La prestigiosa Accademia polacca delle scienze ha recentemente dichiarato i gatti domestici “specie aliena invasiva”, includendoli quindi nell'elenco di quegli animali che arrecano danni importanti alla fauna selvatica e agli ecosistemi. La decisione, pubblicata in una dettagliata nota, ha scatenato forti polemiche e feroci proteste tra le persone che convivono con il felino più amato del mondo, i quali credono possa incentivare abbandoni, maltrattamenti o addirittura vere e proprie persecuzioni.
Non sono però certamente queste le intenzioni di naturalisti e biologi, quindi cerchiamo di capire cosa vuol dire questa decisione, quali conseguenze potrebbe avere sui gatti e perché è importante che chiunque conviva con un felino domestico abbia piena coscienza e consapevolezza – senza cadere in estremismi o reagendo di pancia – sull'impatto che il micio di casa può avere sulla fauna selvatica protetta.
Cos'è una specie aliena invasiva
Partiamo dal principio: una specie aliena (o alloctona) è un qualsiasi animale, pianta o altro essere vivente che si ritrova a vivere e a riprodursi fuori dal suo areale d'origine per colpa diretta o indiretta dell'uomo, che l'ha trasportata in modo volontario o meno in un ecosistema non suo.
Anche se le due cose vanno spesso di pari passo, una specie aliena non è però necessariamente anche invasiva, ma lo diventa quando inizia a riprodursi in maniera rapida e incontrollata causando gravi danni alla fauna e alla flora locale (o autoctona), talvolta addirittura l'estinzione di intere specie. Per esempio delle circa 12.000 specie aliene esotiche riconosciute in Europa, solo il 10-15% è ritenuto anche invasivo.
Molto spesso, inoltre, i danni causati dalle specie aliene invasive hanno anche ricadute economiche e possono generare problemi sanitari importanti, come quelli causati a coltivazioni o agli allevamenti.
L'impatto delle specie aliene sulla biodiversità è innegabile ed è tra le principali cause di estinzione a livello globale, pertanto tutti i governi e le più importanti istituzioni scientifiche redigono elenchi dettagliati sulle specie aliene invasive, che andrebbero necessariamente gestite a seconda del caso.
Perché il gatto domestico è una specie aliena
Anche in Italia ci sono centinaia di specie aliene invasive, sia di rilevanza nazionale che continentale. Il Ministero della Transizione Ecologica ha persino un sito dedicato interamente a queste specie, con informazioni, linee guida, normative e altri documenti e link utili. Sono per famose specie aliene invasive la nutria (arrivata dal Sud America), il gambero della Louisiana e lo scoiattolo grigio (arrivati dal Nord America), la cimice asiatica e tantissimi altri insetti (arrivati invece dall'Asia), solo per fare qualche esempio.
Tutti i gatti domestici nelle nostre case e nei nostri giardini – stando agli ultimi e più aggiornati studi scientifici – hanno iniziato il loro percorso di avvicinamento agli umani più o meno 12.500 anni fa, a partire dal gatto selvatico africano o gatto del deserto (Felis lybica). Una domesticazione "blanda" e incompleta, molto più recente di quella del cane e tutt'ora in corso.
Stando ad analisi genetiche recenti, il gatto domestico (Felis catus), quindi, è stato domesticato inizialmente nella Mezzaluna fertile, tra il sud della penisola Anatolica, il Sinai, Israele e la Mesopotamia, dove si riscontrano le prime testimonianze di società umane stanziali, e pertanto si tratta di un'entità biologica ben diversa dal nostrano gatto selvatico europeo (Felis silvestris).
Qui i felini sono diventati preziosi e imprescindibili alleati dell'uomo, svolgendo egregiamente il loro lavoro di predatori e tenendo lontani roditori e altri fastidiosi animali per il raccolti. Proprio questa sua eccezionale abilità, ha spinto l'uomo a portarsi dietro i gatti ovunque, che nel corso dei millenni si sono poi diffusi in tutto il mondo, ben lontani quindi dal loro areale d'origine.
Si calcola (sicuramente un dato sottostimato) che in tutto il mondo il numero di gatti domestici di famiglia o liberi sia superiore ai 600 milioni di esemplari, portati dall’uomo in ogni continente, comprese isole e zone naturali che non avevano mai visto prima un mammifero predatore.
Quali danni causa alla fauna il gatto domestico
Per i ricercatori polacchi la decisione si basa sui numeri e sul comportamento del felino. Stando alla pubblicazione polacca, i gatti soddisfano al 100% i criteri per rientrare tra le specie aliene, poiché uccidono circa 140 milioni di uccelli in Polonia ogni anno, numeri che li certificano come un grave pericolo per la biodiversità. Danni che sono in linea anche con altri studi.
Il gatto, come qualsiasi pet mate sa, è un predatore eccezionale, ma purtroppo questo può causare seri problemi alla specie selvatiche, soprattutto sulle piccole isole e in ecosistemi già fragili. In Australia, per esempio, è stato stimato che i gatti domestici (sia casalinghi che rinselvatichiti) uccidano ogni anno 377 milioni di uccelli appartenenti a più di 330 specie autoctone, pari a circa la metà di quelle nidificanti in questo continente oltre che circa 649 milioni di rettili.
Negli Stati Uniti, invece, ogni anno verrebbero uccisi dai gatti ben 3,7 miliardi di uccelli e 20,7 miliardi di piccoli mammiferi, soprattutto roditori, conigli e toporagni. Qui in Italia, infine, uno studio recente ha raccolto informazioni sulle predazioni sulla fauna selvatica operate da 145 gatti che vivevano con 125 umani, seguendo per 1 anno 21 di questi. Hanno quindi registrando tutte le prede che hanno portato a casa e dai dati è emerso che sono stati uccisi individui appartenenti a 207 specie tra cui 34 sono elencate come Minacciate o Quasi minacciate nelle Liste Rosse IUCN e italiana. Le prede predilette sono uccelli e piccoli mammiferi, ma anche rettili ed anfibi.
Non c'è da sorprendersi, quindi, che i gatti siano stati inseriti tra le cento specie aliene e più invasive e dannose dall'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), l'ente più importante al mondo in materia di conservazione della biodiversità.
Infine, problema non meno trascurabile, i gatti domestici possono incrociarsi e ibridarsi con quelli selvatici italiani, minacciando e inquinando geneticamente le popolazioni proprio come farebbe un cane con un lupo.
Cosa si auspicano ricercatori ed esperti
Che il gatto sia una specie dal forte impatto sulla fauna selvatica è un dato di fatto, anche se esistono altre emergenze ben più impattanti. Negarlo quindi non cancella il problema, così come considerarlo o meno invasivo. L'Unione Europea, per esempio, non lo ha inserito nella lista delle specie invasive, perché riconoscendo l'enorme valore socio-culturale e affettivo che i gatti ricoprono per le persone, crede non avrebbe alcun effetto nel ridurre il problema.
Ciò non vieta ai singoli Stati e persino alle persone di provare a gestire e ridurre l'impatto dei gatti sugli animali selvatici, senza ricorre a maltrattamenti o cacce alle streghe. Risulta davvero difficile credere che comuni cittadini o ricercatori inizino a perseguitare i gatti o addirittura proporre abbattimenti, cosa completamente assurda oltre che eticamente e legalmente impossibile.
L'obiettivo di chi pone l'accento sui danni alla fauna dei felini domestici è completamente diverso. Non si può pensare di azzerare l'istinto predatorio dei gatti, né tantomeno credere di poterli confinare per sempre in una stanza. È una responsabilità e un dovere morale per chiunque viva con un gatto impegnarsi per tentare di contenere il più possibile l'impatto sulla fauna del proprio felino e sorvegliarlo il più possibile, così come succede per chi convive con un cane.
Ciò vale a prescindere da se si considera più e meno grave l'impatto dei felini domestici: perché così come i danni a persone o cose causati da gatti e cani sono una nostra responsabilità, lo stesso vale per quelli causati alla fauna selvatica, patrimonio di tutti protetto per legge. Inoltre, per ridurre l'impatto dei gatti randagi e rinselvatichiti, occorrerebbe investire maggiormente in campagne di sterilizzazione, sensibilizzazione e corretta gestione delle cosiddette colonie feline.
Sterilizzare e scegliere in maniera più attenta i luoghi in cui alloggiare le colonie, magari lontano da zone umide e aree naturali, aiuterebbe molto a ridurre di molto l'impatto dei gatti, contribuendo inoltre a contrastare il fenomeno dell'abbandono e del randagismo. Ma cosa può fare, invece, chi vive con un gatto che girovaga libero fuori casa?
Come fare per ridurre la caccia del proprio gatto
Pensare di azzerare il potenziale predatorio di un gatto senza intaccarne il benessere psicofisico – come detto – è scorretto dal punto di vista proprio etico e etologico. Non bisogna quindi cadere fanatismi sbarrando porte e finestre oppure rinchiudendo il gatto in gabbia, il problema si affronta anche senza necessariamente tenerlo chiuso tra quattro mura, investendo di più sugli arricchimenti cognitivi e sul piano relazionale.
Si può, per esempio, ridurre l'interesse alla caccia del gatto facendolo giocare di più e tenendolo impegnato da un punto di vista mentale e fisico. Nascondere in diversi punti della casa piccole razioni di un cibo a lui gradito è un buon modo per stimolarlo e tenerlo impegnato. Inoltre si può evitare di farlo uscire dopo il tramonto, visto che è proprio durante la notte che i gatti sono più efficienti. Anche una dieta ricca di carne contiene l'istinto predatorio del gatto, e tenerlo magari sotto controllo mentre è fuori in giardino di certo non è una cattiva idea.
«Queste misure sono ragionevoli, così come tenerli in casa nottetempo e io aggiungerei – spiega Sonia Campa, consulente della relazione uomo-gatto e membro del comitato scientifico di Kodami – di evitare di adottare gatti se si vive a ridosso di parchi naturali o aree dove si sa che vivono specie particolarmente fragili. Dopodiché, bisogna sempre valutare i singoli e avere anche una gestione oculata dell'esterno: a volte sono le nostre abitudini, come lasciare cibo in giro, anche per i gatti stessi, ad attirare una microfauna che vive intorno a noi».
Un problema ecologico da affrontare senza estremismi
La forte pressione predatoria esercitata sulla fauna selvatica da parte dei gatti è un problema ecologico complesso ma innegabile. La biodiversità mondiale, già nel bel mezzo della sesta estinzione di massa, ha bisogno perciò di una gestione più attenta e consapevole dei gatti e altre specie invasive, nonché di una migliore protezione e ripristino di habitat ed ecosistemi.
Serve consapevolezza, mediazione e dialogo tra tutte le parti coinvolte, a partire da chi decide di adottare un gatto e che dovrà assumersi anche questa responsabilità, fino ad arrivare alle istituzioni e alla gestione del complesso fenomeno del randagismo e delle colonie feline.
La stessa accademia polacca ha dovuto precisare di essere fermamente contraria a qualunque crudeltà contro i gatti e di non giustificare alcun tipo di abuso nei loro confronti, così come l'abbandono. Chiede semplicemente, come tutti quelli che sottolineano il problema, solo maggiore attenzione e responsabilità per chi vive con un gatto, sensibilizzando sulle gravi problematiche che i felini lasciati incontrollati possono provocare alla fauna selvatica.