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5 Agosto 2021
16:23

Covid-19 anche tra i cervi dalla coda bianca: il 40% ha sviluppato anticorpi

Anche i cervi dalla coda bianca hanno sviluppato gli anticorpi contro Sars-Cov-2, il virus che causa la Covid-19. La scoperta fa parte di uno studio statunitense pubblicato su Biorxiv, un database di pubblicazioni non ancora certificate con la peer review. Dunque, uno studio che è in attesa di controllo ma che nel frattempo viene dato in lettura alla comunità scientifica.

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Anche i cervi dalla coda bianca hanno sviluppato gli anticorpi contro Sars-Cov-2, il virus che causa la Covid-19. La scoperta fa parte di uno studio statunitense pubblicato su Biorxiv, un database di pubblicazioni non ancora certificate con la peer review. Dunque, uno studio che è in attesa di controllo ma che nel frattempo viene dato in lettura alla comunità scientifica.

Il lavoro, condotto da veterinari Usa, ha dimostrato che nel 40% dei campioni di sangue prelevati dagli Odocoileus virginianus sono stati individuati anticorpi di Sars-Cov-2. Gli animali sono stati analizzati in 4 Stati americani (Michigan, Pennsylvania, Illinois e New York)

Gli studiosi hanno sottolineato come Sars Cov-2 possa arrivare ad infettare animali domestici e selvatici ed esiste la possibilità che possano emergere nuovi focolai di contagio del virus. Il salto di specie dagli uomini agli animali potrebbe crearne di nuovi, anche al di fuori del Sudest asiatico da dove tutto sarebbe partito.

Secondo i ricercatori in alcune specie endemiche degli Usa c'è una affinità tra la proteina spike di Sars Cov-2 e l’enzima di conversione dell’angiotensina (l’ormai noto Ace2). Questo suggerisce una maggiore sensibilità al virus. Tra loro, appunto, anche il cervo dalla coda bianca.

E' un argomento che Kodami aveva già trattato anche nei cetacei. Lo aveva accennato Giovanni Di Guardo, docente di Patologia generale e Fisiopatologia veterinaria dell’Università di Teramo.

Il cervo dalla coda bianca è un animale che vive in tutto il Nord America e che è particolarmente presente vicino ai centri urbani degli Stati Uniti orientali. Per i veterinari che hanno condotto il lavoro, quest’animale può formare branchi che potenzialmente possono supportare la trasmissione di più agenti patogeni come il coronavirus. Un recente studio proprio su questa specie, e che era stato pubblicato sul Journal of Virology, aveva dimostrato che erano in grado, grazie alle feci e alle secrezioni nasali, di diffonderlo ad altri simili.

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