Fin dai primi giorni della pandemia da covid-19, gli animali domestici, il bestiame e la fauna selvatica sono stati oggetto di diverse interrogazioni sull’origine del virus e sulle possibilità di trasmissione del contagio. L’organizzazione mondiale della Sanità ha escluso la possibilità che cani e gatti possano infettare gli umani e diversi studiosi stanno analizzando le manifestazioni, per lo più asintomatiche, negli animali domestici che hanno contratto la malattia. Dall’inizio della somministrazione a livello globale del vaccino anti-covid alla comunità scientifica è stata rivolta un’ulteriore domanda: bisogna vaccinare anche gli animali domestici?
Vaccinazione per cani e gatti
La risposta è arrivata con la pubblicazione sulla rivista Science di un report in cui si spiega perché – al momento – la vaccinazione per cani e gatti di famiglia non sia né urgente né necessaria. «Recentemente è apparso un editoriale in cui ci si chiedeva se avesse senso vaccinare gli animali da compagnia, in particolare cane e gatto, nei confronti di SARS-CoV-2, considerato che queste specie sono sensibili al virus», spiega Nicola Decaro, professore ordinario al Dipartimento di medicina veterinaria dell’Università di Bari.
«Dall'articolo si evince che si ritiene inutile e poco probabile l’impiego di vaccini per covid-19 in questi animali, sia perché non rappresentano un problema di sanità pubblica (non ci sono evidenze di un loro coinvolgimento nella trasmissione dell’infezione all’uomo), sia perché l’infezione in cani e gatti è quasi sempre asintomatica o paucisintomatica, quindi non rappresenta un pericolo concreto per la loro salute».
Fauna selvatica e animali degli zoo
Se la vaccinazione anti covid-19 per il cane e il gatto non è necessaria, potrebbe invece esserlo per altre specie animali come ad esempio per i visoni d’allevamento. «Avrebbe senso pensare ad una vaccinazione di massa», è il pensiero del professor Decaro. «Questi animali sviluppano infezioni di una certa gravità e, soprattutto, rappresentano degli amplificatori e dei serbatoi del virus. SARS-CoV-2, una volta introdotto negli allevamenti di visoni, non solo è responsabile di forme cliniche gravi e mortalità, ma viene amplificato e può essere ritrasmesso all’uomo». I visoni svolgono, dunque, un ruolo importante nel mantenimento e nella trasmissione della malattia agli esseri umani: «Inoltre, è accertato il ruolo del visone nella comparsa di varianti antigeniche del virus che potrebbero (il condizionale è d’obbligo) eludere la risposta del sistema immunitario nelle persone vaccinate».
Un altro elemento di preoccupazione per gli scienziati è rappresentato dagli animali degli zoo, specie quelli a rischio di estinzione: «I primati non-umani (come le scimmie antropomorfe) sono molto sensibili al Covid-19 e dovrebbero essere protette dall’esposizione all’uomo oppure vaccinate contro SARS-CoV-2».
Gli animali domestici si infettano solo sporadicamente e non sono un pericolo per l'uomo
Lo studio di Nicola Decaro – citato nel report di Science sui vaccini – ha avuto il merito di approfondire, in tempi non sospetti, proprio il ruolo che cane e gatto possono rivestire nel quadro epidemiologico di SARS-CoV-2. Lo studio, condotto tra marzo e maggio 2020, ha interessato 919 animali da compagnia (603 cani e 316 gatti) di diverse regioni italiane (soprattutto Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna), che sono stati sottoposti ad esami molecolari e/o sierologici per la ricerca del coronavirus degli anticorpi specifici.
Alcuni di questi animali convivevano con pazienti umani positivi alla covid-19; i risultati hanno dimostrato che nessun animale era infetto dal virus al momento del campionamento, mentre il 3,33% dei cani ed il 5,76% dei gatti testati possedevano anticorpi neutralizzanti per SARS-CoV-2, documentando una pregressa esposizione al virus. «Successivamente abbiamo segnalato per la prima volta un caso di positività in un cane italiano – racconta Nicola Decaro – Si trattava di un barboncino femmina di un anno e mezzo, appartenente ad un nucleo familiare di persone positive per Covid-19. Il cane è sempre stato in perfetta salute durante l’infezione che è stata di breve durata, con presenza del virus in alcuni tamponi per soli 4-5 giorni. Pertanto, abbiamo confermato che cane e gatto possono infettarsi solo in maniera sporadica e non dovrebbero rappresentare un pericolo per l’uomo».
Le vaccinazioni animali nella storia
Nel corso della storia ci sono state diverse vaccinazioni di massa sia negli animali domestici sia in quelli di allevamento. «Alcune malattie infettive del cane, per esempio, quali cimurro ed epatite infettiva, sono diventate abbastanza rare nei paesi industrializzati grazie alle vaccinazioni sistematiche», spiega ancora il professore Decaro. «Negli animali di allevamento, invece, la peste bovina, che ha messo in ginocchio la zootecnia mondiale nel XIX secolo, è stata eliminata dall’intero pianeta (esattamente come il vaiolo dell’uomo) grazie all’impiego dei vaccini. La vaccinazione, insieme alla profilassi sanitaria, ha contribuito anche ad eradicare in Europa, Australia e Nord America altre malattie del bestiame, come afta epizootica e peste suina classica, non trasmissibili all’uomo ma con un devastante impatto economico sulle produzioni zootecniche». Potrà sembrare sorprendente ma esempi di vaccinazione di massa esistono anche in ambito selvatico: «Estese campagne di vaccinazione antirabbica hanno riguardato le volpi lungo tutto l’arco alpino, consentendo di far acquisire all’Italia e ad alcuni paesi limitrofi lo status di nazioni indenni». La vaccinazione di questi animali selvatici viene effettuata distribuendo sul territorio delle esche con all’interno il vaccino, per cui si tratta di una vaccinazione orale che ha dato ottimi risultati.
Due specie, una virologia: il confine tra umano e animale
«La maggiore preoccupazione di noi virologi veterinari è prevenire il passaggio di SARS-CoV-2 virus agli animali e soprattutto la sua introduzione in ambito selvatico, dove il virus potrebbe trovare ospiti che fungono da serbatoio dell’infezione e promuovono l’insorgenza di varianti più pericolose per la specie umana», conclude il professore Decaro. «Si tratta, quindi, di un approccio “one-health” in base al quale le diverse competenze mediche e veterinarie si integrano e collaborano a salvaguardia della salute di uomo ed animali». Anche in questo campo lo spartiacque tra umano e animale non è così netto come si potrebbe pensare: «Non c’è, a mio modo di vedere, una netta separazione tra virologia umana e virologia veterinaria, ma esiste una sola virologia con diverse sfaccettature. Basti pensare che tutte la malattie infettive emergenti nell’uomo degli ultimi decenni, da Ebola all’influenza, dalle coronavirosi all’Aids, riconoscono la loro origine in virus degli animali che hanno acquisito la capacità di essere trasferiti all’uomo, adattarsi e propagarsi nel nuovo ospite».