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26 Maggio 2023
18:20

Cos’è successo a tre dei quattro cuccioli di ghepardo nati in India e quali saranno le conseguenze

Forse l'altissima temperatura di questi giorni potrebbe aver provocato la morte del terzo cucciolo di ghepardo deceduto dopo i due fratelli. I tre piccoli ghepardi non sono morti contemporaneamente ma la situazione dell'intera specie è particolarmente complicata.

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Giornalista
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La loro nascita, il 29 marzo, era stata annunciata come un evento storico. I quattro cuccioli di ghepardo, nati da uno dei 20 esemplari trasferiti in India dal Sudafrica e dalla Namibia a settembre dell’anno scorso, sembravano essere destinati a diventare i testimonial dei possibili risultati che si possono ottenere dalle buone pratiche di conservazione animale. E considerando che si tratta della prima nascita nel territorio indiano negli ultimi 70 anni, la notizia della morte di tre di loro nel Parco Nazionale di Kuno dove erano nati, appare quindi ancora più dolorosa. Tanto che, dopo la morte dei tre cuccioli, la direzione del progetto scientifico che aveva organizzato il loro arrivo in India, ha prontamente nominato un nuovo comitato direttivo, composto da esperti nazionali e internazionali, per sovrintendere all'attuazione del progetto.

Forse la morte causata dall'alta temperatura

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Uno dei ghepardi del Kuno National Park (dal sito del parco)

I tre piccoli ghepardi non sono morti contemporaneamente: la scomparsa dei due cuccioli appena morti in India nella riserva naturale di Kuno, segue infatti quella di un altro fratello, morto qualche giorno prima. La notizia delle ultime due morti è arrivata direttamente dai veterinari del parco nazionale, che si trova nel cuore dello stato del Madhya Pradesh. Le notizie riportate parlano di un aggravamento delle loro condizioni di salute, già precarie a causa della debolezza, della disidratazione e del peso insufficiente, nel giorno in cui le temperature hanno raggiunto picchi molto alti. I veterinari hanno invece provveduto a trasferire in terapia intensiva l’unico cucciolo sopravvissuto dei quattro.

I quattro piccoli erano i cuccioli di Jwala, una delle femmine adulte arrivate in India dalla Namibia, nell'agosto dello scorso anno, gli altri erano invece arrivati dal Sudafrica lo scorso febbraio. Insieme formavano il gruppo di venti esemplari fulcro del Project cheetah  progetto di reinserimento particolarmente importante, perché i ghepardi risultavano estinti nel continente indiano da ben 70 anni, precisamente dal 1952. La caccia era stata la prima causa della loro scomparsa (famose le battute di caccia fra i marajah indiani), a cui si era aggiunta la perdita di habitat, con grandi porzioni di territorio sottratte ai ghepardi dall’aumento di urbanizzazione e dalla desertificazione del territorio.

La situazione dell’intera specie è infatti piuttosto complicata. Viene considerata «vulnerabile» all’estinzione, secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) dal momento che la sua popolazione è in costante declino. L’ultima stima è di meno di 7 mila individui. I nuclei che sopravvivono ancora in Iran sono considerati in pericolo critico: negli anni Settanta erano circa 300, adesso, secondo l’ultimo conteggio ufficiale iraniano, ce ne sarebbero solo 12.

Il Project Cheetah indiano

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Un esemplare di ghepardo asiatico

Obiettivo del progetto indiano, a quanto dichiarato dal Ministero dell’ambiente, le foreste e il cambiamento climatico, era: «riportare in vita l'unico grande mammifero estinto dell'India indipendente: il ghepardo. 50 ghepardi saranno introdotti in vari parchi nazionali nell'arco di cinque anni». Le motivazioni sulla necessità di reintrodurre il ghepardo nel territorio indiano, era state spiegate dallo stesso ministero che ha promosso il progetto. «I ghepardi vivono in pianure aperte; il loro habitat è prevalentemente dove vivono le loro prede: praterie, boscaglie e sistemi forestali aperti, ambienti semi-aridi e temperature che tendono ad essere più calde rispetto ai regimi più freddi – si può leggere nel documento. – Nel salvare i ghepardi, si dovrebbe salvare non solo la sua base di prede comprendente alcune specie minacciate, ma anche altre specie in pericolo delle praterie e degli ecosistemi forestali aperti, alcune delle quali sono sull'orlo dell’estinzione».

Il gruppo di  ghepardi è arrivato dal Sudafrica e non dall’Iran, dove sopravvive un esile gruppo di dodici esemplari, di una sottospecie identica a quella indiana, ma considerata in via d’estinzione e dalla quale quindi non possono prelevarsi esemplari utili alla riproduzione. «Ma – spiegavano gli esperti che hanno organizzato il progetto – i ghepardi dell'Africa meridionale hanno la massima diversità genetica osservata tra i lignaggi di ghepardi esistenti, un attributo importante per uno stock di popolazione fondatore. Inoltre, i ghepardi dell'Africa meridionale sono ancestrali a tutti gli altri lignaggi di ghepardi, compresi quelli trovati in Iran. Quindi, questo dovrebbe quindi essere l'ideale per il programma di reintroduzione dell’India».

Differenza climatica e crescita del conflitto uomo animale tra i problemi legati alla reintroduzione

Fino ad oggi, però, la sopravvivenza del gruppo reintrodotto non è stata semplice. Già tre degli adulti sono morti. Shasha, del gruppo della Namibia, è morta per problemi renali, Uday, arrivata dal Sudafrica è morta anche lei per una malattia. Daksha, anche lei originaria del Sudafrica, è invece morta  il 9 maggio per le gravi ferite subite durante un scontro con altri esemplari del gruppo. La morte dei 3 cuccioli quindi, potrebbe rappresentare una battuta d’arresto dell’intero progetto e molti quotidiani indiani, riportandola notizia delle morti, hanno cominciato a sollevare dei dubbi sul futuro dell’intera iniziativa.

Allo stesso tempo, come riporta ad esempio India Today, va ricordato che gli esperti avevano annunciato possibili difficoltà dopo il trasferimento in India dei ghepardi sudafricani. Tra le difficoltà, che potrebbero aumentare in futuro, sicuramente la differenza di clima tra i due paesi e quindi cambi di temperature a cui i ghepardi importati potrebbero far fatica ad abituarsi. In secondo luogo la minore disponibilità di prede che potrebbe portare i nuovi arrivati a spingersi oltre i confini del parco nazionale arrivando fin ai territori più densamente popolati e innescando così un conflitto uomo-animali che diventerebbe un nuovo problema da risolvere.

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Maria Grazia Filippi
Giornalista
Scrivo da sempre, ma scrivere di animali e del loro mondo è la cosa più bella. Sono laureata in lettere, giornalista professionista e fondatrice del progetto La scimmia Viaggiante dedicato a tutti gli animali che vogliamo incontrare e conoscere nei luoghi dove vivono, liberi.
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