e quale rischio queste infezioni potrebbero rappresentare per altri animali selvatici e per gli esseri umani.
Il dubbio che l'infezione possa essere pericolosa è reale: negli Stati Uniti vivono circa 30 milioni di cervi vivono negli Stati Uniti e pochi di meno in Canada. Fortunatamente tutti i cervi che hanno contratto la malattia godono più o meno di buona salute, anche se non è ancora chiaro se il virus possa diffondersi con lunghe catene di infezione tra i cervi e se la trasmissione da cervo a uomo possano effettivamente innescare nuovi focolai.
La principale preoccupazioni dei ricercatori al momento, dunque, non è tanto per la salute degli animali, che sembrano cavarsela egregiamente, ma per la possibilità che questi possano diventare un nuovo serbatoio del virus. Se il virus dovesse permanere a lungo fra questi mammiferi, infatti potrebbero diffondere l'infezione al bestiame o altri animali selvatici più vulnerabili.
Quale possibilità c'è che il Covid si trasmetta dal cervo all'uomo?
Una volta che un cervo viene infettato ci sono molte opportunità per il virus di diffondersi nella popolazione e conoscendo alcuni dettagli del comportamento dell'animale possiamo speculare se un giorno il virus potrà passare anche all'uomo. Se fossimo in Ontario proprio in questo periodo dell'anno potremmo sederci su un tronco caduto al suolo per le intemperie e osservare a debita distanza le numerose interazioni fra gli individui del gruppo.
Vedremmo passare davanti a noi, con un po' di fortuna, un piccolo gruppo di cervi, tutti maschi. Per la maggior parte dell'anno questi si riuniscono in un massimo di sei individui e danno vita a spettacolari lotte di allenamento, in attesa dei reali scontri nella stagione degli amori, e sessioni di grooming, interazioni a stretto contatto l'uno con l'altro utili per rinsaldare i legami del gruppo.
Se avvistassimo un gruppo più nutrito, invece, con tutta probabilità si tratterebbe di una matriarca con diverse generazioni di cerbiatti e femmine al seguito. Solitamente i loro areali sono fissi e i cervi rimangono in quello spazio per quasi tutto l'anno, ma ciò cambia durante la stagione riproduttiva, ovvero da ottobre a febbraio. I maschi possono viaggiare diverse decine di chilometri e occasionalmente una cerva potrebbe anche allontanarsi dalla matriarca fino a 100 chilometri tornando giorni o settimane dopo nel suo territorio abituale. In tutto questo tempo, gli animali interagiscono e potenzialmente potrebbero diffondere il virus a chilometri di distanza.
Insomma la possibilità di poter trasmettere la malattia su lunghe distanze c'è, ma ad oggi ci sono ancora troppi dubbi per poter effettivamente pronosticare quando e se avverrà. Per questo motivo gli scienziati stanno pianificando futuri studi in cui saranno analizzate più nello specifico le varianti Omicron e Delta del virus per scoprire come potrebbero comportarsi in altri animali a stretto contatto con i cervi, come volpi e coyote.