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2 Agosto 2021
14:45

Covid, la ricerca italiana: Sars-Cov-2 poco presente nei gatti

Quanto è presente il virus Sars-Cov-2 tra cani e gatti? A studiarne l’epidemia in Italia, nel mondo veterinario, è il progetto Covidinpet, un'iniziativa che vede insieme, tra gli altri, Ptp Science Paek, gli Istituti zooprofilattici di Lombardia ed Emilia-Romagna, le Università degli Studi di Milano e Bari, la Regione Lombardia, l’Ospedale Sacco, la Fondazione Cariplo e la Fondazione Veronesi. Ad ora, emerge come il cane sia poco recettivo al virus che causa la Covid-19, mentre il gatto può essere infettato dopo un contatto con i proprietari infetti.

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Nei gatti il virus Sars-Cov-2 è scarsamente presente. A dirlo è uno studio pubblicato su Transboundary and Emerging Diseases e che fa parte del progetto Covidinpet, una iniziativa che vede insieme, tra gli altri, Ptp Science Park, gli Istituti zooprofilattici di Lombardia ed Emilia-Romagna, le Università degli Studi di Milano e Bari, la Regione Lombardia, l’Ospedale Sacco, la Fondazione Cariplo e la Fondazione Veronesi. Dei 99 gatti monitorati in 25 colonie feline tutti sono risultati negativi nonostante un loro custode fosse stato trovato positivo. I mici, secondo gli studiosi, «non hanno un importante ruolo epidemiologico sulla trasmissione del virus».

Il progetto Covidinpet vuole cercare di capire quale sia il ruolo degli animali domestici nella trasmissione del virus (ancora non ci sono sufficienti dati), confrontarne le sequenze genetiche e comprendere le eventuali interazioni tra Sars-Cov-2 e i coronavirus di cani e gatti.

I ricercatori del dipartimento di medicina veterinaria si occupano della raccolta di campioni durante alcune visite veterinarie di routine sia da pet mate clinicamente sani o negativi a tamponi per Sars-Cov-2, sia da positivi o affetti da Covid-19 e da cani e gatti senza proprietario ricoverati presso canili pubblici. Al team del dipartimento di Scienze biomediche e cliniche “Luigi Sacco”, il compito non solo di contribuire alla caratterizzazione genetica del virus, ma anche di eseguire prelievi su proprietari o operatori del settore (veterinari, allevatori, operatori di canile, ecc.) che aderiranno volontariamente allo studio, per verificare se l’eventuale positività o sieropositività in persone clinicamente sane ma con frequente esposizione al contatto con animali sia superiore rispetto alla popolazione generale.

I risultati dello studio permetteranno di chiarire se cani e gatti rappresentino una fonte di infezione per l’uomo sia perché suscettibili a ospitare il coronavirus ed eliminatori di virus in grado di replicare sia come semplici trasportatori del virus su cute e mucose, o al contrario, come auspicabile in base ai dati ad oggi disponibili, di escludere un loro ruolo epidemiologico importante.

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