Il loro nome comune significa letteralmente "mangiatori di erba" nella lingua Tupi, in Brasile, ma nessuno avrebbe mai immaginato che questi animali si sarebbero ritrovati a consumare tonnellate di erba da prato piuttosto che germogli provenienti dalla rigogliosa foresta amazzonica.
I capibara (Hydrochoerus hydrochaeris), la più grande specie di roditore del mondo, solitamente vivono in vaste praterie o nelle zone umide del Sud America ma recentemente si sono insediati anche all'interno delle città, sfruttando i corridoi artificiali e le strade che sono stati costretti ad utilizzare per spostarsi all'interno del loro vasto areale. Ora una ricerca, pubblicata su Journal of Zoology, spiega come sia stato possibile che questi animali siano riusciti a cambiare le loro abitudini per adattarsi alla frenetica vita delle metropoli argentine e brasiliane.
Secondo gli esperti dell'Istituto per la conservazione della Biodiversità nazionale di San Paolo (ICMBio), il segreto che ha permesso a questi roditori di conquistare negli ultimi decenni le periferie e anche il cuore delle città è stato l'essere stati capaci di cambiare dieta, flessibilità alimentare che non è presente in tutti gli animali originari delle foreste. «Se la dieta di una specie è specializzata, ciò limiterà la sua capacità di adattarsi agli ecosistemi modificati come i campi non più coltivati o i quartieri cittadini», ha affermato Maria Luisa Jorge, ecologista della Vanderbilt University di Nashville che seppur non è stata coinvolta nello studio, ha osservato da lontano i progressi dei propri colleghi sudamericani.
Ad avere però un quadro più completo della situazione, avendo osservato i capibara per anni, è Marcelo Magioli, autore senior dell'articolo e principale ricercatore coinvolto nello studio. Lo studioso è stato tra i primi all'interno dell'ICMBio a suggerire che fosse giunto il momento di rivedere il comportamento di questi animali per comprendere per quale ragione stessero sempre di più abbandonando i territori selvatici per spostarsi nelle aree civilizzate. «All'Università di San Paolo era possibile osservare i capibara tutti i giorni, mentre pascolavano o sfuggivano abilmente alle ruote delle biciclette. Per questo mi sono incuriosito», ha spiegato.
All'inizio della ricerca, ispirandosi agli studi effettuati in Europa sui cinghiali, Magioli e altri scienziati hanno deciso di studiare cosa mangiassero i capibara all'interno delle città per sopravvivere alle condizioni di vita offerte da una strada trafficata. Nell'arco di quindici mesi hanno campionato i peli di circa 210 soggetti, provenienti da 13 diverse popolazioni che vivono in ambienti naturali o fortemente antropizzati di tutto il Brasile. Molti di questi capibara, hanno sottolineato gli scienziati, vivevano tra i vicoli della metropoli di San Paolo, ma erano anche numerosi gli esemplari che facevano la spola fra le città e i campi abbandonati che confinano con la foresta. Due popolazioni aggiuntive, inoltre, sono state campionate presso il Pantanal, la più grande zona umida al mondo, e alcuni campioni sono stati invece spediti dall'Argentina, grazie alla collaborazione di altri biologi.
Tutti i peli provenienti dalle diverse popolazioni sono stati analizzati sfruttando la tecnologia degli isotopi del carbonio che permette di comprendere la provenienza geografica degli animali e la tipologia della loro dieta, chiarendo quanta erba e piante legate all'agricoltura stessero mangiando i capibara presenti nelle metropoli e permettendo di fare un relativo confronto con la dieta delle popolazioni completamente selvatiche.
I capibara con accesso ai raccolti o ai campi abbandonati delle aree rurali stanno mangiando prevalentemente mais, erba gatta e canna da zucchero, mentre i capibara delle aree urbane, oltre a sgranocchiare piante da siepe ed erba, hanno cominciato a mangiare anche viti, fiori da giardino e persino cactus. Risorse messe indirettamente dall'uomo a loro disposizione: sono piantate al margine delle strade o nelle piazze principali delle diverse città. «Penso che il comportamento alimentare più impressionante di questa specie è che può passare da cibi preferiti a cibi insoliti, in modo da poter sopravvivere praticamente in qualsiasi habitat», ha affermato Magioli.
Queste però non sono buone notizie per la salute dei capibara di città: si stanno ingrossando ad un ritmo spaventoso e possono finire più facilmente vittima di incidenti con le auto oppure predati, qualora dovessero tornare nelle aree forestali. Per via della loro maggiore massa adiposa risultano essere infatti più lenti di quelli che vivono in foresta e che hanno assunto meno zuccheri. Inoltre, gli agricoltori ancora rimasti nelle campagne attorno a San Paolo hanno cominciato a sparargli a vista, considerandoli alla stregua dei parassiti del raccolto, e in taluni casi sono stati avvistati capibara cibarsi di spazzatura o nuotare vicino le fogne a cielo aperto, fenomeno che li può condurre anche a contrarre malattie che finora non hanno conosciuto.
Il successo ottenuto sfruttando le occasioni rese possibili dall'uomo sta richiedendo dei costosi dazi a questi animali, che nell'arco degli ultimi 50 anni avrebbero vissuto maggior pericoli tra i marciapiedi delle periferie e i campi coltivati rispetto all'aree selvatiche, soprattutto in Brasile. I biologi ancora non hanno iniziato a lavorare relativamente alla gestione della specie all'interno delle metropoli e ora si apprestano a promuovere delle campagne di sensibilizzazione del problema per riportare un equilibrio fra i contesti forestali e quelli cittadini.